The Bronze House
Dejanoff, The Bronze House, MAMbo, Bologna
Dal 01 Giugno 2012 al 09 Settembre 2012
Bologna
Luogo: MAMbo
Indirizzo: via Don Giovanni Minzoni 14
Orari: mart. merc. e ven. 12-18; giovedì, sab. dom. e festivi 12-20
Curatori: Gianfranco Maraniello
Costo del biglietto: intero € 6; ridotto € 4
Telefono per informazioni: +39 051 6496652/ 051 6496611
E-Mail info: ufficiostampamambo@comune.bologna.it
Sito ufficiale: http://www.mambo-bologna.org
Dal 1 giugno al 9 settembre 2012 il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di
Bologna apre i suoi spazi espositivi a Plamen Dejanoff per ospitare The
Bronze House, una spettacolare mostra a cura di Gianfranco Maraniello
che si inserisce nel percorso di avvicinamento alla costruzione del più
prezioso e imponente monumento in bronzo mai realizzato nell’arte
moderna e contemporanea.
Con The Bronze House Plamen Dejanoff intraprende il progetto a lungo
termine più ambizioso finora mai realizzato nel corso di una carriera
orientata verso l’esplorazione dei legami tra arte e processi economici e
l’indagine sul ruolo dell’artista e le sue possibilità operative nella società
contemporanea, che lo ha reso una figura controversa e spiazzante,
costantemente in bilico tra un’abile manipolazione di strategie estetiche
mutuate da dinamiche tipiche della società tardo-capitalista globalizzata
e una critica ironica quanto disincantata al sistema dell’arte.
L’artista inizia nel 2006 a delineare e sviluppare il monumentale progetto
Planets of Comparison per la sua città natale Veliko Tarnovo, un
affascinante centro di origine medievale che conserva ancora oggi
intatte le tracce del glorioso passato di capitale del Secondo Impero
Bulgaro. Nel centro della città Dejanoff acquisisce una serie di cantieri in
cui prevede di costruire alcune infrastrutture in bronzo per la creazione di
un centro culturale di utilizzo pubblico che comprenda una biblioteca, un
cinema, un teatro, uno spazio espositivo, un laboratorio per la produzione
artistica. Successivamente il suo intento originario si modifica
estendendosi fino al concepimento di una impresa più ampia e complessa
- in cui l’artista riveste contemporaneamente le funzioni di manager,
curatore, architetto, designer e collezionista - la cui riuscita è subordinata
alla compartecipazione di un network di partners internazionali tra artisti,
curatori, collezionisti, musei, gallerie e case editrici.
Per raccogliere i fondi necessari all’attuazione della sua idea, Dejanoff
istituisce una specifica Fondazione che promuove attraverso una
meticolosa strategia di marketing.
1
Al termine del processo di completamento degli edifici, ogni casa-scultura
dovrebbe essere costituita da moduli in bronzo, ognuno dei quali
interamente realizzato a mano secondo principi ingegneristici high-tech:
elementi della facciata e del pavimento, porte, pareti, scale e pezzi di
giunzione con cui è assemblata l’intera struttura.
The Bronze House è il primo di questi interventi architettonici, veri e propri
ambienti scultorei, a prendere concretamente forma in una colossale villa
di oltre 600 metri quadrati destinata ad essere assemblata in Bulgaria, le
cui fasi di avanzamento nel processo di costruzione vengono presentate
in un percorso espositivo itinerante che ha già coinvolto alcune
prestigiose istituzioni museali europee, tra cui il MUMOK Museum of
Modern Art Ludwig Foundation di Vienna, il MAK Austrian Museum of
Applied Arts / Contemporary Art di Vienna, il Kunstverein di Amburgo e, a
seguire la tappa italiana al MAMbo, il FRAC Champagne Ardenne di
Reims.
Gli straordinari volumi della Sala delle Ciminiere del Museo valorizzano la
monumentalità dell’opera scultorea presentando una versione composta
da circa 260 elementi che si sviluppano in verticale fino alla vertiginosa
altezza di oltre 7 metri, per un peso complessivo di oltre 18 tonnellate. In
essa l’artista gioca con la griglia architettonica vuota come un modello
ideale, astraendo la decorazione di edifici storici nella traduzione di una
struttura aperta.
La scelta di un materiale come il bronzo, di utilizzo classico nelle pratiche
artistiche ma del tutto anticonvenzionale in ambito architettonico,
rappresenta una sfida sia per le modalità costruttive tradizionali sia per la
lavorazione dei singoli elementi, vere e proprie opere d’arte in sé solo in
apparenza identici, mentre la tecnica di combinazione modulare a
incastro si ispira alle trame degli elementi decorativi caratteristici delle
case popolari in legno della regione, espressione di quella architettura
vernacolare organica che un affascinato Le Corbusier descrive nel suo
libro Viaggio in Oriente.
La ripetizione del modulo in un andamento verticale di identiche unità
prende ispirazione dalla celebre Colonna Infinita realizzata nel 1938 da
Costantin Brancusi, collocata nel parco pubblico della città romena di
Târgu Jiu, a breve distanza dal paese nativo Hobi?a. La scultura - una
costruzione in ghisa laminata alta oltre 30 metri simbolo dell’opera d’arte
come totem inaccessibile, astorico e atemporale - si caratterizza per non
avere né un centro né un inizio né una fine, riprendendo le antiche forme
lignee dei pilastri che sorreggono le tradizionali case rumene, a
simboleggiare un ideale diagramma dell’infinito.
2
Una seconda fonte di influenza dichiarata da Dejanoff per il
concepimento dell’opera è inoltre la Chinati Foundation istituita negli anni
Settanta da Donald Judd a Marfa in Texas, uno dei più spettacolari
esempi al mondi di collezione di arte ambientale, dove l’artista americano
stabilisce l’insediamento di una colonia di artisti per favorire la creazione
di opere non compatibili con le normali strutture espositive e museali.
Una sfida avventurosa analoga sembra voler intraprendere Plamen
Dejanoff con la decisione di fondare un sorprendente e inaspettato
microcosmo culturale in una città periferica come Veliko Tarnovo che,
nonostante la rilevante importanza storica attestata dalla dichiarazione
di Patrimonio Mondiale dell’Umanità da parte dell’Unesco, gode di scarsa
capacità attrattiva e appare urbanisticamente immutata rispetto alla
rappresentazione che Le Corbusier ne fece in alcuni disegni. Dejanoff
sceglie di sperimentare qui, in un luogo periferico ragionevolmente privo
di senso ai fini della costruzione di un consenso che legittimi la sua
esistenza nel sistema dell’arte e della cultura contemporanee, una
sofisticata azione di branding, non priva di ironia, che renda la città una
meta turistica tra le più desiderabili in Bulgaria all’insegna dello slogan
“Se il futuro incontra il passato”.
Il processo concettuale che porta l’artista a progettare un modello di
economia politica dell’arte speculare alla società e alle convenzioni
dell’arte odierne si risolve nella creazione di opera d’arte totale
altamente suggestiva, che apre la riflessione su alcune questioni come i
meccanismi e le finalità con cui le istituzioni museali occupano spazi
ideologici, e le implicazioni che derivano quando è un artista a ospitare
un museo e non viceversa.
Solo la compiuta e funzionale conclusione di questo progetto
rivoluzionario potrà decretare se la scommessa di Plamen Dejanoff sulla
possibilità di determinare un procedimento di creazione di un valore
riconosciuto nell’attuale sistema dell’arte mondiale avrà il successo come
esito finale.
Completano il percorso espositivo della mostra modelli e prototipi
architettonici, plastici, schizzi, disegni e collages che approfondiscono le
diverse fasi di studio per la realizzazione dell’opera, oltre ad alcune
opere installative che si muovono tra arte concettuale e immaginario iperpop:
giocattoli, cani, aspirapolvere, fiori, ruote, arredi contrassegnati dal
marchio identitario “Dejanoff” secondo un dispositivo più tipico di un
display commerciale che di un’esposizione di opere d’arte in un contesto
museale.
3
In occasione della mostra viene pubblicato per le Edizioni MAMbo un
Instant Book in versione trilingue (italiano / inglese / tedesco),
contenente un testo di Gianfranco Maraniello con interventi di Plamen
Dejanoff, corredato da un ampio apparato iconografico.
Bologna apre i suoi spazi espositivi a Plamen Dejanoff per ospitare The
Bronze House, una spettacolare mostra a cura di Gianfranco Maraniello
che si inserisce nel percorso di avvicinamento alla costruzione del più
prezioso e imponente monumento in bronzo mai realizzato nell’arte
moderna e contemporanea.
Con The Bronze House Plamen Dejanoff intraprende il progetto a lungo
termine più ambizioso finora mai realizzato nel corso di una carriera
orientata verso l’esplorazione dei legami tra arte e processi economici e
l’indagine sul ruolo dell’artista e le sue possibilità operative nella società
contemporanea, che lo ha reso una figura controversa e spiazzante,
costantemente in bilico tra un’abile manipolazione di strategie estetiche
mutuate da dinamiche tipiche della società tardo-capitalista globalizzata
e una critica ironica quanto disincantata al sistema dell’arte.
L’artista inizia nel 2006 a delineare e sviluppare il monumentale progetto
Planets of Comparison per la sua città natale Veliko Tarnovo, un
affascinante centro di origine medievale che conserva ancora oggi
intatte le tracce del glorioso passato di capitale del Secondo Impero
Bulgaro. Nel centro della città Dejanoff acquisisce una serie di cantieri in
cui prevede di costruire alcune infrastrutture in bronzo per la creazione di
un centro culturale di utilizzo pubblico che comprenda una biblioteca, un
cinema, un teatro, uno spazio espositivo, un laboratorio per la produzione
artistica. Successivamente il suo intento originario si modifica
estendendosi fino al concepimento di una impresa più ampia e complessa
- in cui l’artista riveste contemporaneamente le funzioni di manager,
curatore, architetto, designer e collezionista - la cui riuscita è subordinata
alla compartecipazione di un network di partners internazionali tra artisti,
curatori, collezionisti, musei, gallerie e case editrici.
Per raccogliere i fondi necessari all’attuazione della sua idea, Dejanoff
istituisce una specifica Fondazione che promuove attraverso una
meticolosa strategia di marketing.
1
Al termine del processo di completamento degli edifici, ogni casa-scultura
dovrebbe essere costituita da moduli in bronzo, ognuno dei quali
interamente realizzato a mano secondo principi ingegneristici high-tech:
elementi della facciata e del pavimento, porte, pareti, scale e pezzi di
giunzione con cui è assemblata l’intera struttura.
The Bronze House è il primo di questi interventi architettonici, veri e propri
ambienti scultorei, a prendere concretamente forma in una colossale villa
di oltre 600 metri quadrati destinata ad essere assemblata in Bulgaria, le
cui fasi di avanzamento nel processo di costruzione vengono presentate
in un percorso espositivo itinerante che ha già coinvolto alcune
prestigiose istituzioni museali europee, tra cui il MUMOK Museum of
Modern Art Ludwig Foundation di Vienna, il MAK Austrian Museum of
Applied Arts / Contemporary Art di Vienna, il Kunstverein di Amburgo e, a
seguire la tappa italiana al MAMbo, il FRAC Champagne Ardenne di
Reims.
Gli straordinari volumi della Sala delle Ciminiere del Museo valorizzano la
monumentalità dell’opera scultorea presentando una versione composta
da circa 260 elementi che si sviluppano in verticale fino alla vertiginosa
altezza di oltre 7 metri, per un peso complessivo di oltre 18 tonnellate. In
essa l’artista gioca con la griglia architettonica vuota come un modello
ideale, astraendo la decorazione di edifici storici nella traduzione di una
struttura aperta.
La scelta di un materiale come il bronzo, di utilizzo classico nelle pratiche
artistiche ma del tutto anticonvenzionale in ambito architettonico,
rappresenta una sfida sia per le modalità costruttive tradizionali sia per la
lavorazione dei singoli elementi, vere e proprie opere d’arte in sé solo in
apparenza identici, mentre la tecnica di combinazione modulare a
incastro si ispira alle trame degli elementi decorativi caratteristici delle
case popolari in legno della regione, espressione di quella architettura
vernacolare organica che un affascinato Le Corbusier descrive nel suo
libro Viaggio in Oriente.
La ripetizione del modulo in un andamento verticale di identiche unità
prende ispirazione dalla celebre Colonna Infinita realizzata nel 1938 da
Costantin Brancusi, collocata nel parco pubblico della città romena di
Târgu Jiu, a breve distanza dal paese nativo Hobi?a. La scultura - una
costruzione in ghisa laminata alta oltre 30 metri simbolo dell’opera d’arte
come totem inaccessibile, astorico e atemporale - si caratterizza per non
avere né un centro né un inizio né una fine, riprendendo le antiche forme
lignee dei pilastri che sorreggono le tradizionali case rumene, a
simboleggiare un ideale diagramma dell’infinito.
2
Una seconda fonte di influenza dichiarata da Dejanoff per il
concepimento dell’opera è inoltre la Chinati Foundation istituita negli anni
Settanta da Donald Judd a Marfa in Texas, uno dei più spettacolari
esempi al mondi di collezione di arte ambientale, dove l’artista americano
stabilisce l’insediamento di una colonia di artisti per favorire la creazione
di opere non compatibili con le normali strutture espositive e museali.
Una sfida avventurosa analoga sembra voler intraprendere Plamen
Dejanoff con la decisione di fondare un sorprendente e inaspettato
microcosmo culturale in una città periferica come Veliko Tarnovo che,
nonostante la rilevante importanza storica attestata dalla dichiarazione
di Patrimonio Mondiale dell’Umanità da parte dell’Unesco, gode di scarsa
capacità attrattiva e appare urbanisticamente immutata rispetto alla
rappresentazione che Le Corbusier ne fece in alcuni disegni. Dejanoff
sceglie di sperimentare qui, in un luogo periferico ragionevolmente privo
di senso ai fini della costruzione di un consenso che legittimi la sua
esistenza nel sistema dell’arte e della cultura contemporanee, una
sofisticata azione di branding, non priva di ironia, che renda la città una
meta turistica tra le più desiderabili in Bulgaria all’insegna dello slogan
“Se il futuro incontra il passato”.
Il processo concettuale che porta l’artista a progettare un modello di
economia politica dell’arte speculare alla società e alle convenzioni
dell’arte odierne si risolve nella creazione di opera d’arte totale
altamente suggestiva, che apre la riflessione su alcune questioni come i
meccanismi e le finalità con cui le istituzioni museali occupano spazi
ideologici, e le implicazioni che derivano quando è un artista a ospitare
un museo e non viceversa.
Solo la compiuta e funzionale conclusione di questo progetto
rivoluzionario potrà decretare se la scommessa di Plamen Dejanoff sulla
possibilità di determinare un procedimento di creazione di un valore
riconosciuto nell’attuale sistema dell’arte mondiale avrà il successo come
esito finale.
Completano il percorso espositivo della mostra modelli e prototipi
architettonici, plastici, schizzi, disegni e collages che approfondiscono le
diverse fasi di studio per la realizzazione dell’opera, oltre ad alcune
opere installative che si muovono tra arte concettuale e immaginario iperpop:
giocattoli, cani, aspirapolvere, fiori, ruote, arredi contrassegnati dal
marchio identitario “Dejanoff” secondo un dispositivo più tipico di un
display commerciale che di un’esposizione di opere d’arte in un contesto
museale.
3
In occasione della mostra viene pubblicato per le Edizioni MAMbo un
Instant Book in versione trilingue (italiano / inglese / tedesco),
contenente un testo di Gianfranco Maraniello con interventi di Plamen
Dejanoff, corredato da un ampio apparato iconografico.
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