Trame di vita in una collettiva a due piani
Dal 10 Settembre 2019 al 22 Settembre 2019
Milano
Luogo: Casa delle artiste
Indirizzo: via Magolfa 32
Curatori: Valentina Cavera
Dal 10 al 22 settembre all’interno della Casa delle Artiste avrà luogo l’esposizione “Trame di vita in una collettiva a due piani”, a cura di Valentina Cavera, durante la quale Rosachiara Carletto, Germano Casone, Patrizia Silingardi, Marina Pozzi, Loredana Caretti, Amos Loffreda proporranno il loro lavoro. Proprio come se realmente ognuno di questi artisti vi abitasse dentro, si svilupperà una relazione degli uni con gli altri, mentre le loro opere racconteranno le loro storie espresse attraverso l’arte pittorica o scultorea nel caso di Germano Casone.
Germano Casone [Villa Biscossi (PV), ‘47] attraverso le sue sculture di creta è come se desse voce ai bambini di tutto il mondo, partendo innanzi tutto dal bambino dentro di sé. Di cosa hanno bisogno i bambini d’oggi per crescere e diventare adulti in modo corretto? Come è fatto il loro presente? E un ipotetico paese dei bambini potrebbe esistere? I suoi bambini sono immersi nel sapere, cavalcano la fantasia su uno spicchio di luna, si affacciano dalle finestre di un borgo dove vige la semplicità. A lavoro concluso, Casone si sofferma molto sulla ricerca del titolo più appropriato, poiché in esso si svela il legame con la realtà, ovvero il concetto che cerca di esprimere nell’atto creativo, la sua filosofia di vita che traspare dalle sue opere scultoree. Lavora molto sulla natura dei bambini, sui loro passi verso il futuro. «Il futuro è loro. Gliel’abbiamo rovinato molto però noi grandi, anche se gli abbiamo dato una vita agiata – racconta Casone - è il sistema che va ricostruito per poter gioire di questa vita. L’istruzione, la cultura sono necessari. Oggi possediamo i computer ma pur essendo un grande salto evolutivo, ci si è allontanati dalla lettura. In primis i più giovani.» ”Un bimbo che legge sarà un adulto che pensa” è un lavoro che vede protagonista un bambino intento nella lettura, in cima a dei libri impilati gli uni sugli altri, mentre un adulto lo osserva con sguardo pensoso. In “La cultura va sostenuta con forza” si legge la precarietà d’essa, in quel gesto disperato di un uomo dinanzi ad una torre di testi sovrapposti che rischia di cadere, mentre alla sua sommità un bambino è preso dal suo libro. “Compagni di scuola” vede alcuni studenti sfogliare un medesimo gigantesco libro, un inno all’istruzione.
Il fascino derivato di Amos Loffreda
Le immagini femminili di Amos Loffreda (Chioggia,’62) sono una ricerca pittorica che mira alla rappresentazione della personalità del soggetto. Nel corso della sua carriera ha sperimentato la riproduzione di nature morte, ha interpretato la realtà in forma di astrazione ma la sua ricerca poi si è soffermata sul ritratto. D’altra parte Amos nasce come fotografo, quindi ha sempre lavorato con l’immagine. Successivamente, il passaggio alla pittura è stato determinato da alcune produzioni che coinvolgevano la pittura su elementi fotografici, finché l’elaborazione dei soli colori sulla tela è diventato una realtà costante. Il pavoneggiare delle sue donne, attraverso le chiome o gli abiti multicolori, emana tutto il fascino femminile. Non è un imitare la bellezza ma i soggetti che spesso cerca su internet sono persone che gli provocano un’emozione, da cui estrapolare l’essenza che le contraddistingue. Gli studi portati avanti a Venezia e gli approfondimenti sul disegno dal vero dinanzi alle modelle hanno influenzato la sua creatività e si sono concretizzati nei disegni che propone nel contemporaneo. Il gioco di colori che si condensa in piccoli interventi riprodotti ripetutamente attorno ai volti delle donne sono il suo modo di divagare nei percorsi dell’arte, per rendere le sue opere esclusive. «Ho approfondito il discorso sul mosaico e l’ho voluto riportare sui quadri attraverso parti di carte colorate selezionate e recuperate in una stamperia a Bassano. Successivamente aggiunta una resina particolare, abbino questa tecnica al disegno vero e proprio realizzato con olio su tela.» In un suo dipinto spicca una donna con in mano un piccolo volatile, esso s’intitola “Zeus che seduce Era”, rappresenta quindi un’immagine mitologica. La leggenda vuole che Zeus nel momento in cui entrò al potere, era deciso a prendere moglie. Essendo Era, sua sorella, di venerabile bellezza pensò a lei. Purtroppo la Dea era inavvicinabile, sempre controllata dalle serve; così dovette attendere il momento giusto. Il giorno che la vide entrare nel bosco si tramutò in un uccellino e quando lei lo raccolse dal terreno, lui si rivelò nelle sembianze di un baldo giovane, come in effetti era, e così anche ella se ne innamorò. “A Prisca” è un’opera che vede per protagonista una bambina nota nel suo paese che morì in tenera età. Lui la raffigura mentre insegue un cardellino, perché quell’uccellino nell’antichità era simbolo del trapasso dell’anima. Amos Loffreda è molto legato alla sua terra, per questo dipinge anche su un legno spiaggiato che raccoglie attorno all’isola su cui abita.
Le prospettive del tempo in Rosachiara Carletto
L’universo temporale di Rosachiara Carletto [Lonigo (VC) ‘56] si esprime attraverso i colori e la prospettiva con cui è costruita l’immagine del paesaggio. Il presente, il passato e il futuro sono impronta di cromatismi sensibili. Grazie all’uso della spatola i suoi oli su tela nascondono il dettaglio per guidare lo sguardo verso l’oggetto rappresentato affinché l’emozione, nell’impatto visivo, sia preponderante. I colori, l’armonia tra essi, il loro elaborarsi strutturalmente, in Rosachiara, sono come sogni ad occhi aperti. «A volte quando sogni vedi delle cose poco definite, intravedi qualcosa ma non si capisce cos’è – racconta Rosachiara - la mia ricerca mira a quel qualcosa di soffuso.» Le tematiche che affronta nei suoi dipinti ruotano attorno a elementi fissi da cui si originano versioni differenti di un argomento. Uno di essi è l’atmosfera o l’estate che vengono personificati sempre da un soggetto paesaggistico. Spesso è un paesaggio solitario dove sorgono isole, tra virgolette, in cui rifugiarsi, come nel caso di “isolotti come smeraldo”, “le atmosfere”, “la luna bussò”; altre volte quando sembra che l’artista ingrandisca il soggetto paesaggistico come con una lente di ingrandimento, le tonalità danno il senso di un’emozione più concreata, quasi tangibile. La realtà del particolare infatti rappresentata nell’”Estate” sembra quasi esserci vicina, nel presente. I suoi lavori si intrecciano con la temporalità dell’essere umano: quando coglie il soggetto da lontano dà un’impronta al tempo nel suo perdersi tra i giorni del quotidiano in vista di un futuro sperato, quando lo svela da vicino ci fa toccare il presente, frutto, nel suo caso, di un passato felice. «I soggetti che io dipingo passano sicuramente attraverso il mio vissuto, la natura in genere mi ha sempre affascinato. Ho sempre vissuto in paesini di campagna dove lo sguardo si perde nel verde, dove il rumore del vento è come una melodia e dove io spesso mi ritrovo assorta, con gli occhi socchiusi per cogliere le sfumature di uno scorcio e ad ascoltare il silenzio. – ci confida Rosachiara - Le mie marine “Atmosfere” sono nate un po' dalla mia passione per la laguna, per il delta del po', un po’ per la ricerca di qualcosa di infinito».
Le monocromatiche personalità di Marina Pozzi
Marina Pozzi [Limbiate, (Mi) ’60] conduce gli ospiti dinanzi a differenti soggetti che abitano nella sua interiorità, essendo parti di una sua biografia personale, legata a desideri, all’infanzia, all’ inconscio, al suo voler rivoluzionare la società che la circonda. Ogni persona è vestita di colore, in un gioco monocromatico che fa risaltare simbolicamente il proprio carattere. Il colore in Marina Pozzi è emozione, presenza attiva, potere d’essere. Utilizzando vari materiali e numerose tecniche pittoriche realizza questi ritratti. Ognuno di essi si esprime attraverso il colore, il segno, con cui traspare dalla materia e mediante una simbologia di elementi con cui viene presentato dall’artista. “Maternità”, in acrilico su cartoncino blu, raffigura una madre che allatta uno dei suoi due piccoli, entrambi vicini. I tratti dei loro corpi e dei loro visi sono decisi: la purezza del bianco si mescola al blu, ovvero alla profondità della vita. «Ho tracciato la maternità - spiega Marina - quella maternità tanto sognata, un passaggio quasi obbligatorio nella nostra società, che non potrà mai essere una condizione possibile per me a causa di un problema intimo. Un passaggio importante è stato trasferire l’atto creativo dai figli che avrei voluto ai miei dipinti, alla creatività artistica.» Quella bambina con il cappello, di colori scuri in acquerello, rappresenta lei stessa da piccina che nel corso del tempo le è rimasta dentro nonostante la durezza della vita l’abbia costretta a crearsi una spessa corazza e l’abbia schiacciata dal peso delle difficoltà. “La donna con l’orecchino di perla” rappresenta la gentilezza, l’eleganza, quelle qualità che lei possiede e che si aspetta di vedere anche nelle altre sue simili ma che, oggi come oggi, nota invece quanto si siano affievolite vorticosamente per quella pazza corsa di omologazione all’uomo... E poi compare “L’indiano” d’ acrilico rosso, avvolto da una nuvola di una tonalità più intensa, per esaltarne maggiormente la grinta. Una grinta che Marina Pozzi ha e che incarna la sua mascolinità: «L’indiano è la forza del guerriero.»
Il disegno libero di Patrizia Silingardi
Il segno distintivo di Patrizia Silingardi (Modena, ’59) si concretizza da una parte nelle sue proposte di rappresentazione oggettuale su differenti piani materici, dall’altro nel suo muoversi agilmente tra tecniche artistiche anche distanti tra loro, come la pittura e il ricamo: acquerello giapponese su veline giapponesi oppure su tele di lino antiche, tecniche miste con acquerello giapponese dipinto su pannelli lavorati a scrostature, simili a vecchi muri… acquerello giapponese dipinto su tele con colori per stoffe. La femminilità, la delicatezza, la pulizia del gesto creativo dona alle sue opere, colte nella loro essenzialità, una purezza di significato. Questo suo modo di fare e intendere l’arte la lega sicuramente all’oriente, alla filosofia che caratterizza questo paese lontano: una scoperta avvenuta a posteriori, lungo il suo percorso di ricerca. Contraria ai gesti ripetitivi, alla monotonia dettata dalla pittura convenzionale, come quella realizzata con l’olio, la tempera su tela o il classico acquerello, ha cominciato ad appassionarsi, una volta conosciuto, all’acquerello giapponese. «Il fatto di non disegnare niente, di andare assolutamente a mano libera, di lasciare che l'acqua e il colore facciano un po' da padroni, anche se in verità è poi sempre l’artista artefice del prodotto finale, mi ha fatto pensare “ecco questa è la mia pittura”.» La libertà totale di essere nella materia, l’armonia tra il pennello e l’oggetto che si nasconde nell’elemento sul quale il colore si adopera, in Patrizia è come uno svelare il già nato! I suoi fiori navigano in colori d’emozione ed al contempo diventano decorazioni attraverso l’ago e il filo, un esercizio di precisione, che diventa quasi una meditazione, dove i pensieri si perdono tra un petalo e l’altro.
Sperimentazioni di Loredana Caretti
Loredana Caretti (Milano, ’50) inizialmente attraversa i sentieri dell’arte per mano di un pittore lombardo, Aldo Sterchele, grazie al quale sperimenta differenti tecniche. Successivamente, interiorizzando il linguaggio di rappresentazione si muove su diversi piani di ricerca: dal paesaggio alle nature morte fino ad arrivare al ritratto, ad ambientazioni abitate. Da una parte, tratta la natura morta con allegria, usando colori che rendono la tavola felice, di buona compagnia, mentre quando sceglie altri tipi di soggetti li capta in atmosfere particolari… silenziose, raccolte, intime, in colori malinconici, slavati o perfino oscuri. La sua meta è forse cogliere gli individui intenti in dialoghi quasi segreti e nello stesso tempo svelare il rapporto che vive dentro noi stessi, in quell’incessante evoluzione interiore, come nell’opera che raffigura due donne con i capelli neri. Ritraggono rispettivamente il pudore e la vanità ed in realtà sono la stessa persona ma rappresentata in due momenti diversi della crescita. Osservando i suoi lavori, si respira un’atmosfera di intimità tra persone affini sotto degli ombrelli o all’interno di una sala tra donne…e poi nasce quel paesaggio con i rami spogli: dove tutto sembra spogliato dell’avere fa intravedere l’essere. Nell’apparire di questa nudità paesaggistica s’intravede l’anima del mondo. Il mare appare vivace, testimone di un trascorso felice. «Ho introdotto nel dipinto una rete vera e propria, me l’ha data un pescatore del mare di Cesenatico. Esce dalla barca disegnata. L’opera l’ho realizzata pensando ai miei due nipoti. Infatti i nomi incisi sulla barca, sono proprio i loro, Marco e Michelle. Noi ci divertiamo nell’acqua. Ho cominciato a colorarla con la tempera e poi con la spatola ho agito sulla tempera e così sono nati dei riflessi che non potevo immaginare. L’ho coperta con la damar e l’ho ripassata infine con i colori ad olio, però quei riflessi nati per caso sono rimasti.»
Inaugurazione 10 settembre, dalle 18.30
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