L'artista parla della sua personale, al Museo Arte Gallarate fino al 15 settembre
Arte, ambiente, confini: le riflessioni di Stefano Cagol in mostra al MaGa
Stefano Cagol, Evoke Provoke. Courtesy CLP
Samantha De Martin
11/06/2019
Varese - Un artista si aggira nell’estrema solitudine dei fiordi norvegesi con il suo treppiedi munito di videocamera, in quel breve lasso di crepuscolo che precede la notte artica.
Nel suo tentativo di comunicare con la natura, con la marea, con le lande gelate, Stefano Cagol mette in scena una serie di dimostrazioni di potere tipiche delle gang metropolitane, che incendiano bombolette spray per incutere timore. Queste fiamme sulle nevi artiche rimandano alle nostre emissioni dannose.
Evoke Provoke ricorda questa spedizione solitaria effettuata oltre il Circolo Polare nel 2010 e l’influenza dell’uomo nella sparizione dei ghiacci eterni.
Si tratta di uno degli spunti più significativi della personale dal titolo “Iperoggetto. Visioni tra confini, energia ed ecologia” in mostra al MaGa di Gallarate fino al 15 settembre.
L’esposizione, a cura di Alessandro Castiglioni, presenta videoinstallazioni, opere fotografiche e scultoree che documentano le grandi installazioni ambientali realizzate dall’artista trentino negli ultimi anni attorno a tematiche quali i cambiamenti climatici, le sorgenti energetiche, il mutamento dei confini.
La sparizione dei ghiacci e la responsabilità individuale in questo processo è l’immagine costante a cui il lavoro di Cagol fa riferimento. Ed è attraverso il suo viaggio che l’artista ricerca o incontra i paesaggi contemporanei e i simboli della nostra epoca.
Dal progetto al MaGa emerge l’intento di spostare l’arte all’esterno, per veicolare messaggi forti. In questo processo quale significato assume per lei il viaggio?
“Per me l’arte è comunicare e il viaggio è parte dell’opera. Per cercare di raggiungere un pubblico più ampio possibile forzo spesso le strutture monolitiche dei musei proponendo progetti in progress e coinvolgendo gli spettatori in progetti collaborativi. In quest’ottica non creo oggetti, ma costruisco progetti articolati, fatti di propaganda, azioni in spazi pubblici, installazioni effimere. Al MaGa si possono vedere due miei progetti. Il primo è “The End of the Border (of the mind)” del 2013, frutto della mia esperienza ai confini estremi del continente con un raggio orizzontale di luce che attraversa i confini fisici e mentali. L’altro è “The Body of Energy (of the mind)”, ancora in corso. Un viaggio in cui mi muovo attraverso l’Europa visualizzando invisibili scambi di energia con una videocamera a infrarossi. Strada facendo ho coinvolto una quindicina di musei.
Il titolo Iperoggetto fa riferimento alla teoria del filosofo inglese Timothy Morton. Che cos’è l’Iperoggetto di Stefano Cagol?
“È stata la curatrice spagnola Blanca de la Torre a usare il termine Iperoggetto come possibile chiave di lettura per la mia ricerca. È stata lei a farmi conoscere la filosofia di Timothy Morton ed ho subito trovato molto appropriato leggere le mie opere attraverso le sue teorie. Il suo Iperoggetto è un qualcosa di mutevole e difficile da afferrare, proprio come le questioni ecologiche. Iperoggetti sono i miei stessi progetti, visto che si muovono nello spazio e nel tempo, assumono forme diverse, rimangono aperti e in fieri”.
Il percorso espositivo prende avvio all’esterno, nella piazza anfiteatro del MaGa. Qui ad accogliere i visitatori è l’enorme scritta Flu power flu (Influenza, potere, influenza), che rimanda all’opera realizzata nel 2007 in piena influenza aviaria.
“Il termine ‘power’ - spiega Cagol - può essere inteso come potere, ma anche nel senso di energia. Credo che queste due cose oggi coincidano, visto che l’energia serve per produrre, ma anche per prevalere economicamente uno sull’altro. La società attuale esige una crescita economica continua, anche a costo di mettere in crisi il nostro stesso habitat. Installata per cinque anni a Bruxelles, sulla facciata dell’istituzione fiamminga Beursschouwburg, adesso viene presentata al MaGa per la prima volta”.
Cosa ha significato per lei lavorare nell’Artico?
“Sicuramente una svolta. In quei luoghi si entra nel profondo della natura e della sua immensa grandezza, lì ci si sente davvero piccoli al suo cospetto".
La rassegna di Gallarate prosegue quindi con The Body of Energy, progetto di ricerca ancora in corso dedicato allo spreco di energia. Una telecamera a infrarossi visualizza il calore del corpo umano come manifestazione di energia. Durante il suo viaggio attraverso l’Europa, dal Polo Nord a Gibilterra, dalla Germania alla Sicilia, l'artista ha costruito un grande archivio di materiali fotografici e video che di volta in volta vengono riconfigurati e ampliati a seconda dei contesti espositivi in cui il progetto viene presentato.
Potrebbe parlarci delle tappe più significative del suo viaggio o di un episodio che l’ha particolarmente emozionata?
“Quando sono partito sapevo solo la tappa iniziale e non quella successiva, poi il progetto è stato ospitato da molti musei europei. Ricordo quanto è stato difficile per i custodi del Folkwang di Essen permettere al pubblico di toccare le pareti del museo - per loro “sacre” - come chiedevo di fare. A Kristiansand ho lavorato con i ragazzi della città norvegese, a Manifesta a Palermo ho infuso energia all’edificio abbandonato al centro di Piazza Magione. Alla Reggia di Caserta ho innescato un scambio di energia con questo iconico palazzo reale: con le mani sfioravo quelle superfici monumentali e l’immagine all’infrarosso che tracciava il mio calore era proiettata sull’intera facciata monumentale. È stato molto emozionante. Rimandi all’attuale situazione ecologica, come il ghiaccio che fonde, una temperatura che cambia repentinamente sono divenuti elementi di esperienze performative fortemente espressive”.
Alla Biennale del 2013, come parte del Padiglione Nazionale delle Maldive, ha portato un blocco di ghiaccio delle Alpi davanti agli occhi dei passanti. Qual è stata la reazione del pubblico?
“Tutti, indistintamente, coglievano subito il messaggio diretto, semplice, quanto profondo dell’opera, amplificato dal fatto che si trovasse a Venezia, luogo acquatico sensibile e in difficoltà quanto le Maldive, ma non molto più delle Alpi, il posto in cui sono nato, dove la sparizione dei ghiacciai cambierà inesorabilmente quanto siamo abituati a vivere. Alpi e Maldive unite in un unico destino. L’opera ha avuto molta risonanza, ma il successo più grande scaturisce dall'essere riuscito a comunicare un messaggio ai passanti. Il blocco di ghiaccio era infatti posto per strada, lungo la riva, prima del ponte che porta all’Arsenale”.
Al MaGa è infatti presente il video “The Ice Monolith. Fade” che era esposto all’interno del Padiglione delle Maldive, con vette che emergono dal mare.
“Del resto - commenta Cagol - un tempo le Dolomiti erano fondali tropicali. I tempi della Terra non hanno nulla a che vedere con i nostri”.
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• Stefano Cagol. Iperoggetto. Visioni tra confini, energia ed ecologia
Nel suo tentativo di comunicare con la natura, con la marea, con le lande gelate, Stefano Cagol mette in scena una serie di dimostrazioni di potere tipiche delle gang metropolitane, che incendiano bombolette spray per incutere timore. Queste fiamme sulle nevi artiche rimandano alle nostre emissioni dannose.
Evoke Provoke ricorda questa spedizione solitaria effettuata oltre il Circolo Polare nel 2010 e l’influenza dell’uomo nella sparizione dei ghiacci eterni.
Si tratta di uno degli spunti più significativi della personale dal titolo “Iperoggetto. Visioni tra confini, energia ed ecologia” in mostra al MaGa di Gallarate fino al 15 settembre.
L’esposizione, a cura di Alessandro Castiglioni, presenta videoinstallazioni, opere fotografiche e scultoree che documentano le grandi installazioni ambientali realizzate dall’artista trentino negli ultimi anni attorno a tematiche quali i cambiamenti climatici, le sorgenti energetiche, il mutamento dei confini.
La sparizione dei ghiacci e la responsabilità individuale in questo processo è l’immagine costante a cui il lavoro di Cagol fa riferimento. Ed è attraverso il suo viaggio che l’artista ricerca o incontra i paesaggi contemporanei e i simboli della nostra epoca.
Dal progetto al MaGa emerge l’intento di spostare l’arte all’esterno, per veicolare messaggi forti. In questo processo quale significato assume per lei il viaggio?
“Per me l’arte è comunicare e il viaggio è parte dell’opera. Per cercare di raggiungere un pubblico più ampio possibile forzo spesso le strutture monolitiche dei musei proponendo progetti in progress e coinvolgendo gli spettatori in progetti collaborativi. In quest’ottica non creo oggetti, ma costruisco progetti articolati, fatti di propaganda, azioni in spazi pubblici, installazioni effimere. Al MaGa si possono vedere due miei progetti. Il primo è “The End of the Border (of the mind)” del 2013, frutto della mia esperienza ai confini estremi del continente con un raggio orizzontale di luce che attraversa i confini fisici e mentali. L’altro è “The Body of Energy (of the mind)”, ancora in corso. Un viaggio in cui mi muovo attraverso l’Europa visualizzando invisibili scambi di energia con una videocamera a infrarossi. Strada facendo ho coinvolto una quindicina di musei.
Il titolo Iperoggetto fa riferimento alla teoria del filosofo inglese Timothy Morton. Che cos’è l’Iperoggetto di Stefano Cagol?
“È stata la curatrice spagnola Blanca de la Torre a usare il termine Iperoggetto come possibile chiave di lettura per la mia ricerca. È stata lei a farmi conoscere la filosofia di Timothy Morton ed ho subito trovato molto appropriato leggere le mie opere attraverso le sue teorie. Il suo Iperoggetto è un qualcosa di mutevole e difficile da afferrare, proprio come le questioni ecologiche. Iperoggetti sono i miei stessi progetti, visto che si muovono nello spazio e nel tempo, assumono forme diverse, rimangono aperti e in fieri”.
Il percorso espositivo prende avvio all’esterno, nella piazza anfiteatro del MaGa. Qui ad accogliere i visitatori è l’enorme scritta Flu power flu (Influenza, potere, influenza), che rimanda all’opera realizzata nel 2007 in piena influenza aviaria.
“Il termine ‘power’ - spiega Cagol - può essere inteso come potere, ma anche nel senso di energia. Credo che queste due cose oggi coincidano, visto che l’energia serve per produrre, ma anche per prevalere economicamente uno sull’altro. La società attuale esige una crescita economica continua, anche a costo di mettere in crisi il nostro stesso habitat. Installata per cinque anni a Bruxelles, sulla facciata dell’istituzione fiamminga Beursschouwburg, adesso viene presentata al MaGa per la prima volta”.
Cosa ha significato per lei lavorare nell’Artico?
“Sicuramente una svolta. In quei luoghi si entra nel profondo della natura e della sua immensa grandezza, lì ci si sente davvero piccoli al suo cospetto".
La rassegna di Gallarate prosegue quindi con The Body of Energy, progetto di ricerca ancora in corso dedicato allo spreco di energia. Una telecamera a infrarossi visualizza il calore del corpo umano come manifestazione di energia. Durante il suo viaggio attraverso l’Europa, dal Polo Nord a Gibilterra, dalla Germania alla Sicilia, l'artista ha costruito un grande archivio di materiali fotografici e video che di volta in volta vengono riconfigurati e ampliati a seconda dei contesti espositivi in cui il progetto viene presentato.
Potrebbe parlarci delle tappe più significative del suo viaggio o di un episodio che l’ha particolarmente emozionata?
“Quando sono partito sapevo solo la tappa iniziale e non quella successiva, poi il progetto è stato ospitato da molti musei europei. Ricordo quanto è stato difficile per i custodi del Folkwang di Essen permettere al pubblico di toccare le pareti del museo - per loro “sacre” - come chiedevo di fare. A Kristiansand ho lavorato con i ragazzi della città norvegese, a Manifesta a Palermo ho infuso energia all’edificio abbandonato al centro di Piazza Magione. Alla Reggia di Caserta ho innescato un scambio di energia con questo iconico palazzo reale: con le mani sfioravo quelle superfici monumentali e l’immagine all’infrarosso che tracciava il mio calore era proiettata sull’intera facciata monumentale. È stato molto emozionante. Rimandi all’attuale situazione ecologica, come il ghiaccio che fonde, una temperatura che cambia repentinamente sono divenuti elementi di esperienze performative fortemente espressive”.
Alla Biennale del 2013, come parte del Padiglione Nazionale delle Maldive, ha portato un blocco di ghiaccio delle Alpi davanti agli occhi dei passanti. Qual è stata la reazione del pubblico?
“Tutti, indistintamente, coglievano subito il messaggio diretto, semplice, quanto profondo dell’opera, amplificato dal fatto che si trovasse a Venezia, luogo acquatico sensibile e in difficoltà quanto le Maldive, ma non molto più delle Alpi, il posto in cui sono nato, dove la sparizione dei ghiacciai cambierà inesorabilmente quanto siamo abituati a vivere. Alpi e Maldive unite in un unico destino. L’opera ha avuto molta risonanza, ma il successo più grande scaturisce dall'essere riuscito a comunicare un messaggio ai passanti. Il blocco di ghiaccio era infatti posto per strada, lungo la riva, prima del ponte che porta all’Arsenale”.
Al MaGa è infatti presente il video “The Ice Monolith. Fade” che era esposto all’interno del Padiglione delle Maldive, con vette che emergono dal mare.
“Del resto - commenta Cagol - un tempo le Dolomiti erano fondali tropicali. I tempi della Terra non hanno nulla a che vedere con i nostri”.
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