Altari ed ex voto emergono dagli scavi presso il tempio greco

Eros, delfini, teste di toro. Il tempietto di Paestum restituisce sorprese

Ritrovamenti al Parco archeologico di Paestum e Velia | Courtesy Parco archeologico di Paestum & Velia
 

Samantha De Martin

18/04/2023

Salerno - C’è eros a cavallo del delfino che la fantasia potrebbe rimandare al mitico Poseidon, il dio che ha dato il nome alla città, Paestum, chiamata dai Greci Poseidonia.
E ancora teste di toro, una straordinaria gorgone, piccoli capolavori di artigianato. Sono solo alcune delle suggestive testimonianze riemerse presso il tempio greco lungo le mura ovest di Paestum, all’interno di uno scavo finalizzato a riportare alla luce il santuario scoperto nel 2019 lungo le mura della città antica e che, come ha anticipato all’ANSA la direttrice del parco archeologico Tiziana D’Angelo, potrebbe “cambiare la storia conosciuta dell’antica Poseidonia”.

La straordinaria sorpresa ha riguardato il basamento in pietra con i gradini d’accesso e la delimitazione della cella che accoglieva la divinità, le decorazioni in terracotta colorata del tetto con i gocciolatoi a forma di leone, una gorgone, una statua di Afrodite. E poi l’altare con la pietra scanalata per la raccolta dei liquidi dei sacrifici, centinaia di ex voto tra i quali spiccano le immagini di eros a cavallo del delfino.


Offerta votiva in terracotta raffigurante un leone | Courtesy Parco archeologico di Paestum e Velia

Questi ritrovamenti hanno consentito agli studiosi di spalancare una finestra su un frammento di storia lungo mezzo secolo, accendendo i riflettori sulla vita della città fondata dai greci di Sibari nel 600 a.C, passata sotto i lucani per diventare infine una colonia di Roma. Un contesto unico che, come ha spiegato il direttore generale musei Massimo Osanna, “accende una luce molto interessante sulla vita religiosa antica”, ricordando che le ricerche archeologiche fatte a Paestum negli anni ’50 intorno ai templi maggiori non furono scientificamente documentate.

Avviati nel 2020 e interrotti dalla pandemia, gli scavi sono ripresi da qualche mese. “Quello che oggi ci troviamo davanti – ha spiegato la direttrice Tiziana D’Angelo – è il momento in cui il santuario, per motivi ancora tutti da chiarire, viene abbandonato, tra la fine del II e l’inizio del I sec. a C.”. L’analisi delle decorazioni fittili ha reso possibile datarne la fondazione nel primo quarto del V secolo a C., quando nella colonia greca erano già stati costruiti alcuni dei più importanti edifici monumentali arrivati fino a noi, come il tempio di Hera, realizzato tra il 560 e il 520 a.C., e quello di Atena, risalente al 500 a.C. Un po’ più tardi, nel 460 a.C., dopo una lunga gestazione, fu completato il tempio di Nettuno.


Elemento architettonico di decorazione del tempio con gocciolatoio a protome leonina | Courtesy Parco archeologico di Paestum e Velia

Il tempietto è, come gli altri, in stile dorico, ma si distingue per la purezza delle forme e le dimensioni molto contenute - 15,60 metri per 7,50 - con quattro colonne sul fronte e sette sui fianchi. “È il più piccolo tempio periptero dorico che conosciamo prima dell’età ellenistica - spiega Gabriel Zuchtriegel, l’ex direttore di Paestum, oggi alla guida di Pompei - il primo edificio che a Paestum esprime pienamente il canone dorico. Quasi un modello in piccolo del grande tempio di Nettuno, una sorta di missing link tra il VI e il V secolo a.C.”

Questo tempio prova in qualche modo l’autonomia artistica e culturale della comunità smentendo chi ha sempre creduto che nelle colonie ci si limitasse a imitare le produzioni della madrepatria. Tra gli oggetti rinvenuti nello spazio che separa il fronte dell’edificio dall’altare figurano statuette in terracotta con i volti degli offerenti o quelli delle divinità, templi e altari in miniatura. Non mancano piccoli capolavori di artigianato che si aggiungono alle sette teste di toro ritrovate intorno all’altare, molto probabilmente “oggetti di scena” a disposizione di chi amministrava il culto.
Sembra quasi di vederlo l’officiante poggiare in terra con devozione questi oggetti, “come in un rito di chiusura” ipotizza D’Angelo, praticato quando il santuario, che pure continuò ad essere frequentato anche in epoca lucana e poi dal 273 a.C. con l’arrivo dei romani, cadde in disuso.


Veduta aerea del Parco archeologico di Paestum & Velia

“Il ritrovamento di centinaia di ex voto, statue e altari nel tempietto di Paestum – ha commentato il ministro della cultura, Gennaro Sangiuliano – conferma lo straordinario valore di questo sito e le sue grandi potenzialità sulle quali stiamo lavorando. Poco più di un mese fa mi sono recato a Paestum proprio per verificare lo stato del Parco archeologico e capire tutto quello che si può fare, anche in termini di finanziamenti, per rafforzare le attività di conservazione e di sviluppo dell’area. Ogni scavo che riporta alla luce le testimonianze storiche del passato dimostra l’immensa ricchezza del patrimonio archeologico della nostra nazione di cui c’è ancora molto da scoprire”.

Tra gli elementi più interessanti di questo ritrovamento spicca, proprio su una delle statuette col delfino, la firma degli Avili, una famiglia di ceramisti originaria del Lazio, ma conosciuta anche a Delo, la cui presenza a Paestum non era mai stata documentata. Del tutto originale risulta anche l’ubicazione di questo santuario, costruito nella città, ma lontano dal centro e dagli altri templi, a ridosso delle mura. Si affacciava sul mare e per le navi che passavano doveva essere uno spettacolo trovarselo di fronte. Potrebbe essere questo il tempio intitolato al dio che ha dato nome alla città? “E’ ancora presto per dirlo – commenta D’Angelo – ma l’ipotesi è estremamente interessante”. Al momento rimane solo una suggestione. In attesa che gli scavi accendano nuove luci sulla storia.