Fino all’8 gennaio a Brescia Isgrò cancella Brixia

Marco Bazzini racconta Isgrò, l'artista che reinventa Brescia educando alla speranza

Emilio Isgrò, Brixia come Atene | Foto: © Ela Bialkowska OKNO Studio
 

Samantha De Martin

01/07/2022

Brescia - Quando, nel 1964, in seguito alle prime cancellature lanciate da Emilio Isgrò, Eugenio Montale arrivò a negargli persino il saluto, il premio Nobel per la letteratura non avrebbe mai immaginato che quella primordiale “morte della parola” avrebbe aiutato l’artista siciliano a preservare un giorno sotto l’inchiostro “quelle parole di speranza e di fiducia che oggi mancano al mondo”.
E soprattutto adesso che la rigogliosa maturità dell’arte di Isgrò esplode a Brescia con tutta la sua carica dinamica, apprezzerebbe ancora di più il maestro, che arrivò a cancellare persino se stesso, soprattutto per quella sua arte, simile a un poliedrico valzer, nel quale riescono a convivere insieme pittura e teatro, tecnologia digitale e melodramma.
In corso fino al prossimo 8 gennaio 2023, la mostra dal titolo Isgrò cancella Brixia, in diverse sedi della città lombarda, è un viaggio intellettuale, ma anche fisico, tra i fermenti di quella cultura classica che è sostrato comune, storia ininterrotta di valori ed eventi che sanno ancora posizionarsi come bussola e faro per il presente.


Emilio Isgrò, l'Armonium delle allodole impazzite (dettaglio). Photo Ela Bialkowska OKNO Studio

Prodotto da Fondazione Brescia Musei e Comune di Brescia in collaborazione con Archivio Emilio Isgrò, Arte Sella, Centro Teatrale Bresciano e Gruppo Brescia Mobilità, il progetto espositivo, che vede la luce dopo una gestazione di quasi tre anni, intreccia un dialogo tra l’archeologia e l’arte contemporanea, la storia e il presente, la cultura classica e la sua persistenza nel nostro tempo, snodandosi tra il Parco archeologico di Brescia romana, il Museo di Santa Giulia con il Chiostro rinascimentale e gli spazi espositivi del museo, il Capitolium, il Teatro Romano, fino alla stazione metropolitana FS.

Cancellare l'antica Brixia diventa per Isgrò un modo per farla rivivere sotto forme inedite e inaspettate, trasformando la cancellatura da un semplice atto di distruzione in una complessa esperienza di conoscenza. Era già accaduto due anni fa con l’Incancellabile Vittoria, la monumentale installazione che il maestro di Barcellona Pozzo di Gotto aveva donato alla città di Brescia con l’obiettivo di congiungere due luoghi e due momenti lontani nel tempo: la stazione, nodo nevralgico della città contemporanea, per la quale l’opera di Isgrò è stata concepita, e il Capitolium romano, scrigno della Vittoria Alata, simbolo di Brescia.


Emilio Isgrò, Le api di Virgilio | Foto: © Ela Bialkowska OKNO Studio

A permetterci di districarci nell’evoluzione complessa delle cancellature di Isgrò è Marco Bazzini, curatore del progetto espositivo Isgrò cancella Brixia. Lo raggiungiamo al telefono mentre si trova nella cittadina lombarda, nella cornice del Chiostro rinascimentale del museo di Santa Giulia, dove il cinguettio dell’allodola, affiancata da un coro di uccelli, irrompe nel silenzio per raggiungere l’altro capo del filo.

“Isgrò ha cancellato Dante, ha cancellato persino se stesso, ma una città fino a questo momento non l’aveva ancora cancellata” esordisce Bazzini.

Emilio Isgrò ha qualche volta dichiarato che 'un eccesso di parole ci rende insensibili al loro significato e un eccesso di immagini ci rende ciechi'. Che motivo c’era di cancellare Brixia e che cos’è che adesso vediamo grazie al suo intervento, che magari prima ci sfuggiva?
“Ormai da sessant’anni sappiamo che la cancellatura di Isgrò non è una cancellatura che chiude, ma anzi apre, non distrugge, ma costruisce, non censura, ma anzi cerca di assumere su di sé nuovi e diversi linguaggi, in piena libertà di espressione. Tutto il contrario di quello che sta avvenendo in questo momento con la Cancel Culture. Non siamo davanti a una storia che deve essere dimenticata o riscritta, ma a una storia che deve essere accogliente e che deve raccontare oggi quello che è stata un tempo, per dare una lezione al nostro tempo. Quindi cancellare Brixia vuol dire farne una città della nostra contemporaneità che vive con le sue radici, come fosse un grande albero”.



Emilio Isgrò, L'Armonium delle allodole impazzite | Foto: © Ela Bialkowska OKNO Studio

Secondo lei che cos’è che lega e accomuna Emilio Isgrò a Brescia?
“Ci sono molti legami affettivi e di amicizia con la città. Sin dall’inizio della sua carriera frequentò questa città dove gravitavano collezionisti, gallerie come Sincron, critici come Arcella. Ci sono poi i motivi culturali. La sfida che è stata lanciata a Isgrò dal direttore di Fondazione Brescia Musei, Stefano Karadjov, è stata quella di entrare in quel patrimonio storico che Fondazione Brescia Musei custodisce come uno scrigno dell’intera città. Isgrò ed io abbiamo accolto questa sfida per via di quella profonda radice di romanità e di mediterraneità che Brescia possiede. Non possiamo soltanto pensare a una Roma o a un Mediterraneo, ma a una cultura che si espande e di cui Brixia è diventata parte fondamentale. Basti pensare che i massimi poeti romani, in primis Catullo, sono originari di queste parti. Anche da queste situazioni nasce quella parte della mostra che si chiama Brixia come Atene”.

Accolta nelle sale del Museo di Santa Giulia, la sezione della mostra Brixia come Atene ospita tredici grandi tele dove le pagine illustrate di un libro sulla vita quotidiana di un’antica polis greca sono state cancellate in bianco. Una scultura al centro del percorso, Il discobolo (2022), viene addirittura cancellata dalle formiche. Cosa vuole dirci Isgrò?
“Brixia, come altre città in quel momento dell’Impero, era allo stesso livello della grande capitale. Anche nelle colonie o nei territori la vita non era molto diversa. La sezione della mostra Brixia come Atene è il suggerimento che la storia può avere tante possibilità. Non deve esserci sempre il confronto tra Roma e Atene. Brixia, un’altra città importante, dialoga con quello che era un modello, in una serie di tredici pitture pensate come degli affreschi di una casa romana e che il pubblico potrà vedere cancellati in bianco in un modo sostanzialmente un po’ diverso e inedito rispetto all’Isgrò che fino a questo momento abbiamo conosciuto".


Isgrò cancella Brixia | Foto: © Ela Bialkowska OKNO Studio

Come evolvono e cambiano, nel tempo, le cancellature di Isgrò?
“Le cancellature sono cambiate, sono mutate nel tempo. Non solo hanno cambiato forma, ma anche colore, da nere sono diventate bianche, oggi sono anche rosse. A un certo punto sono diventate una vera e propria filosofia di vita, non ponendosi più soltanto come un’azione culturale o artistica. Si pongono come un modo diverso di vedere il mondo. Installazioni come L’ora italiana, che ci riporta alla memoria della strage del 2 agosto 1980, alla stazione di Bologna, ha ad esempio un rimando molto etico. La cancellatura assume via via forme un po’ più concettuali, come nelle Storie rosse. Si fa drammaturgia, come nel caso del dramma Didone Adonàis Dòmine, uno dei drammi scritti da Isgrò e riproposto al Teatro Romano.
La rigogliosa maturità che segna l’arte di Isgrò in quest’ultimo decennio esplode in questa mostra con tutta l’intensità e la dinamicità del movimento in crescendo. La forma ritmica tra morte e resurrezione, tra oblio e memoria che ormai da oltre sessant’anni contraddistingue le sue cancellature, un’azione artistica che nelle sue mani ha esteso al massimo tutte le potenzialità, è per Brescia garanzia di rinascita e di un destino lontano dalle parole pronunciate per altra città da Catone il Censore: “Carthago delenda est”..."


Emilio Isgrò, Le api di Virgilio. Photo Ela Bialkowska OKNO Studio

L’arte di Isgrò abbraccia anche il teatro. Il dramma Didone Adonàis Dòmine, andato in scena al Teatro Romano” sarà proposto in replica venerdì 1° luglio, sabato 2 e domenica 3. In che modo Isgrò porta le cancellature a teatro?
“Siamo di fronte a una cosa totalmente diversa rispetto alla Didone di Virgilio. Ritroviamo il filo di Virgilio e dell’Eneide, ma è come se la Didone di Virgilio fosse stata cancellata per fare entrare in scena una Didone di tipo diverso. Del personaggio rimane soltanto il grande dolore di una donna tradita e abbandonata, uno dei dolori che tutti gli esseri umani provano, indistintamente”.

Nell’incanto del Chiostro rinascimentale il pubblico vedrà L’armonium delle allodole impazzite. Nel silenzio del luogo risuona l’aria della Casta diva dalla Norma di Vincenzo Bellini, una delle opere più potenti della tradizione lirica italiana, ambientata nelle Gallie romane. Che ruolo ha la musica per Isgrò?
“Tutte le istallazioni di Emilio sono fortemente teatrali perché lavorano nello spazio e nella narrazione su una delle grandi tradizioni della cultura italiana, penso in modo particolare al melodramma. E la Norma di Bellini fa parte di questo. Ma rientra in questo discorso anche l’installazione del Guglielmo Tell alla Biennale del ‘93 e l’opera dedicata a Bach nel 1986 a Milano. La Norma di Bellini che Isgrò prende in considerazione non è la versione sinfonica realizzata dal musicista siciliano, ma è quella trascritta da Chopin per solo pianoforte. Sarà intonata non da una cantante lirica, ma da questa allodola impazzita, anche lei forse per amore, come la Norma del grande compositore. Ancora una volta si gioca su quello che è un rinnovamento della tradizione classica. Questo incrocio è finalizzato a coinvolgere lo spettatore. Tutta l’arte di Isgrò è fortemente empatica”.


Emilio Isgrò, Le api di Virgilio | Foto: © Ela Bialkowska OKNO Studio

Le api sono presenze ricorrenti nell’arte di Isgrò. Nella sala centrale del Capitolium ne Le api di Virgilio una moltitudine di api in volo cancella le iscrizioni presenti sulle epigrafi romane sulla parete. Si tratta dell’opera digitale più grande mai realizzata da Isgrò. Che ruolo affida il maestro a questi insetti?
“Gli insetti rappresentano il lato naturale della cancellatura, che di per sé resta un gesto quotidiano artificiale. Le api nascono a metà degli anni Novanta proprio come evoluzione della cancellatura stessa, in questa sua logica di costruzione, e sono simbolo di gioiosità e di amore per la vita. In fin dei conti sia le formiche che le api sono grandi simboli di comunità, di operosità. Isgrò le ha rese mobili, come se la cancellatura potesse iniziare a viaggiare nello spazio. Ci invita a immaginare le cancellature come a una grande fila di formichine, una dietro l’altra. Come Enea, giunto sul fiume Lete, vedendo le anime che paragona a delle api, prova grande stupore, allo stesso modo il pubblico forse si stupirà davanti a quest’opera”.

Le api sono simbolo della vita, ma anche gli insetti impollinatori messi più a rischio dall'inquinamento atmosferico. Questa installazione potrebbe essere intesa come un messaggio di speranza?
“Certamente. Tutto il lavoro di Isgrò va letto nella chiave della speranza. Isgrò ha trasformato il libro da luogo della memoria a luogo della speranza, a luogo di nuove possibilità”.


Emilio Isgrò, La pigrizia del discobolo, acrilico su tela, 170 x 118 cm | Foto: © Andrea Valentini | Courtesy Archivio Emilio Isgro

Qual è il rapporto di Isgrò con la tecnologia e con i nuovi strumenti dell’arte?
“Come i grandi artisti Isgrò è curioso di quello che succede nel nostro mondo e di come il nostro mondo si evolve. È incuriosito dalle scoperte tecnologiche e scientifiche e con queste si confronta. Abbiamo lavorato come se Emilio fosse un ventenne, sognando quella contemporaneità che oggi deve essere vissuta appieno anche da un artista che, come dice Scilla (la moglie di Emilio Isgrò ndr) è un po’ grandicello. Grazie alle macchine a controllo numerico le sue installazioni oggi possono essere realizzate in una complessità diversa. Penso al Grande Armonium ma anche all’Incancellabile Vittoria o ancora alla spettacolare cancellazione delle api di Virgilio all’interno dell’Epigrafico".

Isgrò dice che non intende abbandonare Brescia. Non c’è due senza tre. Dopo Incancellabile Vittoria e Isgrò cancella Brixia cos’altro realizzerete nella città che, assieme a Bergamo, sarà capitale italiana della cultura nel 2023?
“Non abbandoneremo Brescia, anche perché lavorare con tutto lo staff di Fondazione Brescia musei è stata una grandissima esperienza dal punto di vista artistico, ma soprattutto umano. Abbiamo già in cantiere qualche cosa, ma non lo possiamo svelare. Lo terremo “incancellato” ancora per un po’...”.

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