Intervista agli archeologi Michela Costanzi e Vincent Michel su un importante ritrovamento in provincia di Messina

Alla scoperta del teatro di Halaesa, l'ultimo gioiello della Sicilia antica

Vista del paesaggio verso Nord dalla parte alta del teatro © MAFHA 2018

 

Samantha De Martin

29/08/2018

Messina - Agli antichi abitanti di Tusa il paesaggio che faceva da cornice al teatro di Halaesa, doveva apparire così, con le isole Eolie incastonate nel mare, i venti dominanti in direzione sud-ovest a facilitare la propagazione dei suoni dall’orchestra verso la cavea, il sole a sciogliersi di sera, dietro la collina, lasciando illuminata la scena e, in ombra, la parete in cui gli spettatori avrebbero dovuto prendere posto.
Sono stati anche questi indizi, relativi a un paesaggio che ancora oggi a distanza di secoli ammalia il viaggiatore, a permettere agli archeologi di giungere, dopo due anni di ricerche, al teatro di Halaesa, nel piccolo centro di Tusa, a novanta chilometri da Palermo.
L’annuncio era stato dato lo scorso 20 luglio sulla pagina Facebook della Mission Archéologique Française d’Halaesa - MAFHA con un orgoglioso “il est ici”.

A consentirci di entrare nel vivo di questa affascinante scoperta che ha restituito alla Sicilia un nuovo gioiello dell’antichità, sono Michela Costanzi e Vincent Michel, direttori della MAFHA.

“Da due anni lavoriamo a questa scoperta - spiegano gli archeologi -. Siamo partiti da varie considerazioni: anche se le fonti letterarie antiche non menzionano un teatro ad Halaesa, un’iscrizione lascia immaginare, nella città, un luogo di riunione dove un grande numero di cittadini doveva incontrarsi per deliberare. Questo elemento ed il fatto che Halaesa presenti già molti elementi di un apparato monumentale importante, hanno indirizzato la nostra attenzione su una zona precisa del sito, dove gli indizi del paesaggio facevano immaginare un teatro. Chiunque arrivasse dal mare approdando al porto sottostante avrebbe potuto vedere quest’area con, in alto, il grandioso santuario di Apollo, sul quale i nostri colleghi di Messina ed Oxford stanno lavorando e, sotto, i magnifici tratti bicromi delle mura. Abbiamo, dunque, deciso di mettere in atto un preciso protocollo di prospezioni per le quali abbiamo potuto contare sulla preziosa collaborazione dei geologi dell’università di Camerino, Marco Materazzi, Fabio Pallotta e Matteo Pompei".
Ulteriori saggi effettuati lo scorso anno hanno mostrato l’esistenza di gradini tagliati nella roccia madre lungo il pendio, o la roccia tagliata in orizzontale, l’organizzazione delle mura della città che prevedono qui un importante sistema di scolo delle acque.
"Quest’anno, bisognava avere la conferma archeologica che tali elementi facessero parte di un sistema di organizzazione urbana che riguardasse l’intera zona. E così grazie al supporto della Soprintendenza, del Polo Museale di Messina e del Museo di Mistretta, che hanno dato le necessarie autorizzazioni, e grazie all’aiuto del Comune di Tusa che ha partecipato al finanziamento dell’operazione, è stato possibile utilizzare un escavatore per realizzare una trincea che, sotto gli occhi attenti del nostro specialista di archeologia preventiva, Frédéric Gerber, ha fornito dati irrefutabili circa l’esistenza di un teatro”
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Scavi della MAFHA sull’acropoli meridionale : 3 settori di scavo © MAFHA 2018


L’entusiasmo di Michela e Vincent nel descrivere quei gradini tagliati nella roccia madre, i due sedili in pietra, uguali a quelli di altri teatri come Tindari e Solunto, il muro della parados meridionale e delle grandi lastre in pietra che ricoprono l’orchestra, trapela anche attraverso le loro parole, sebbene scritte.

La scoperta in Sicilia è il risultato della Missione Archeologica Francese che si avvale della sinergica cooperazione tra le Università di Amiens e di Poitiers - nelle quali Michela Costanzi e Vincent Michel rispettivamente insegnano - dell’equipe composta dagli archeologi di queste università e dell’Institut National pour les Recherches en Archéologie Préventive, dagli studenti delle Università di Amiens, Poitiers e Parigi.
La Missione si avvale anche della collaborazione dell’Università di Messina e di Oxford, che lavorano entrambe sul santuario di Apollo, e di quella di Palermo, impegnata nella necropoli settentrionale.

Definita da Cicerone «città bellissima» per i suoi monumenti che rispecchiavano un ruolo politico centrale oltre a una ricchezza legata soprattutto al suo porto dal quale partiva il grano della Sicilia in direzione di Roma, Halaesa è un sito di primaria importanza per la storia dell’isola.
Fondata alla fine del V secolo a.C, la città venne abbandonata nel IX secolo d.C.

“Il prestigio di questa città fondata dal re siculo Archonides di Herbita e divenuta in epoca ellenistica e romana un centro di primo piano - continuano Michela e Vincent - risiede nella sua lunga vita: circa 15 secoli che hanno lasciato traccia in tutto il sito antico.

Oltre a tessere un provvisorio bilancio della missione, gli archeologi snocciolano anche i prossimi obiettivi, un impegnativo lavoro che vedrà coinvolta l’intera equipe anche nei prossimi anni.
“Queste prime campagne di scavo permettono di confermare che Halaesa era una città dotata di un apparato monumentale importante, ancora da scoprire. Nei prossimi anni, c’è molto lavoro da fare : non soltanto gli scavi, il restauro e la valorizzazione di questo sito, ma anche la collaborazione tra le nostre università, la loro sinergia, che significheranno possibilità per i nostri studenti di formarsi nelle università che hanno aderito al partenariato, tra organizzazione di incontri internazionali, convegni, pubblicazioni”.


Lavori di pulizia e sondaggi nella zona del teatro © MAFHA 2018

Quello di trovarsi sul sito archeologico, nell’esatto momento in cui qualcosa fa capolino dal suolo è forse il sogno condiviso da molti appassionati d’arte e, probabilmente, l’attimo più emozionante per gli addetti ai lavori.

“L’emozione dell’archeologo è semplice. Come tutti gli scientifici, è felice quando, con le sue scoperte, partecipa modestamente alla conoscenza del passato e permette di capire come le persone vivevano, mangiavano, pregavano, si divertivano. Ma l’archeologo è felice anche quando può far parlare le vestigia che tira fuori dalla terra. Noi non siamo degli Indiana Jones alla ricerca personale di un oggetto importante: noi lavoriamo in sinergia con tanti specialisti diversi e tutti i muri e tutti gli oggetti ci aiutano a capire la vita dei nostri antenati e a ridare un senso alla nostra esistenza di uomini e donne del XXI secolo”.

L’ultima curiosità riguarda le sensazioni assaporate dagli archeologi in seguito al ritrovamento dell’antico teatro di Tusa. “Abbiamo percepito tre tipi di emozioni. La prima è stata una grande gioia, personale e dell’intera équipe. La seconda è stata una grande soddisfazione scientifica, dal momento che questa scoperta, che riveste una straordinaria importanza, è il compimento di un protocollo scientifico preciso. Infine abbiamo provato un’emozione umana, perché la scoperta del teatro risponde ad una forte attesa e ad una forte speranza dei cittadini di Tusa. La gioia immensa manifestata dalla cittadinanza è la nostra più grande ricompensa. L’archeologo è una sorta di cantore di storia e la terra è il libro da cui fa rinascere il passato”.