Too Early, Too Late. Middle East and Modernity
Dal 22 Gennaio 2015 al 12 Aprile 2015
Bologna
Luogo: Pinacoteca Nazionale
Indirizzo: via delle Belle Arti 56
Orari: martedì e mercoledì 9-13.30; da giovedì a sabato 14-19, domenica e festivi 14-19
Curatori: Marco Scotini
Costo del biglietto: € 4 intero, € 2 ridotto, gratuito per minori di 18 anni
Telefono per informazioni: +39 051 4209411
E-Mail info: sbsae-bo@beniculturali.it
Sito ufficiale: http://www.artefiera.bolognafiere.it/
Dopo il successo riscosso lo scorso anno dalla mostra Il Piedistallo Vuoto, dedicata all’ex-blocco sovietico, ArteFiera Collezionismi presenta, all’interno del proprio programma espositivo 2015, la più ampia rassegna mai realizzata in Italia sulla scena artistica medio-orientale: Too early, too late. Middle East and Modernity a cura di Marco Scotini, con la presenza di quasi sessanta artisti, oltre cento opere - provenienti dalle più prestigiose collezioni private italiane - e documenti storici, volti a indagare il rapporto dell’Oriente con la modernità occidentale e raccontare la complessa struttura sociale di un’“area culturale” in transizione.
Too early, too late occuperà gli spazi delle esposizioni temporanee della Pinacoteca Nazionale di Bologna ma si estenderà anche all’interno delle prestigiose collezioni del Trecento (da Vitale da Bologna alle scuole tardogotiche). Questo per sottolineare il fatto che Bologna “la dotta” era tra le cinque città (con Parigi, Oxford, Avignone e Salamanca) in cui il Concilio di Vienne del 1312 decise l’istituzione delle cattedre di arabo, ebraico e siriaco, ovvero le basi dell’orientalismo nell’Occidente cristiano. Ma la data che segna l’irruzione della modernità nel campo discorsivo del pensiero musulmano coincide con l’impresa Napoleonica in Egitto (1798), quando Bonaparte sbarcò col suo esercito per esplorare il Paese. Ricostruzioni documentarie e materiali originali d’archivio si alternano a opere d’arte di natura installativa, fotografica e filmica, in modo tale da poter marcare alcuni passaggi fondamentali delle vicende culturali e politico-sociali di questa progressiva occidentalizzazione dell’Oriente - dall’introduzione dello ‘stato-nazione’ all’importazione delle spettacolari istituzioni museali negli Emirati Arabi – attraverso alcune testimonianze storiche per interrogare la produzione artistica e culturale più recente, proiettando la macchina espositiva in una pluralità di tempi, spazi e narrazioni. Nell’urgenza della situazione geopolitica in atto, la mostra Too early, too late cerca di analizzare, attraverso l’arte, i luoghi comuni che hanno accompagnato nel tempo lo scontro e il confronto tra l’idea di una tradizione orientale rispetto alla modernità di matrice occidentale.
Con il collasso dell’Unione Sovietica - scrive il curatore della mostra Marco Scotini - il bipolarismo della Guerra Fredda sembra sia stato sostituito da una nuova dicotomia, quella tra Islam e Occidente, così come il vuoto lasciato dall’alternativa al capitalismo sembra sia stato colmato da identità nazionalistiche, etniche e religiose. Alla vecchia opposizione “politica” sarebbe subentrato piuttosto un “conflitto di civiltà”, a diversi regimi temporali, tra forme culturali arcaiche e avanzate, con l’idea di modernità (al-hadatha) quale discrimine Medio Oriente è un termine geopolitico europeo coniato da un giornale inglese alla svolta del secolo scorso. Da allora ha continuato a esistere più come oggetto teorico che come regione geografica. Così viene assunto in Too early, too late per rappresentare un’area che si estende anche al Nord Africa, Caucaso e Asia Centrale, tanto più che il centro di gravità tende a spostarsidal mondo arabo a quello turco-iranico: dall’Egitto all’Iraq e all’Arabia Saudita, così come dall’Azerbaijan ai margini del Kazakistan e dell’Afghanistan. Proprio a causa della loro particolare posizione, Istanbul e la Turchia rivestono nella mostra un ruolo cruciale quale porta d’Oriente, sia in senso geografico che politico, con la Repubblica di Ataturk del 1924.
L’esposizione, nella visione curatoriale, non tenta di registrare o riscrivere una storia, pur confrontandosi con un ampio spettro di accadimenti epocali, né di affrontare in una prospettiva post-orientalista i codici visivi e linguistici delle rappresentazioni dell’Oriente da parte dell’Occidente. Too Early, Too Late cerca di ricostruire l’incontro dell’Occidente con il mondo musulmano e, concentrandosi sulla scena artistica contemporanea, si posiziona intorno a un preciso “punto topografico”, da cui osservare quest’area aprendo a una costellazione tematica che articola lo spazio espositivo e discorsivo della mostra attraverso una serie di concatenamenti, a partire dal ritrovamento dell’unica copia rimasta dei filmati di Tel al Zaatar (1977) e attraverso il quadro tracciato dal “Taccuino Persiano” di Michel Foucault per il Corriere della Sera sull’insurrezione pro-Komeini a Teheran (1979).
Fino al titolo della mostra Too early, too late, tratto dal film sull’Egitto di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet Trop tôt/Trop tard del 1981 che ridefinisce i confini negoziabili del tempo storico. Vero e proprio capolavoro della storia del cinema, il film si concentra sulle lotte contadine della Francia del 1789 e dell’Egitto del 1952. Diviso tra la campagna bretone e quella egiziana, nella prima parte una voce fuori campo legge il testo di una lettera di Engels a Karl Kautsky del 1897 a proposito di ciò che rimane della rivoluzione francese. Nella seconda parte viene recitato un frammento dalla postfazione del libro La lutte des classes in Égypt de 1945 à 1968 di due autori arabi che scrivono sotto lo pseudonimo di Mahmoud Hussein (Maspero, 1969). Per tutto il film la nota coppia di cineasti cerca di inquadrare l’orizzonte della campagna deserta trovando un punto di vista ideale tra il cielo e la terra, lì dove Engels avrebbe precisato “se la Comune del 1793 con le sue aspirazioni di fraternità è venuta troppo presto, Babeuf a sua volta è giunto troppo tardi”. Uno dei pochi film in cui si è tentato di filmare il vento (Serge Daney), così la metafora di questo secondo capitolo espositivo, che ne Il Piedistallo Vuoto era lo spettro, è ancora una forza invisibile, qualcosa che c’è ma non si vede: dal vento che scuote gli alberi della campagna prima francese poi egiziana, nelle sequenze di Straub-Huillet, al vento dei processi rivoluzionari che rovescia l’ordine della storia. Una revisione dello sguardo sull’Oriente, invenzione dell’immaginario coloniale occidentale, offre, in un segmento spazio-temporale differente, quello della mostra, una diversa narrazione, tra percorsi di dominio e di emancipazione.
La mostra sarà accompagnata da una pubblicazione edita da Mousse Publishing in cui oltre a un intervista con Jean-Marie Straub sul film che dà il titolo al progetto compaiono numerosi contributi degli artisti sulla loro visione del rapporto con l’Occidente, insieme a un saggio di Hamadi Redissi e un testo critico del curatore Marco Scotini.
L’esposizione è stata resa possibile grazie alla consulenza curatoriale di Lorenzo Paini e ai prestiti delle maggiori collezioni private italiane, tra cui la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, la Collezione Enea Righi, Collezione La Gaia di Torino, Fondazione Giuliani, Fondazione Fotografia Modena, Collezione Agiverona, Collezione Palmigiano, Fondazione Nomas, Fondazione Videoinsight.
Artisti:
Lida Abdul, Mustafa Abu Ali, Bisan Abu Eisheh, Etel Adnan, Vyacheslav Akhunov, Can Altay, Omar Amiralay, Ayreen Anastas, Said Atabekov, Kutlug Ataman, Fikret Atay, Kader Attia, Vahap Avsar, Mahmoud Bakhshi, Gabriele Basilico, Neil Beloufa, CANAN, Céline Condorelli, Dina Danish, Cem Dinlenmi?, Peter Friedl, Rene Gabri, Sadhi Ghadirian, Yervan Gianikian - Angela Ricci Lucchi, Barbad Golshiri, Mona Hatoum, Malak Helmy, Emily Jacir, Khaled Jarrar, Lamia Joreige, Alimjan Jorobaev, Hiwa K., Hassan Khan, Abbas Kiarostami, Taus Makhacheva, Mona Marzouk, Ahmed Mater, Sabah Naim, Moataz Nasr, Navid Nuur, Walid Raad, Koka Ramishvili, Hany Rashed, Mario Rizzi, Ahmed Sabry, Roy Samaha, Hrair Sarkissian, Ariel Schlesinger, Hassan Sharif, Wael Shawky, Ahlam Shibli, Eyal Sivan, Jean Marie Straub-Danièle Huillet, Jinoos Taghizadeh, Lawrence Weiner, Mohanad Yaqubi, Amir Yatziv, Akram Zaatari.
Too early, too late occuperà gli spazi delle esposizioni temporanee della Pinacoteca Nazionale di Bologna ma si estenderà anche all’interno delle prestigiose collezioni del Trecento (da Vitale da Bologna alle scuole tardogotiche). Questo per sottolineare il fatto che Bologna “la dotta” era tra le cinque città (con Parigi, Oxford, Avignone e Salamanca) in cui il Concilio di Vienne del 1312 decise l’istituzione delle cattedre di arabo, ebraico e siriaco, ovvero le basi dell’orientalismo nell’Occidente cristiano. Ma la data che segna l’irruzione della modernità nel campo discorsivo del pensiero musulmano coincide con l’impresa Napoleonica in Egitto (1798), quando Bonaparte sbarcò col suo esercito per esplorare il Paese. Ricostruzioni documentarie e materiali originali d’archivio si alternano a opere d’arte di natura installativa, fotografica e filmica, in modo tale da poter marcare alcuni passaggi fondamentali delle vicende culturali e politico-sociali di questa progressiva occidentalizzazione dell’Oriente - dall’introduzione dello ‘stato-nazione’ all’importazione delle spettacolari istituzioni museali negli Emirati Arabi – attraverso alcune testimonianze storiche per interrogare la produzione artistica e culturale più recente, proiettando la macchina espositiva in una pluralità di tempi, spazi e narrazioni. Nell’urgenza della situazione geopolitica in atto, la mostra Too early, too late cerca di analizzare, attraverso l’arte, i luoghi comuni che hanno accompagnato nel tempo lo scontro e il confronto tra l’idea di una tradizione orientale rispetto alla modernità di matrice occidentale.
Con il collasso dell’Unione Sovietica - scrive il curatore della mostra Marco Scotini - il bipolarismo della Guerra Fredda sembra sia stato sostituito da una nuova dicotomia, quella tra Islam e Occidente, così come il vuoto lasciato dall’alternativa al capitalismo sembra sia stato colmato da identità nazionalistiche, etniche e religiose. Alla vecchia opposizione “politica” sarebbe subentrato piuttosto un “conflitto di civiltà”, a diversi regimi temporali, tra forme culturali arcaiche e avanzate, con l’idea di modernità (al-hadatha) quale discrimine Medio Oriente è un termine geopolitico europeo coniato da un giornale inglese alla svolta del secolo scorso. Da allora ha continuato a esistere più come oggetto teorico che come regione geografica. Così viene assunto in Too early, too late per rappresentare un’area che si estende anche al Nord Africa, Caucaso e Asia Centrale, tanto più che il centro di gravità tende a spostarsidal mondo arabo a quello turco-iranico: dall’Egitto all’Iraq e all’Arabia Saudita, così come dall’Azerbaijan ai margini del Kazakistan e dell’Afghanistan. Proprio a causa della loro particolare posizione, Istanbul e la Turchia rivestono nella mostra un ruolo cruciale quale porta d’Oriente, sia in senso geografico che politico, con la Repubblica di Ataturk del 1924.
L’esposizione, nella visione curatoriale, non tenta di registrare o riscrivere una storia, pur confrontandosi con un ampio spettro di accadimenti epocali, né di affrontare in una prospettiva post-orientalista i codici visivi e linguistici delle rappresentazioni dell’Oriente da parte dell’Occidente. Too Early, Too Late cerca di ricostruire l’incontro dell’Occidente con il mondo musulmano e, concentrandosi sulla scena artistica contemporanea, si posiziona intorno a un preciso “punto topografico”, da cui osservare quest’area aprendo a una costellazione tematica che articola lo spazio espositivo e discorsivo della mostra attraverso una serie di concatenamenti, a partire dal ritrovamento dell’unica copia rimasta dei filmati di Tel al Zaatar (1977) e attraverso il quadro tracciato dal “Taccuino Persiano” di Michel Foucault per il Corriere della Sera sull’insurrezione pro-Komeini a Teheran (1979).
Fino al titolo della mostra Too early, too late, tratto dal film sull’Egitto di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet Trop tôt/Trop tard del 1981 che ridefinisce i confini negoziabili del tempo storico. Vero e proprio capolavoro della storia del cinema, il film si concentra sulle lotte contadine della Francia del 1789 e dell’Egitto del 1952. Diviso tra la campagna bretone e quella egiziana, nella prima parte una voce fuori campo legge il testo di una lettera di Engels a Karl Kautsky del 1897 a proposito di ciò che rimane della rivoluzione francese. Nella seconda parte viene recitato un frammento dalla postfazione del libro La lutte des classes in Égypt de 1945 à 1968 di due autori arabi che scrivono sotto lo pseudonimo di Mahmoud Hussein (Maspero, 1969). Per tutto il film la nota coppia di cineasti cerca di inquadrare l’orizzonte della campagna deserta trovando un punto di vista ideale tra il cielo e la terra, lì dove Engels avrebbe precisato “se la Comune del 1793 con le sue aspirazioni di fraternità è venuta troppo presto, Babeuf a sua volta è giunto troppo tardi”. Uno dei pochi film in cui si è tentato di filmare il vento (Serge Daney), così la metafora di questo secondo capitolo espositivo, che ne Il Piedistallo Vuoto era lo spettro, è ancora una forza invisibile, qualcosa che c’è ma non si vede: dal vento che scuote gli alberi della campagna prima francese poi egiziana, nelle sequenze di Straub-Huillet, al vento dei processi rivoluzionari che rovescia l’ordine della storia. Una revisione dello sguardo sull’Oriente, invenzione dell’immaginario coloniale occidentale, offre, in un segmento spazio-temporale differente, quello della mostra, una diversa narrazione, tra percorsi di dominio e di emancipazione.
La mostra sarà accompagnata da una pubblicazione edita da Mousse Publishing in cui oltre a un intervista con Jean-Marie Straub sul film che dà il titolo al progetto compaiono numerosi contributi degli artisti sulla loro visione del rapporto con l’Occidente, insieme a un saggio di Hamadi Redissi e un testo critico del curatore Marco Scotini.
L’esposizione è stata resa possibile grazie alla consulenza curatoriale di Lorenzo Paini e ai prestiti delle maggiori collezioni private italiane, tra cui la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, la Collezione Enea Righi, Collezione La Gaia di Torino, Fondazione Giuliani, Fondazione Fotografia Modena, Collezione Agiverona, Collezione Palmigiano, Fondazione Nomas, Fondazione Videoinsight.
Artisti:
Lida Abdul, Mustafa Abu Ali, Bisan Abu Eisheh, Etel Adnan, Vyacheslav Akhunov, Can Altay, Omar Amiralay, Ayreen Anastas, Said Atabekov, Kutlug Ataman, Fikret Atay, Kader Attia, Vahap Avsar, Mahmoud Bakhshi, Gabriele Basilico, Neil Beloufa, CANAN, Céline Condorelli, Dina Danish, Cem Dinlenmi?, Peter Friedl, Rene Gabri, Sadhi Ghadirian, Yervan Gianikian - Angela Ricci Lucchi, Barbad Golshiri, Mona Hatoum, Malak Helmy, Emily Jacir, Khaled Jarrar, Lamia Joreige, Alimjan Jorobaev, Hiwa K., Hassan Khan, Abbas Kiarostami, Taus Makhacheva, Mona Marzouk, Ahmed Mater, Sabah Naim, Moataz Nasr, Navid Nuur, Walid Raad, Koka Ramishvili, Hany Rashed, Mario Rizzi, Ahmed Sabry, Roy Samaha, Hrair Sarkissian, Ariel Schlesinger, Hassan Sharif, Wael Shawky, Ahlam Shibli, Eyal Sivan, Jean Marie Straub-Danièle Huillet, Jinoos Taghizadeh, Lawrence Weiner, Mohanad Yaqubi, Amir Yatziv, Akram Zaatari.
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