Diaspora e Stanzialità nella Terra dei Bruzi
Dal 13 Novembre 2012 al 13 Febbraio 2013
Cosenza
Luogo: MAB - Museo all'Aperto
Indirizzo: corso Mazzini
Curatori: Francesca Pietracci, Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona
Telefono per informazioni: +39 0984 813226
E-Mail info: misasi@comune.cosenza.it
Sito ufficiale: http://www.mapcosenza.it
Justin Peyser si è laureato ad Harvard presso il Department of Visual and Environmental Studies.
I suoi interessi riguardarono fin dall’inizio lo spazio in relazione all'architettura, in particolare alle periferie e alle aree urbane in disuso. È impegnato con una banca etica in progetti di restauro e riqualificazione delle aree neglette della città di New York (Bronx, Brooklyn, Newark).
Diaspora e sterminio rappresentati dalla metafora di un ballo struggente e corale. Le sculture di Justin Peyser dal porto di New York attraversano l’Oceano Atlantico, il Mar Mediterraneo e approdano come prima tappa a Venezia (Ca’ Zenobio - Collegio degli Armeni), per poi giungere a Napoli (Maschio Angioino e PAN /Palazzo Arti Napoli) e proseguire il loro viaggio in Italia.
Queste opere vorrebbero ora approdare a Cosenza (MAB e Palazzo dei Bruzi) con una nuova mostra intitolata “Diaspora e Stanzialità nella Terra dei Bruzi”, curata da Francesca Pietracci e Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona
La sezione esterna della mostra è composta da 9 grandi sculture che rappresentano personaggi danzanti misteriosi e senza volto, in grado di ricordare ai passanti la danza della vita e, ad un pubblico più esperto, l’indimenticabile canzone di Leonard Cohen intitolata “Dance me to the end of love”, ripresa dal motivo suonato da un quartetto d’archi di musicisti ebrei alla soglia di un forno crematorio.
La sezione interna è composta da 7 sculture concepite come testimonianza dei ruderi della nostra vorticosa civiltà. Un’eco di ciò che abbiamo ascoltato e abbiamo visto, ciò che in definitiva resta concretamente delle nostre esperienze e delle nostre protesi tecnologiche.. Le opere sono realizzate in lamiere metalliche e sono tenute insieme da spesse saldature lasciate ruvide, con la bruciatura della fiamma visibile, perché, come sostiene l’artista stesso, l’andare vagabondando nella diaspora lascia cicatrici, così come il loro sbilanciamento da un lato rappresenta l’essere in bilico tra due patrie. (…)
Francesca Pietracci (Storica dell’arte e Curatrice)
Da ebreo Peyser conosce il sacrificio di un popolo che lotta per non perdere la propria identità etnica e culturale ed è solidale con i figli di tutte le diaspore.
Il sentirsi in esilio è un’esperienza che in diversa misura tocca ogni essere umano e non necessariamente un intero popolo, né si tramanda per generazioni, perché l’esilio, in generale, coinvolge soprattutto la persona che è costretta a viverlo. Ma l’esilio come esperienza che tocca un’intera collettività è un fenomeno specifico soltanto di alcuni popoli e di alcune etnie. Uno degli esempi più eclatanti è quello del popolo ebraico e in particolare della Comunità ebraica che è vissuta e ha prosperato fino alla fine del quindicesimo secolo nel Regno delle due Sicilie. Ci chiediamo, allora, quali sono i significati, anche kabbalistici, dell’esilio e della Diaspora?Quali sono state le loro ripercussioni? Come si confronta il mondo dell’arte con questa esperienza?
Scialom Bahbout (Rabbino Capo Comunità ebraiche del Sud Italia)
(…) Quello aragonese (1442-1501) fu il periodo più felice degli ebrei in Calabria. Ogni città o villaggio aveva la sua Giudecca. A Cosenza il quartiere Cafarune faceva parte della Giudecca (G.Rohlfs, Dizionario toponomastico dialettale della Calabria, Ravenna, Longo 1982) Tra XIII e XIV sec., arrivarono numerosi ebrei dediti alla mercatura e al commercio in Val di Crati (da C.so Telesio fino al quartiere Spirito Santo e Crati) dove sorgeva una Sinagoga. In un capitolo del 1465 ottennero di dover rispondere per eventuali questioni solo all’ufficiale ordinario e non al maestro di fiera (Fiera della Maddalena-Cosenza). Ottaviano Salomonio introdusse l’arte della stampa, il primo libro stampato fu “De immortalitate animae” (T.Cornacchioli: nobili, borghesi e intellettuali nella Cosenza del quattrocento. L’Accademia parrasiana e l’’Umanesimo cosentino, Cosenza Periferia 1990). La comunità ebraica rimase ufficialmente in Calabria fino al XVI sec. quando Ferdinando il Cattolico emanò un primo editto di espulsione nel 1503. Suo nipote Carlo V obbligò tutti gli ebrei a lasciare definitivamente il Regno, ma la permanenza di ebrei a Cosenza fu costante nei secoli successivi, come può testimoniare l’esistenza a tutt’oggi di una comunità.
I suoi interessi riguardarono fin dall’inizio lo spazio in relazione all'architettura, in particolare alle periferie e alle aree urbane in disuso. È impegnato con una banca etica in progetti di restauro e riqualificazione delle aree neglette della città di New York (Bronx, Brooklyn, Newark).
Diaspora e sterminio rappresentati dalla metafora di un ballo struggente e corale. Le sculture di Justin Peyser dal porto di New York attraversano l’Oceano Atlantico, il Mar Mediterraneo e approdano come prima tappa a Venezia (Ca’ Zenobio - Collegio degli Armeni), per poi giungere a Napoli (Maschio Angioino e PAN /Palazzo Arti Napoli) e proseguire il loro viaggio in Italia.
Queste opere vorrebbero ora approdare a Cosenza (MAB e Palazzo dei Bruzi) con una nuova mostra intitolata “Diaspora e Stanzialità nella Terra dei Bruzi”, curata da Francesca Pietracci e Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona
La sezione esterna della mostra è composta da 9 grandi sculture che rappresentano personaggi danzanti misteriosi e senza volto, in grado di ricordare ai passanti la danza della vita e, ad un pubblico più esperto, l’indimenticabile canzone di Leonard Cohen intitolata “Dance me to the end of love”, ripresa dal motivo suonato da un quartetto d’archi di musicisti ebrei alla soglia di un forno crematorio.
La sezione interna è composta da 7 sculture concepite come testimonianza dei ruderi della nostra vorticosa civiltà. Un’eco di ciò che abbiamo ascoltato e abbiamo visto, ciò che in definitiva resta concretamente delle nostre esperienze e delle nostre protesi tecnologiche.. Le opere sono realizzate in lamiere metalliche e sono tenute insieme da spesse saldature lasciate ruvide, con la bruciatura della fiamma visibile, perché, come sostiene l’artista stesso, l’andare vagabondando nella diaspora lascia cicatrici, così come il loro sbilanciamento da un lato rappresenta l’essere in bilico tra due patrie. (…)
Francesca Pietracci (Storica dell’arte e Curatrice)
Da ebreo Peyser conosce il sacrificio di un popolo che lotta per non perdere la propria identità etnica e culturale ed è solidale con i figli di tutte le diaspore.
Il sentirsi in esilio è un’esperienza che in diversa misura tocca ogni essere umano e non necessariamente un intero popolo, né si tramanda per generazioni, perché l’esilio, in generale, coinvolge soprattutto la persona che è costretta a viverlo. Ma l’esilio come esperienza che tocca un’intera collettività è un fenomeno specifico soltanto di alcuni popoli e di alcune etnie. Uno degli esempi più eclatanti è quello del popolo ebraico e in particolare della Comunità ebraica che è vissuta e ha prosperato fino alla fine del quindicesimo secolo nel Regno delle due Sicilie. Ci chiediamo, allora, quali sono i significati, anche kabbalistici, dell’esilio e della Diaspora?Quali sono state le loro ripercussioni? Come si confronta il mondo dell’arte con questa esperienza?
Scialom Bahbout (Rabbino Capo Comunità ebraiche del Sud Italia)
(…) Quello aragonese (1442-1501) fu il periodo più felice degli ebrei in Calabria. Ogni città o villaggio aveva la sua Giudecca. A Cosenza il quartiere Cafarune faceva parte della Giudecca (G.Rohlfs, Dizionario toponomastico dialettale della Calabria, Ravenna, Longo 1982) Tra XIII e XIV sec., arrivarono numerosi ebrei dediti alla mercatura e al commercio in Val di Crati (da C.so Telesio fino al quartiere Spirito Santo e Crati) dove sorgeva una Sinagoga. In un capitolo del 1465 ottennero di dover rispondere per eventuali questioni solo all’ufficiale ordinario e non al maestro di fiera (Fiera della Maddalena-Cosenza). Ottaviano Salomonio introdusse l’arte della stampa, il primo libro stampato fu “De immortalitate animae” (T.Cornacchioli: nobili, borghesi e intellettuali nella Cosenza del quattrocento. L’Accademia parrasiana e l’’Umanesimo cosentino, Cosenza Periferia 1990). La comunità ebraica rimase ufficialmente in Calabria fino al XVI sec. quando Ferdinando il Cattolico emanò un primo editto di espulsione nel 1503. Suo nipote Carlo V obbligò tutti gli ebrei a lasciare definitivamente il Regno, ma la permanenza di ebrei a Cosenza fu costante nei secoli successivi, come può testimoniare l’esistenza a tutt’oggi di una comunità.
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