Man Ray in quarta persona
Man Ray in quarta persona
25/02/2004
Il Man Ray fotografo nella galleria “Il segno” di Roma, in 55 immagini in bianco e nero, prevalentemente nudi o ritratti femminili, ci mostra solo uno dei vari lati della personalità di un artista che ha sperimentato diversi mezzi, come la pittura, il collage, il disegno, il cinema, la scrittura, gli scacchi. Le sue fotografie sono le più apprezzate e lo hanno reso famoso, e quelle qui esposte possono suggerirne il motivo.
Proprio lui, che ha cominciato quasi casualmente a fotografare (ritraendo i suoi dipinti) e che ha sempre elogiato l’approccio amatoriale al mezzo, giunge a produrre immagini di alto livello estetico e che sono diventate ciò che egli rifuggiva, veri e propri classici. Eppur egli scrisse: “In qualsiasi forma sia rappresentato, alla fine l’oggetto deve divertire, disorientare, annoiare, o far riflettere, ma non suscitare ammirazione per la sua perfezione tecnica che abitualmente si cerca nelle opere d’arte. Le strade sono piene di artigiani bravissimi, ma di così pochi sognatori pratici”. Ma Man Ray è pieno di contraddizioni e non ci stupiamo nel vedere la bellezza formale delle foto qui esposte, la ricercatezza, l’aura quasi magica che emana da quei corpi femminili che si scompongono in un gioco compositivo. L’image è anche magie, e, come suggerisce il titolo di una sua famosa opera, le due parole sono anagrammi, il che può voler alludere al lavoro linguistico svolto dall’artista nello strutturare l’immagine, quasi una nuova alchimia, da cui viene fuori qualcosa di nuovo e prezioso. A Man Ray non interessa rappresentare la realtà, quanto più ricavarne l’elisir per l’immaginazione e la fantasia, far sognare ad occhi aperti, come simboleggia l’inquietante finale del film “Emak Bakia”, dove la protagonista lentamente socchiudendo gli occhi, quando sono chiusi mostra nuovi occhi dipinti sulle palpebre.
La splendida serie “The fifty faces of Juliet” che ritrae in cinquanta foto la moglie Juliet Browner, è l’esempio di come Man Ray lavori sperimentando tutte le proprietà tecniche del linguaggio fotografico, a partire dalla luce che, contrastata, può farci percepire un volto o un corpo come un insieme di forme astratte bianche, grigie e nere fino ad arrivare agli effetti applicati in fase di sviluppo e stampa, in cui Man Ray è maestro. Gli interventi più drastici risultano nei famosi rayographs, dove oggetti fisici sono appoggiati sulla lastra fotografica, lasciando tracce sull’immagine finale. Nella galleria se ne può vedere uno in cui l’impronta di un ramoscello è rimasta impressa a coprire gli occhi della figura (l’occhio è elemento simbolico centrale della poetica di Man Ray, basti pensare al metronomo con l’occhio di “Objét Indéstructible”).
Bellissimi anche gli altri nudi di donna, i sinuosi corpi ritratti, anzi composti dall’obiettivo di Man Ray che esplora tagli e diagonali stranianti, come pure diverse ambientazioni (a volte il semplice spazio vuoto che si confonde con le forme, a volte un luogo insolito come un bosco), gli ingrandimenti che affermano la validità l’evidenza, la consistenza della realtà dell’immagine, parallela e altrettanto importante e vera rispetto a quella ordinaria. Questo d’altronde è il messaggio di André Breton e dei Surrealisti, a cui Man Ray si avvicina. E bellissime sono le immagini della mostra più vicine alla poetica surrealista: ad esempio quella della statua che si riflette, o quella della statua accanto a una pera, o della testa di donna in primo piano incredibilmente simile alla scultura primitiva che tiene in mano. O ancora quella, così onirica, in cui un volto grande è accostato a due piccoli manichini che si intrecciano.
«Dipingo ciò che non posso fotografare. Fotografo ciò che non voglio dipingere. Dipingo l'invisibile. Fotografo il visibile».
“Man Ray in quarta persona”
Roma. Galleria Il Segno, via Capo le Case, 4
Tel. 06.67.91.387
Orari: 10.30-13/17-19.39 (ch. dom, sab pom e lun matt.
Ingresso libero, fino al 15 maggio 2001
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