Dal 28 novembre al cinema il kolossal firmato Andrei Konchalovsky
"Il peccato. Il furore di Michelangelo" - La nostra recensione
Il Peccato. Il furore di Michelangelo, Locandina del film | Courtesy of Andrei Konchalovsky Studios, Jean Vigo Italia e Rai Cinema 01 Distribution
Samantha De Martin
25/11/2019
Un uomo vestito di nero, con i sandali logori che avvolgono piedi malconci, cammina lungo un sentiero circondato da cipressi. Sembra un pazzo, con i suoi occhi balenanti furore, la frenesia dei movimenti, la pelle scura, i capelli “rabbiosi”, le rughe in volto.
Lo spettatore lo segue, catapultato nel realismo, a tratti anche molto crudo, della società rinascimentale, tra gli odori e i sapori di un’epoca sanguinosa e crudele, costellata di tradimenti e cospirazioni, ma anche impregnata di ispirazione e bellezza.
Da questo intreccio tra la barbarie di un contesto popolato da trame astute e povertà, e la straordinaria capacità dell’occhio umano di scorgere la bellezza intramontabile del mondo e dell’uomo da trasmettere alle generazioni future, nasce Il Peccato, il film al cinema dal 28 novembre e che il regista russo Andrei Konchalovsky dedica a Michelangelo Buonarroti.
Quello dello sceneggiatore russo - vincitore nel 2016 del suo secondo Leone d’Argento al Festival di Venezia con Paradise - è un Michelangelo “in carne e ossa”, molto diverso da quello al quale lo spettatore è abituato, e che resterà a lungo impresso nella sua mente, anche dopo i titoli di coda. È un maestro dalle mani sporche e le unghie rotte dal lavoro, i capelli impregnati di sudore, della polvere del marmo, per certi versi avido di denaro, travolto dalla passione violenta della sua creatività, sempre in bilico tra la grazia divina e l’ambizione scaltra, caratterizzato da una voglia smisurata di primeggiare che non si arresta nemmeno davanti ai sentimenti. Un artista vanitoso e misantropo, stravagante e intransigente, che è prima di tutto un uomo che “lavora come uno schiavo”, mangia stoccafisso e beve vino, una “canaglia divina” insomma, l’unico, altissimo, capace di agganciare a sé i potenti, barcamenandosi tra le committenze dei Medici e quelle dei Della Rovere, con l’eterna bellezza dei suoi capolavori. Ma soprattutto un uomo che adotta l’invocazione del silenzio come antidoto al dolore e alla vergogna.
Con Il Peccato il pubblico entra nelle case degli uomini e delle donne del Rinascimento, respira gli insopportabili fetori delle strade di Roma e di Firenze, abitate da cani, gatti, galline, insozzate dai postumi della crapula e dell’alcol. Scopre un Michelangelo cinico, malinconico e visionario, costantemente perseguitato da paure e demoni. Uno di questi è proprio quel marmo che costituisce la materia delle sue opere immortali, come il David, il Mosè, la Pietà che si inseriscono nel piano narrativo con la loro presenza discreta ed emozionante.
Ampio spazio Konchalovsky dedica alla “lotta” tra il Buonarroti e il “mostro”, l’immenso blocco di marmo che sarebbe dovuto servire per la realizzazione della Tomba di Giulio II. Da questa sagoma possente, cercata e scelta nelle cave del Monte Altissimo, sulle Alpi Apuane, il tocco “divino” dell’artista estrae le sue creature, quelle anime bianche che consegnerà al mondo e che ancora oggi, a 500 anni di distanza, emozionano e sbalordiscono con la loro sublime potenza.
Bella e pertinente l’ambientazione sul Monte Altissimo, con le sue cave di proprietà Henraux, un’unica grande location nella quale sono stati rinvenuti tutti gli ambienti previsti in sceneggiatura. Tra i luoghi del set, Arezzo, Carrara, Firenze, Massa, Fosdinovo, Pienza, Monte San Savino. E ancora Montepulciano, Bagno a Ripoli, Caprarola, Tarquinia.
Gli interventi scenografici a cura di Maurizio Sabatini hanno ricreato strade, piazze, logge, cortili, mercati, osterie, stanze papali. Ma anche la casa di Buonarroti a Firenze, il laboratorio di Carrara e la casa bottega di Macel de’ Corvi, in cui troneggia il blocco del Mosè, riprodotto e lavorato in tre stadi successivi. Come anche la Cappella Sistina, fedelmente riprodotta a dimensioni naturali dopo un lavoro di tre mesi grazie a una squadra di scultori, falegnami, pittori, operai.
A Santa Severa, invece, sulla base di documenti d’epoca, è stato riprodotto il porto di Carrara.
L’esigenza di un realismo estremo, ma soprattutto la volontà del regista di non consentire ai costumi di rubare la scena alla variegata umanità di questo affresco cinquecentesco, ha indotto il costumista Dmitry Andreev a concepire i costumi con linee e silhouette molto semplici , in tutta la tavolozza dei colori della terra, caratterizzata da toni sfumati e neutri. Spegnere i colori, insomma, per accendere i volti. Come quello di Michelangelo o dei cavatori, scelti proprio tra gli uomini di Carrara che quelle montagne le vivevano davvero, e che avevano il marmo nel sangue e la cava in viso.
Il film è l’ultima tappa di un viaggio di Konchalovsky durato otto anni, scandito dall’approfondimento di libri, dell’epistolario, ma anche dalle poesie dalle quali emerge il temperamento "terribile" dello scultore. Fondamentale per la realizzazione del Peccato è stato l’apporto di esperti come Costantino Paolicchi, autore di Michelangelo. Sogni di marmo o Antonio Forcellino, l’architetto e restauratore che ha scoperto l’autografia dell’artista sulla statua di Papa Giulio II e l’impronta con il segno inconfondibile del suo tocco sulla Pietà e sul Mosè. Tra i contributi, anche quello di Alessandro Simonicca, Andrea Baldinotti, Massimo Pistacchi e del dantista Donato Pirovano che ha suggerito la lettura di alcuni testi del Sommo poeta, al quale Michelangelo fu devoto.
Il film, prodotto dalla Fondazione Andrei Konchalovsky per il sostegno al Cinema e alle Arti Sceniche e Jean Vigo Italia con Rai Cinema, è una co-produzione russo-italiana. Ma è soprattutto un grande affresco con cui un'illustre firma del cinema internazionale celebra il genio italiano e, con esso, un’epoca intera, rendendo omaggio, con il suo originale punto di vista, anche al grande cinema italiano del Neorealismo. In concomitanza con il film uscirà anche Il peccato di Michelangelo (Edizioni Sabinae), un contributo a cura di Giulia Martinez che conduce il lettore dietro le quinte del film di Konchalovsky.
Leggi anche:
• Michelangelo e Konchalovsky: storia di un incontro sul set
• FOTO - Il peccato. il furore di Michelangelo
• Il Michelangelo di Konchalovsky: l'artista e i suoi capolavori nel film "Il peccato"
• Trailer ufficiale del film Il Peccato
• Michelangelo torna al cinema con Il peccato di Konchalovsky
Lo spettatore lo segue, catapultato nel realismo, a tratti anche molto crudo, della società rinascimentale, tra gli odori e i sapori di un’epoca sanguinosa e crudele, costellata di tradimenti e cospirazioni, ma anche impregnata di ispirazione e bellezza.
Da questo intreccio tra la barbarie di un contesto popolato da trame astute e povertà, e la straordinaria capacità dell’occhio umano di scorgere la bellezza intramontabile del mondo e dell’uomo da trasmettere alle generazioni future, nasce Il Peccato, il film al cinema dal 28 novembre e che il regista russo Andrei Konchalovsky dedica a Michelangelo Buonarroti.
Quello dello sceneggiatore russo - vincitore nel 2016 del suo secondo Leone d’Argento al Festival di Venezia con Paradise - è un Michelangelo “in carne e ossa”, molto diverso da quello al quale lo spettatore è abituato, e che resterà a lungo impresso nella sua mente, anche dopo i titoli di coda. È un maestro dalle mani sporche e le unghie rotte dal lavoro, i capelli impregnati di sudore, della polvere del marmo, per certi versi avido di denaro, travolto dalla passione violenta della sua creatività, sempre in bilico tra la grazia divina e l’ambizione scaltra, caratterizzato da una voglia smisurata di primeggiare che non si arresta nemmeno davanti ai sentimenti. Un artista vanitoso e misantropo, stravagante e intransigente, che è prima di tutto un uomo che “lavora come uno schiavo”, mangia stoccafisso e beve vino, una “canaglia divina” insomma, l’unico, altissimo, capace di agganciare a sé i potenti, barcamenandosi tra le committenze dei Medici e quelle dei Della Rovere, con l’eterna bellezza dei suoi capolavori. Ma soprattutto un uomo che adotta l’invocazione del silenzio come antidoto al dolore e alla vergogna.
Con Il Peccato il pubblico entra nelle case degli uomini e delle donne del Rinascimento, respira gli insopportabili fetori delle strade di Roma e di Firenze, abitate da cani, gatti, galline, insozzate dai postumi della crapula e dell’alcol. Scopre un Michelangelo cinico, malinconico e visionario, costantemente perseguitato da paure e demoni. Uno di questi è proprio quel marmo che costituisce la materia delle sue opere immortali, come il David, il Mosè, la Pietà che si inseriscono nel piano narrativo con la loro presenza discreta ed emozionante.
Ampio spazio Konchalovsky dedica alla “lotta” tra il Buonarroti e il “mostro”, l’immenso blocco di marmo che sarebbe dovuto servire per la realizzazione della Tomba di Giulio II. Da questa sagoma possente, cercata e scelta nelle cave del Monte Altissimo, sulle Alpi Apuane, il tocco “divino” dell’artista estrae le sue creature, quelle anime bianche che consegnerà al mondo e che ancora oggi, a 500 anni di distanza, emozionano e sbalordiscono con la loro sublime potenza.
Bella e pertinente l’ambientazione sul Monte Altissimo, con le sue cave di proprietà Henraux, un’unica grande location nella quale sono stati rinvenuti tutti gli ambienti previsti in sceneggiatura. Tra i luoghi del set, Arezzo, Carrara, Firenze, Massa, Fosdinovo, Pienza, Monte San Savino. E ancora Montepulciano, Bagno a Ripoli, Caprarola, Tarquinia.
Gli interventi scenografici a cura di Maurizio Sabatini hanno ricreato strade, piazze, logge, cortili, mercati, osterie, stanze papali. Ma anche la casa di Buonarroti a Firenze, il laboratorio di Carrara e la casa bottega di Macel de’ Corvi, in cui troneggia il blocco del Mosè, riprodotto e lavorato in tre stadi successivi. Come anche la Cappella Sistina, fedelmente riprodotta a dimensioni naturali dopo un lavoro di tre mesi grazie a una squadra di scultori, falegnami, pittori, operai.
A Santa Severa, invece, sulla base di documenti d’epoca, è stato riprodotto il porto di Carrara.
L’esigenza di un realismo estremo, ma soprattutto la volontà del regista di non consentire ai costumi di rubare la scena alla variegata umanità di questo affresco cinquecentesco, ha indotto il costumista Dmitry Andreev a concepire i costumi con linee e silhouette molto semplici , in tutta la tavolozza dei colori della terra, caratterizzata da toni sfumati e neutri. Spegnere i colori, insomma, per accendere i volti. Come quello di Michelangelo o dei cavatori, scelti proprio tra gli uomini di Carrara che quelle montagne le vivevano davvero, e che avevano il marmo nel sangue e la cava in viso.
Il film è l’ultima tappa di un viaggio di Konchalovsky durato otto anni, scandito dall’approfondimento di libri, dell’epistolario, ma anche dalle poesie dalle quali emerge il temperamento "terribile" dello scultore. Fondamentale per la realizzazione del Peccato è stato l’apporto di esperti come Costantino Paolicchi, autore di Michelangelo. Sogni di marmo o Antonio Forcellino, l’architetto e restauratore che ha scoperto l’autografia dell’artista sulla statua di Papa Giulio II e l’impronta con il segno inconfondibile del suo tocco sulla Pietà e sul Mosè. Tra i contributi, anche quello di Alessandro Simonicca, Andrea Baldinotti, Massimo Pistacchi e del dantista Donato Pirovano che ha suggerito la lettura di alcuni testi del Sommo poeta, al quale Michelangelo fu devoto.
Il film, prodotto dalla Fondazione Andrei Konchalovsky per il sostegno al Cinema e alle Arti Sceniche e Jean Vigo Italia con Rai Cinema, è una co-produzione russo-italiana. Ma è soprattutto un grande affresco con cui un'illustre firma del cinema internazionale celebra il genio italiano e, con esso, un’epoca intera, rendendo omaggio, con il suo originale punto di vista, anche al grande cinema italiano del Neorealismo. In concomitanza con il film uscirà anche Il peccato di Michelangelo (Edizioni Sabinae), un contributo a cura di Giulia Martinez che conduce il lettore dietro le quinte del film di Konchalovsky.
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