Fino al 18 febbraio a Palazzo Barberini

A Roma l’Altro Rinascimento di Filippo Lippi

Roma, Galleria Nazionali di Arte Antica di Roma – Palazzo Barberini e Galleria Corsini. Foto Mauro Coen | Filippo Lippi, Annunciazione con donatori, 1440 circa
 

Francesca Grego

21/11/2017

Roma - Le vie dell’arte non sempre scorrono diritte. Ne sapeva qualcosa Fra’ Filippo Lippi, tra le voci più originali del Quattrocento e, forse proprio per questo, soggetto interpretazioni contraddittorie nel corso dei secoli.
Fino alla scoperta della Madonna di Tarquinia ad opera dello storico Pietro Toesca, proprio 100 anni fa.
 
In occasione della ricorrenza, le Gallerie Nazionali d’Arte Antica Barberini Corsini dedicano all’artista una “mostra manifesto”, che celebra la grandezza del dipinto e gli dispone intorno una serie di opere prestigiose giunte da Berlino, Parigi e New York a dipanare l’imprevedibile percorso artistico del maestro di Sandro Botticelli.
 
Dal San Paolo di Masaccio allo Spiritello ceroforo di Donatello, fino alle celebri Annunciazioni lippesche e a preziose tavole realizzate dallo stesso artista, si delinea la logica dell’Altro Rinascimento di cui il giovane Lippi fu iniziatore e protagonista.
 
Ma il fulcro del discorso resta il dipinto su legno della Madonna di Tarquinia, di cui una ricca documentazione originale ripercorre le vicende del ritrovamento.
Fu una scoperta folgorante quella di Pietro Toesca, studioso destinato a mappare territori ancora inesplorati dell’arte italiana, capitato “per caso o per desiderio di vedere tutto” nella chiesa di Santa Maria in Valverde presso Tarquinia una mattina del 1917.
 
“Dopo un’occhiata all’interno, tutto rifatto modernamente, deluso già mi volgevo ad uscire quando nella penombra, in alto, balenò un raggio di colore vivo e un gesto animato”, scrisse lo storico nel Bollettino dell’Arte: “Era lassù una tavola – copia o mirabile originale? – e un vetro me la nascondeva anche più dell’oscurità, finché con una scala non fui sopra: era un dipinto quasi intatto (non fossero vernici guaste e tracce di voti) che diceva altamente il nome del suo autore – Filippo Lippi – benché sul cartellino avesse soltanto una data: MCCCCXXXVII”.
Di fronte alle obiezioni dei colleghi, Toesca fu irremovibile: il colorito “delicato, solido e accarezzato da luce perlacea” della Vergine e del Bambino eliminava ogni dubbio sulla “certissima attribuzione” dell’opera.
 
Si apre così una pagina nuova degli studi intorno alla figura del frate di Firenze, che faranno luce su una svolta decisiva della pittura del Quattrocento italiano.

Diviso in vita tra le passioni terrene e l’aderenza alla condizione di religioso, anche per gli storici dell’arte Lippi presentava un doppio volto: quello attribuitogli da Cristoforo Landino, che nel lontano 1481 definiva il suo stile “gratioso et ornato et artificioso sopra ogni modo”, e quello più austero ricordato da Vasari, secondo cui “molti dicevano lo spirito di Masaccio essere entrato nel corpo di fra’ Filippo”.
Due opinioni apparentemente contrastanti, incapaci di descrivere le spettacolari capacità illusive di un virtuoso del colore, la dolce sensualità delle sue figure avvolte dalla luce, plastiche e lineari insieme.
 
Con la Madonna di Tarquinia si evidenzia finalmente il carattere innovativo del maestro fiorentino: il trattamento dello spazio, che supera la rigida prospettiva di Brunelleschi e Masaccio in favore di una rappresentazione più complessa e mutevole, si affianca all’assoluta originalità dei chiaroscuri e agli inediti passaggi di tono e saturazione del colore, “in una visione tanto raffinata e in una composizione così studiata” da annunciare “l’infinito palpito di luci crepuscolari” di Leonardo, come osservò lo stesso Toesca.
 
Senza contare le strette relazioni che l’opera intrattiene con la pittura fiamminga di padri fondatori come Van Eyck e Robert Campin, evidenti nell’ambientazione domestica del dipinto, che allude a una nuova concezione del divino.
Anche se assisi su un elegante trono marmoreo, la Vergine e il Bambino si collocano infatti all’interno di una stanza da letto, tra il talamo e una finestra aperta sul paesaggio, mentre sullo sfondo fanno capolino due scuri socchiusi.
A sottolineare la quotidianità della scena e il realismo della devotio moderna, l’assenza di aureola sul capo dei protagonisti e l’abbraccio fin troppo energico del bimbo intorno al collo della madre, mentre la luce si riflette su stoffe, marmi e gioielli proprio come nei quadri dei maestri del Nord.
 
Da scoprire, nel percorso a cura di Enrico Parlato, i rimandi alla scultura di Donatello, i rapporti con il più anziano Masaccio, ma anche l’influenza del committente Giovanni Vitelleschi e le vicende della cornice originaria ritrovata per caso nei magazzini di un ex convento di Tarquinia, che con le sue ricche decorazioni in gotico internazionale documenta i contatti del giovane Lippi con gli stili europei.
 
E per chi desideri proseguire il viaggio nel tempo, a Palazzo Barberini un’altra piccola e preziosa esposizione temporanea focalizza l’attenzione su un maestro del Trecento.

Frutto della collaborazione con la National Gallery di Londra, Giovanni da Rimini. Passato e presente di un’opera mette a confronto due capolavori dell’artista giottesco, per secoli considerati un dittico, riuniti per la prima volta nell’ultimo secolo.
Si tratta dei fondi oro delle Storie di Cristo e delle Storie di Santi, esposti insieme alle Storie della Passione di Cristo di Giovanni Baronio: documenti di una fiorente stagione capace di fondere le novità di Giotto e la raffinatezza degli stilemi bizantini, con esiti di incomparabile poesia e spiritualità.
 
Le mostre Altro Rinascimento. Il Giovane Lippi e la Madonna di Tarquinia e Giovanni da Rimini. Passato e presente di un’opera saranno in programma a Palazzo Barberini fino al 18 febbraio 2018.
 
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