La rocca di Gradara

Rocche martiniane
 

12/10/2001

Su un colle vicino al mare, alle spalle della cittadina balneare di Gabicce, in posizione panoramica alla destra della valle del fiume Tavollo, si eleva il comune di Gradara, caratterizzato da un borgo medievale circondato da una cinta muraria che s’innalza, rafforzata da torri, fino alla rocca. La fortezza, risalente alla prima metà del XIII secolo, è di pianta quadrilatera con torri agli angoli, una delle quali è il poderoso mastio poligonale. La prima fase edificatoria risale al 1150 quando venne costruita la prima torre di difesa (il mastio), ma in seguito vari signori ampliarono il complesso a cominciare da quei Piero e Rodolfo De Grifo che alla metà del ‘200 diedero alla rocca un aspetto più mastodontico. Successivamente i Malatesta aggiunsero alla torre due gironi di mura con ben diciassette torri merlate e tre ponti levatoi. Fu quindi la volta di Alessandro e Giovanni Sforza nel secondo ‘400, ai quali si devono l’aggiunta dell’ampio loggiato interno, lo scalone. Infine gli ultimi signori di Gradara furono i Della Rovere, che governarono la zona fino al 1631, data della devoluzione del ducato di Urbino allo Stato Pontificio. Caduta in abbandono per alcuni secoli, è stata restaurata all’inizio del secolo scorso e riaperta al pubblico nel 1923, arredata con mobili e oggetti dell’epoca. La storia dell’edificio è indissolubilmente connessa ad uno dei più celebri episodi della Commedia dantesca: qui si sarebbe svolta la tragedia di Paolo Malatesta e Francesca da Rimini, uccisi dal tradito Giovanni (Gianciotto) Malatesta detto “Lo sciancato”. Ancora oggi la visita degli ambienti della rocca permette di passare nella sala in cui, secondo la tradizione, i due amanti leggevano “un giorno per diletto di Lancillotto”, libro galeotto da cui nacque l’amore travolgente tra i due cognati, narrato nel V canto della Divina Commedia (vv. 73-142). Ma visitando la rocca è possibile vedere anche alcune stanze nelle quali per tre anni abitò Lucrezia Borgia, dopo il matrimonio con Giovanni Sforza, nonché affreschi di Amico Aspertini, tavolette policrome invetriate di Andrea della Robbia, la pala di Giovanni Santi con “Madonna in trono con Bambino e Santi”, dipinta nel 1484 per l’antica pieve di S. Sofia. Che la fortezza marchigiana fino al Rinascimento fosse una delle più imponenti dell’Italia adriatica è un dato di fatto, ma a confermarlo c’è un interessante riferimento. Nella complessa “Incoronazione della Vergine”, capolavoro di Giovanni Bellini, oggi nei Musei Civici di Pesaro, al centro del paesaggio di sfondo compare la rocca di Gradara. La pala, dipinta per la chiesa di San Francesco a Pesaro, databile 1472-74, presenta nella tavola centrale “Cristo che incorona Maria tra i santi Paolo, Pietro, Gerolamo e Francesco”. In predella piccole scene con, ai lati di una piccola “Natività”, le storie dei santi che assistono alla scena principale: “Conversione di Saulo”, “Crocifissione di S. Pietro”, “S. Gerolamo nel deserto”, “S. Francesco riceve le stimmate”. Ai lati otto santi dipinti in finte nicchie lungo le paraste che sorreggono l’edicola in cui è sistemata la composizione. In alto a sormontare il tutto la cimasa raffigurante l’“Unzione di Cristo”, oggi separata dal resto e conservata nella Pinacoteca Vaticana. La parte principale della composizione è ulteriormente suddivisa: dietro la scena dell’incoronazione il trono marmoreo presenta un’apertura, una sorta di quadro nel quadro, all’interno della quale viene inquadrata perfettamente proprio la rocca di Gradara. Molto spesso nelle scene che vedono protagonista Maria compare una fortezza. Tale raffigurazione rimanda allegoricamente ai concetti di inviolabilità, verginità della madre di Cristo: è la palese dimostrazione di come nell’immaginario di un pittore come Giambellino, alla fine del XV secolo, di fronte all’idea di rocca venisse alla mente quella di Gradara. La fortezza marchigiana viene utilizzata nel dipinto di Pesaro come vera e propria figura retorica: l’antonomasia letteraria viene trasposta in pittura.