Fino al 29 ottobre presso Cellatica (Brescia)
La forza e l'inquietudine. Un Bernini privato ospite alla Fondazione Zani
Gian Lorenzo Bernini, Ritratto di Padre Martino Martini, Roma, collezione Forti Bernini
Samantha De Martin
13/09/2023
Brescia - Bernini pittore approda alla Casa Museo Fondazione Paolo e Carolina Zani con una mostra dossier che abbraccia una selezione di dipinti in prestito dalla collezione privata di Fabiano Forti Bernini, erede del grande genio della Roma barocca.
Fino al 29 ottobre Massimiliano Capella, direttore della Casa Museo, con Steven F. Ostrow e Francesco Petrucci, guideranno il pubblico attraverso l’indagine (ancora aperta) sulla produzione berniniana nell’ambito della ritrattistica e della pittura di figura.
Bernini privato. La forza e l’inquietudine propone ai visitatori della collezione - che accoglie capolavori d'arte barocca veneziana, romana e francese e di pittura veneziana - una selezione di quattro dipinti (dei 25 oggi noti e ritenuti autografi realizzati dal maestro) assieme al bronzetto del celebre David della Galleria Borghese, custoditi da secoli nella collezione di famiglia.
Il David costituisce il perno della mostra. Il bronzetto incarna una testimonianza eccezionale se si considera la mai celata propensione del suo artista alla realizzazione di opere grandiose.
Gian Lorenzo Bernini, San Sebastiano, 1635-40, Olio su tela, 72 x 96 cm, Roma, Collezione Forti Bernini
“Non mi si parli di niente che sia piccolo” scriveva Bernini il 7 settembre 1665 rivolgendosi a Monsieur de Chantelou. Se tra il XVIII e XIX secolo, complice il fenomeno del Grand Tour, molti talentuosi plastificatori si cimentarono nella produzione di piccoli manufatti come souvenir del viaggio in Italia, lo scultore napoletano raramente produsse opere di formato ridotto. Attorno al David il percorso spiega San Sebastiano, Sansone e il Leone, l’Angelo allegorico ed il Ritratto di Martino Martini.
San Sebastiano offre una lettura del martirio decisamente innovativa rispetto alla raffigurazione canonica del santo. Il capo piegato, lo sguardo indirizzato oltre la spalla (piuttosto che verso il cielo), l’espressione rabbiosa nel tentativo di liberare le mani dalle corde, restituiscono tutta l’inquietudine umana di chi non accetta con rassegnazione la propria sorte. Il quadro corrisponde certamente all’opera citata nell’inventario del 1649 dei beni del cardinale Francesco Berberini. La provenienza è confermata dal sigillo del cardinale apposto sul retro della tela originale, applicato alla rintelatura in occasione del restauro del 2016.
Appartenente alla famiglia Bernini dal XVIII secolo, L’Angelo Allegorico presenta, invece, sul retro, una ceralacca composta, per metà, dallo stemma Bernini e, per l’altra, da quello della famiglia Maccarani (moglie del primogenito di Bernini). Dal sigillo sappiamo che il dipinto era custodito nella casa di Paolo Valentino, probabilmente dalla morte del padre Gian Lorenzo. L’amorevole sguardo rivolto al cielo, la fiamma e il cuore riconducono all’iconografia tradizionale dell’Allegoria dell’amor divino. L’impianto generale è inedito. Per la composizione l’autore avrebbe tratto ispirazione dalla lettura del Trattato dell’amor di Dio di San Francesco di Sales, tra i suoi scrittori prediletti in tema di letteratura religiosa.
Gian Lorenzo Bernini e Carlo Pellegrini, Allegoria dell’Amore Divino, 1635-40 circa, Olio su tela, 55 x 75.5 cm, Roma, Collezione Forti Bernini
Decisamente enigmatica è la tela Sansone e il leone esposta al pubblico per la prima volta. La scena potrebbe ritrarre l’incontro brutale dell’uomo con la belva (Giudici 14: 5-6), ma anche un altro episodio egualmente tratto dalla Bibbia ebraica, in cui Davide uccide il leone (Samuele 17: 34-35). L’elevata qualità d’esecuzione, la composizione originale, la forza dinamica, la resa scultorea del corpo assimilabile all’opera di un maestro nel pieno della propria maturità sono tutte caratteristiche che hanno portato la critica ad avere pochi dubbi sull’autografia dell’opera. La scelta di mostrare la figura di tre quarti, la resa cromatica dello sfondo e il contrappunto di luci e ombre concorrono a rendere la tela assimilabile ad altre opere realizzate da Bernini nei primi anni Trenta del XVII secolo.
Il ritratto del missionario, geografo e cartografo Padre Martino Martini potrebbe essere stato eseguito durante il secondo soggiorno romano del gesuita. Gli esiti introspettivi della ritrattistica berniniana sono evidenti nell’espressione bonaria del soggetto e nel gusto per l’incompiuto riscontrabile nei tocchi di colore sulla tela grezza. Come nota Francesco Petrucci, tra gli studiosi di riferimento per l’opera berniniana, “Le pennellate impressionistiche e un sapiente uso delle lumeggiature in grado di far emergere il volto dalla penombra, rendono la tela una coerente espressione del neovenetismo della scuola romana della prima metà del secolo successivo, riconducendone altresì la paternità ai modi più tipici di Bernini”.
Presso la Casa Museo Fondazione Zani - che vanta una delle raccolte d’arte Barocca più importanti d’Italia - le opere dell’architetto, scultore e pittore che rese immortale la forza e il movimento nell’arte seicentesca dialogano con le oltre cento sculture e complementi d’arredo di epoca barocca e tardo barocca che che abbelliscono le sale della Casa Museo e il giardino che la circonda.
Fino al 29 ottobre Massimiliano Capella, direttore della Casa Museo, con Steven F. Ostrow e Francesco Petrucci, guideranno il pubblico attraverso l’indagine (ancora aperta) sulla produzione berniniana nell’ambito della ritrattistica e della pittura di figura.
Bernini privato. La forza e l’inquietudine propone ai visitatori della collezione - che accoglie capolavori d'arte barocca veneziana, romana e francese e di pittura veneziana - una selezione di quattro dipinti (dei 25 oggi noti e ritenuti autografi realizzati dal maestro) assieme al bronzetto del celebre David della Galleria Borghese, custoditi da secoli nella collezione di famiglia.
Il David costituisce il perno della mostra. Il bronzetto incarna una testimonianza eccezionale se si considera la mai celata propensione del suo artista alla realizzazione di opere grandiose.
Gian Lorenzo Bernini, San Sebastiano, 1635-40, Olio su tela, 72 x 96 cm, Roma, Collezione Forti Bernini
“Non mi si parli di niente che sia piccolo” scriveva Bernini il 7 settembre 1665 rivolgendosi a Monsieur de Chantelou. Se tra il XVIII e XIX secolo, complice il fenomeno del Grand Tour, molti talentuosi plastificatori si cimentarono nella produzione di piccoli manufatti come souvenir del viaggio in Italia, lo scultore napoletano raramente produsse opere di formato ridotto. Attorno al David il percorso spiega San Sebastiano, Sansone e il Leone, l’Angelo allegorico ed il Ritratto di Martino Martini.
San Sebastiano offre una lettura del martirio decisamente innovativa rispetto alla raffigurazione canonica del santo. Il capo piegato, lo sguardo indirizzato oltre la spalla (piuttosto che verso il cielo), l’espressione rabbiosa nel tentativo di liberare le mani dalle corde, restituiscono tutta l’inquietudine umana di chi non accetta con rassegnazione la propria sorte. Il quadro corrisponde certamente all’opera citata nell’inventario del 1649 dei beni del cardinale Francesco Berberini. La provenienza è confermata dal sigillo del cardinale apposto sul retro della tela originale, applicato alla rintelatura in occasione del restauro del 2016.
Appartenente alla famiglia Bernini dal XVIII secolo, L’Angelo Allegorico presenta, invece, sul retro, una ceralacca composta, per metà, dallo stemma Bernini e, per l’altra, da quello della famiglia Maccarani (moglie del primogenito di Bernini). Dal sigillo sappiamo che il dipinto era custodito nella casa di Paolo Valentino, probabilmente dalla morte del padre Gian Lorenzo. L’amorevole sguardo rivolto al cielo, la fiamma e il cuore riconducono all’iconografia tradizionale dell’Allegoria dell’amor divino. L’impianto generale è inedito. Per la composizione l’autore avrebbe tratto ispirazione dalla lettura del Trattato dell’amor di Dio di San Francesco di Sales, tra i suoi scrittori prediletti in tema di letteratura religiosa.
Gian Lorenzo Bernini e Carlo Pellegrini, Allegoria dell’Amore Divino, 1635-40 circa, Olio su tela, 55 x 75.5 cm, Roma, Collezione Forti Bernini
Decisamente enigmatica è la tela Sansone e il leone esposta al pubblico per la prima volta. La scena potrebbe ritrarre l’incontro brutale dell’uomo con la belva (Giudici 14: 5-6), ma anche un altro episodio egualmente tratto dalla Bibbia ebraica, in cui Davide uccide il leone (Samuele 17: 34-35). L’elevata qualità d’esecuzione, la composizione originale, la forza dinamica, la resa scultorea del corpo assimilabile all’opera di un maestro nel pieno della propria maturità sono tutte caratteristiche che hanno portato la critica ad avere pochi dubbi sull’autografia dell’opera. La scelta di mostrare la figura di tre quarti, la resa cromatica dello sfondo e il contrappunto di luci e ombre concorrono a rendere la tela assimilabile ad altre opere realizzate da Bernini nei primi anni Trenta del XVII secolo.
Il ritratto del missionario, geografo e cartografo Padre Martino Martini potrebbe essere stato eseguito durante il secondo soggiorno romano del gesuita. Gli esiti introspettivi della ritrattistica berniniana sono evidenti nell’espressione bonaria del soggetto e nel gusto per l’incompiuto riscontrabile nei tocchi di colore sulla tela grezza. Come nota Francesco Petrucci, tra gli studiosi di riferimento per l’opera berniniana, “Le pennellate impressionistiche e un sapiente uso delle lumeggiature in grado di far emergere il volto dalla penombra, rendono la tela una coerente espressione del neovenetismo della scuola romana della prima metà del secolo successivo, riconducendone altresì la paternità ai modi più tipici di Bernini”.
Presso la Casa Museo Fondazione Zani - che vanta una delle raccolte d’arte Barocca più importanti d’Italia - le opere dell’architetto, scultore e pittore che rese immortale la forza e il movimento nell’arte seicentesca dialogano con le oltre cento sculture e complementi d’arredo di epoca barocca e tardo barocca che che abbelliscono le sale della Casa Museo e il giardino che la circonda.
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