Dal 28 febbraio al 28 aprile
Rane, delfini, tartarughe: il mondo fantastico di Alighiero Boetti in mostra a Milano
Alighiero Boetti, Senza titolo (Tartar tartarughe rughe e righe…), 1990, tecnica mista su carta intelata, 50 x 70 cm
Samantha De Martin
17/01/2018
Milano - Quando Alighiero Boetti, nell’autunno del ‘72, si trasferì a Roma, decise di ripartire da una matita e da un foglio di carta quadrettato. Una trentina di quelle opere su carta, dedicate al regno della natura e al mondo animale, concepite in realtà già a partire dal 1965 e annoverabili fra quelle realizzate da “mano propria”, cioè senza la collaborazione di altri, caratterizzano la mostra Alighiero Boetti. Il mondo fantastico, alla galleria Dep Art di Milano dal 28 febbraio al 28 aprile.
Dipinti a tutti gli effetti, strutturati, costruiti e definiti, in grado di svelare uno degli aspetti meno noti del procedere dell’artista che è stato anche un grandissimo pittore, accompagnano l’esposizione a cura di Federico Sardella. Ad aprire il percorso è una china del 1965, espressione del primissimo periodo creativo dell’architetto, che lascia spazio a un approfondimento dedicato alla natura rivisitata e al regno animale, una delle tematiche preferite dall’artista a partire dalla fine degli anni Settanta.
Rane, scimmie, pantere, delfini, tartarughe e stambecchi diventano per Boetti elementi decorativi ripetibili all’infinito e, come i numeri, combinabili senza limitazioni.
La mostra accoglie anche l’installazione Zoo del 1979, allestita dall’architetto, con i figli Agata e Matteo, nel suo studio di Roma con affaccio sul campanile di Santa Maria in Trastevere.
Per consentire al visitatore di apprezzare al meglio questa produzione - una sorta di assemblea di animali la cui realizzazione impegnò i tre per alcuni mesi - spesso pubblicata, ma mai riproposta fino ad oggi, la galleria ha adattato il proprio spazio a questa sorta di bestiario, utilizzando un tappeto afgano sul quale lo spettatore può sedersi e osservare gli animaletti dall’alto, spostando inevitabilmente il punto di vista sull’opera.
Questi oggetti sono disposti secondo la classica concezione boettiana del raggruppamento per genere, finalizzato anche alla definizione dell’area geografica di appartenenza, come l’artista stesso scrive: «Questi animali portano in sé il ricordo di milioni di loro predecessori e ricordano il tempo, quello antico, lento, anonimo, identico, immobile, invariato».
A catturare l’attenzione del visitatore, spiccano poi in mostra soggetti insoliti e particolarmente rari, disegnati con grafite, inchiostro di china, acquarello o penna a biro, come la Lampada del 1965, riconducibile al periodo torinese. Accompagna l’esposizione un volume bilingue realizzato da Dep Art, con un’introduzione di Antonio Addamiano e Federico Sardella, un testo del curatore che dialoga con se stesso a proposito di Alighiero e Boetti, la riproduzione di tutte le opere esposte, una selezione di immagini di repertorio e riferibili all’installazione Zoo e un’aggiornata nota bio-bibliografica.
Leggi anche:
• Alighiero Boetti. Il mondo fantastico
• Il momento magico dell'Arte povera: da Sotheby's volano Boetti e Fontana
Dipinti a tutti gli effetti, strutturati, costruiti e definiti, in grado di svelare uno degli aspetti meno noti del procedere dell’artista che è stato anche un grandissimo pittore, accompagnano l’esposizione a cura di Federico Sardella. Ad aprire il percorso è una china del 1965, espressione del primissimo periodo creativo dell’architetto, che lascia spazio a un approfondimento dedicato alla natura rivisitata e al regno animale, una delle tematiche preferite dall’artista a partire dalla fine degli anni Settanta.
Rane, scimmie, pantere, delfini, tartarughe e stambecchi diventano per Boetti elementi decorativi ripetibili all’infinito e, come i numeri, combinabili senza limitazioni.
La mostra accoglie anche l’installazione Zoo del 1979, allestita dall’architetto, con i figli Agata e Matteo, nel suo studio di Roma con affaccio sul campanile di Santa Maria in Trastevere.
Per consentire al visitatore di apprezzare al meglio questa produzione - una sorta di assemblea di animali la cui realizzazione impegnò i tre per alcuni mesi - spesso pubblicata, ma mai riproposta fino ad oggi, la galleria ha adattato il proprio spazio a questa sorta di bestiario, utilizzando un tappeto afgano sul quale lo spettatore può sedersi e osservare gli animaletti dall’alto, spostando inevitabilmente il punto di vista sull’opera.
Questi oggetti sono disposti secondo la classica concezione boettiana del raggruppamento per genere, finalizzato anche alla definizione dell’area geografica di appartenenza, come l’artista stesso scrive: «Questi animali portano in sé il ricordo di milioni di loro predecessori e ricordano il tempo, quello antico, lento, anonimo, identico, immobile, invariato».
A catturare l’attenzione del visitatore, spiccano poi in mostra soggetti insoliti e particolarmente rari, disegnati con grafite, inchiostro di china, acquarello o penna a biro, come la Lampada del 1965, riconducibile al periodo torinese. Accompagna l’esposizione un volume bilingue realizzato da Dep Art, con un’introduzione di Antonio Addamiano e Federico Sardella, un testo del curatore che dialoga con se stesso a proposito di Alighiero e Boetti, la riproduzione di tutte le opere esposte, una selezione di immagini di repertorio e riferibili all’installazione Zoo e un’aggiornata nota bio-bibliografica.
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