Amos Gitai. Strade / Ways
Dal 02 Dicembre 2014 al 01 Febbraio 2015
Milano
Luogo: Palazzo Reale
Indirizzo: piazza Duomo 12
Orari: lunedì 14.30-19.30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30-19.30; giovedì e sabato 9.30-22.30
Enti promotori:
- Comune di Milano - Cultura
Costo del biglietto: intero € 6, ridotto € 4, speciale visitatori Chagall € 3
Telefono per informazioni: +39 02 0202 / 02 88451
E-Mail info: Comunicazione.UfficioStampa@comune.milano.it
Sito ufficiale: http://www.comune.milano.it
Una mostra/installazione creata dal grande regista israeliano per la Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale di Milano che, con sue fotografie in grande formato, sequenze di suoi film, dispositivi sonori e visivi, indica i legami che uniscono culture, storie e persone nelle terre del medio e del lontano Oriente.
Dal 2 dicembre 2014 al 1° febbraio 2015, Palazzo Reale a Milano ospita Strade/Ways, la mostra/installazione inedita del grande regista israeliano Amos Gitai, creata appositamente per la Sala delle Cariatidi.
L’iniziativa è promossa dal Comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale, GAmm Giunti e Centro Studi Moshe Tabibnia.
Sequenze di film, fotografie, documenti, tappeti antichi e dispositivi visivi e sonori compongono l’opera che trae ispirazione da tre differenti percorsi. Il primo, è il film Lullaby to my father, dedicato alla vita di suo padre, l’architetto del Bauhaus Munio Weinraub che, costretto a fuggire dai nazisti, si trasferirà in Palestina e svolgerà un ruolo decisivo nella nascita dell’architettura israeliana; il secondo, è la conversazione tra Gitai e il grande fotografo milanese Gabriele Basilico, sulla fotografia, l’architettura, gli scenari del film Free Zone dedicato ad un luogo/non luogo che raggiunsero insieme; il terzo, che occupa l’intera sala delle Cariatidi, ricostruisce il processo che porta alla nascita di Carpet, il nuovo film del regista, le cui riprese non sono ancora iniziate.
Il percorso espositivo prende avvio dal film Lullaby to my father che Gitai dedicò a suo padre, il famoso architetto, Munio Weinraub. Giunto a 18 anni al Bauhaus di Dessau, la straordinaria scuola diretta da Gropius, partecipa alla vita di quel luogo di studio e ricerca, dove incontra e lavora anche con Kandinsky e Mies van der Rohe, come testimoniano le corrispondenze venute alla luce durante la lavorazione del film. Nel giugno del 1933, dopo avere partecipato alla breve stagione del Bauhaus a Berlino, Munio viene condannato come “traditore del popolo tedesco” e costretto a emigrare in Svizzera per poi trasferirsi ad Haifa dove condusse la sua attività professionale, senza mai dimenticare gli insegnamenti e il rigore della scuola che lo aveva formato. Gabriele Basilico fissa in fotografia le molte costruzioni realizzate in Israele e al suo ricordo di uomo e di architetto si rivolge la poesia del figlio che dà il titolo al film.
Free Zone è un road-movie che parla dell’incontro di tre donne, un’americana (Natalie Portman), un’israeliana (Hanna Lazslo) e una palestinese (Hiam Abbas), in quella zona franca, a est della Giordania, dove regna la pace senza alcuna barriera tra stati. Sono esposte alcune immagini tratte dal film, oltre a degli estratti della lunga conversazione tra Gitai e Gabriele Basilico, avvenuta durante il viaggio che i due avevano intrapreso proprio in quei luoghi, che abbraccia temi quali l’architettura, la fotografia e il cinema.
La sezione di Free Zone introduce alla maestosa sala delle Cariatidi dove Gitai ha allestito un affascinante percorso di grandi fotografie, rarissimi tappeti, proiezioni e suoni intorno al tema del suo prossimo film, Carpet, la cui sceneggiatura inedita è pubblicata nel catalogo della mostra.
La pellicola racconterà la storia a ritroso di un tappeto, dalla casa d’asta dove è stato battuto fino al luogo della sua produzione, attraverso immagini di luoghi, paesaggi, popoli e persone raccolte lungo tutto il viaggio.
In questa ambientazione, coinvolgente ed emozionante, alcuni straordinari tappeti, scelti da Moshe Tabibnia nella sua collezione, segneranno i passaggi dei luoghi, delle culture, delle storie e dei popoli che vivono e viaggiano tra il Mediterraneo e l’Oriente.
“Carpet - afferma Gitai - propone un viaggio in diversi territori e rappresenta al contempo un oggetto concreto, ossia un bellissimo tappeto, frutto di tradizioni e abilità artigianali secolari, ma anche una metafora delle relazioni che nel corso dei secoli sono state intessute tra i popoli orientali nonché tra Oriente e Occidente”.
Al progetto di illuminazione della mostra ha contribuito Jean Kalman, impegnato in questi giorni a curare le luci del Fidelio, opera che aprirà la stagione scaligera.
Le suggestioni suggeritegli dalla sala delle Cariatidi, le cui decorazioni sono state in parte distrutte durante la seconda guerra mondiale, hanno portato Gitai a utilizzare il soffitto come un ideale schermo da proiezione. Lo stesso regista afferma che “con le sue statue andate in parte perdute e i suoi specchi antichi, questa sala davvero magnifica emana un fascino particolare. Ed è proprio qui che ho deciso di installare le proiezioni. Non ho voluto degli schermi al plasma: per me era importante che gli estratti venissero proiettati non su degli schermi ma direttamente sul soffitto, di modo che gli spettatori possano prendere coscienza di questa sala e della sua storia. Lo schermo è costituito dall’edificio stesso. Il contesto è importante: ciò vale sia per i film che per le mostre. E con contesto intendo sia le condizioni materiali che lo sfondo socio-politico”.
Accompagna la mostra un libro catalogo in tre separati volumi pubblicato - ciascuno dedicato ad una tappa della mostra - da GAmm Giunti in coedizione con Moshe Tabibnia Milano.
Dal 2 dicembre 2014 al 1° febbraio 2015, Palazzo Reale a Milano ospita Strade/Ways, la mostra/installazione inedita del grande regista israeliano Amos Gitai, creata appositamente per la Sala delle Cariatidi.
L’iniziativa è promossa dal Comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale, GAmm Giunti e Centro Studi Moshe Tabibnia.
Sequenze di film, fotografie, documenti, tappeti antichi e dispositivi visivi e sonori compongono l’opera che trae ispirazione da tre differenti percorsi. Il primo, è il film Lullaby to my father, dedicato alla vita di suo padre, l’architetto del Bauhaus Munio Weinraub che, costretto a fuggire dai nazisti, si trasferirà in Palestina e svolgerà un ruolo decisivo nella nascita dell’architettura israeliana; il secondo, è la conversazione tra Gitai e il grande fotografo milanese Gabriele Basilico, sulla fotografia, l’architettura, gli scenari del film Free Zone dedicato ad un luogo/non luogo che raggiunsero insieme; il terzo, che occupa l’intera sala delle Cariatidi, ricostruisce il processo che porta alla nascita di Carpet, il nuovo film del regista, le cui riprese non sono ancora iniziate.
Il percorso espositivo prende avvio dal film Lullaby to my father che Gitai dedicò a suo padre, il famoso architetto, Munio Weinraub. Giunto a 18 anni al Bauhaus di Dessau, la straordinaria scuola diretta da Gropius, partecipa alla vita di quel luogo di studio e ricerca, dove incontra e lavora anche con Kandinsky e Mies van der Rohe, come testimoniano le corrispondenze venute alla luce durante la lavorazione del film. Nel giugno del 1933, dopo avere partecipato alla breve stagione del Bauhaus a Berlino, Munio viene condannato come “traditore del popolo tedesco” e costretto a emigrare in Svizzera per poi trasferirsi ad Haifa dove condusse la sua attività professionale, senza mai dimenticare gli insegnamenti e il rigore della scuola che lo aveva formato. Gabriele Basilico fissa in fotografia le molte costruzioni realizzate in Israele e al suo ricordo di uomo e di architetto si rivolge la poesia del figlio che dà il titolo al film.
Free Zone è un road-movie che parla dell’incontro di tre donne, un’americana (Natalie Portman), un’israeliana (Hanna Lazslo) e una palestinese (Hiam Abbas), in quella zona franca, a est della Giordania, dove regna la pace senza alcuna barriera tra stati. Sono esposte alcune immagini tratte dal film, oltre a degli estratti della lunga conversazione tra Gitai e Gabriele Basilico, avvenuta durante il viaggio che i due avevano intrapreso proprio in quei luoghi, che abbraccia temi quali l’architettura, la fotografia e il cinema.
La sezione di Free Zone introduce alla maestosa sala delle Cariatidi dove Gitai ha allestito un affascinante percorso di grandi fotografie, rarissimi tappeti, proiezioni e suoni intorno al tema del suo prossimo film, Carpet, la cui sceneggiatura inedita è pubblicata nel catalogo della mostra.
La pellicola racconterà la storia a ritroso di un tappeto, dalla casa d’asta dove è stato battuto fino al luogo della sua produzione, attraverso immagini di luoghi, paesaggi, popoli e persone raccolte lungo tutto il viaggio.
In questa ambientazione, coinvolgente ed emozionante, alcuni straordinari tappeti, scelti da Moshe Tabibnia nella sua collezione, segneranno i passaggi dei luoghi, delle culture, delle storie e dei popoli che vivono e viaggiano tra il Mediterraneo e l’Oriente.
“Carpet - afferma Gitai - propone un viaggio in diversi territori e rappresenta al contempo un oggetto concreto, ossia un bellissimo tappeto, frutto di tradizioni e abilità artigianali secolari, ma anche una metafora delle relazioni che nel corso dei secoli sono state intessute tra i popoli orientali nonché tra Oriente e Occidente”.
Al progetto di illuminazione della mostra ha contribuito Jean Kalman, impegnato in questi giorni a curare le luci del Fidelio, opera che aprirà la stagione scaligera.
Le suggestioni suggeritegli dalla sala delle Cariatidi, le cui decorazioni sono state in parte distrutte durante la seconda guerra mondiale, hanno portato Gitai a utilizzare il soffitto come un ideale schermo da proiezione. Lo stesso regista afferma che “con le sue statue andate in parte perdute e i suoi specchi antichi, questa sala davvero magnifica emana un fascino particolare. Ed è proprio qui che ho deciso di installare le proiezioni. Non ho voluto degli schermi al plasma: per me era importante che gli estratti venissero proiettati non su degli schermi ma direttamente sul soffitto, di modo che gli spettatori possano prendere coscienza di questa sala e della sua storia. Lo schermo è costituito dall’edificio stesso. Il contesto è importante: ciò vale sia per i film che per le mostre. E con contesto intendo sia le condizioni materiali che lo sfondo socio-politico”.
Accompagna la mostra un libro catalogo in tre separati volumi pubblicato - ciascuno dedicato ad una tappa della mostra - da GAmm Giunti in coedizione con Moshe Tabibnia Milano.
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