A una settimana dall’uscita di “Van Gogh – Tra il Grano e il Cielo”, al cinema dal 9 all’11 aprile
La passione di Helene Kröller-Müller per Van Gogh: ne parla la scrittrice Eva Rovers
Vincent van Gogh, Terrazza del caffè la sera, Place du Forum, Arles, 1888, Olio su tela, 65.5 x 81 cm, Otterlo, Kröller-Müller Museum
Francesca Grego
03/04/2018
Mondo - Siamo abituati a vedere il suo nome associato a uno dei più famosi musei d’Olanda, il Kröller-Müller Museum di Otterlo, che detiene una raccolta di Van Gogh seconda solo a quella del museo di Amsterdam dedicato all’artista. Ma su Helene Kröller-Müller c’è molto da raccontare. Letteralmente folgorata dal pittore dei Girasoli, fu colta all’improvviso dalla febbre del collezionismo, contribuendo a rendere Van Gogh uno degli artisti più amati – e quotati – di sempre. Era ricca e potente, mentre Vincent in vita sua non vendette che pochi quadri. Per motivi anagrafici i due non si incontrarono mai, ma furono accomunati da una potente tensione mistica.
In attesa di conoscere la singolare figura di Helene nel film Van Gogh – Tra il Grano e il Cielo, al cinema dal 9 all’11 aprile grazie a Nexo Digital e 3D Produzioni, ne parliamo con Eva Rovers, scrittrice e autrice di un’intensa biografia della Müller.
Per molto tempo si è saputo davvero poco di Helene Kröller-Müller: chi era veramente questa grande collezionista? Cosa aveva in comune con Van Gogh una ricca borghese proveniente da una potente famiglia di industriali?
“Helene Kröller-Müller era la moglie del ricco imprenditore olandese Anton Kröller. Nata in una famiglia di industriali tedeschi, non era cresciuta in un ambiente particolarmente sensibile all’arte e iniziò ad apprezzare l’arte moderna quando aveva già superato da molto i 30 anni.
Tra il 1907 e il 1938 mise insieme una raccolta senza eguali in Europa, che comprendeva opere di Picasso, Gris, Mondrian, Signac, Seurat, Redon e, naturalmente, Van Gogh. Capitava che acquistasse quadri di Picasso o Mondrian come altre donne compravano borsette e cappelli. Una volta tornò da Parigi con 15 dipinti di Van Gogh, che negli anni precedenti la Prima Guerra Mondiale era ancora un artista oscuro e controverso. Nel 1913 rese la propria collezione accessibile ai visitatori in una delle rarissime esposizioni permanenti di arte moderna in Europa. La stessa Peggy Guggenheim, per intenderci, aprì la sua galleria londinese soltanto nel 1938. La scelta di Helene Kröller-Müller fu decisiva per la conoscenza e l’apprezzamento dell’arte moderna da parte del pubblico.
Fin dall’adolescenza, inoltre, Helene era andata in cerca di una spiritualità personale e non dogmatica. Nelle lettere e nelle opere di Van Gogh riconobbe lo stesso travaglio interiore. Anche lui si era liberato dalla fede intesa in senso tradizionale e da una ritualità borghese, non a caso il suo fervore religioso non è immediatamente percepibile nei dipinti. Van Gogh aveva preferito dedicarsi a soggetti umani e quotidiani, sviluppando un uso del colore sempre più espressivo proprio per dar forma a una spiritualità vissuta nell’intimo. A impressionare Helene fu la decisione dell’artista di non dipingere scene tratte dalle Sacre Scritture, ma di cercare un sentimento religioso autentico nella natura e nella vita di tutti i giorni”.
Come nacque la passione di Helene Kröller-Müller per Van Gogh? Come si sviluppò il suo progetto di collezionismo, culminato nella creazione del Museo di Otterlo?
“Helene fu introdotta alla pittura di Van Gogh da Henk Bremmer, autorevole insegnante e tra i primi estimatori dell’artista. Nelle sue lezioni appassionate, l’opera del pittore appariva come il riflesso di un’esistenza eroica passata attraverso la sofferenza per giungere a una profonda spiritualità. Questa definizione dell’arte come esperienza mistica diede a Helene un importante strumento per capire e apprezzare il lavoro di Van Gogh. L’incontro con Bremmer segnò uno spartiacque nella sua vita.
Nell’estate del 1911, quando Helene aveva 42 anni, le fu diagnosticata una grave malattia, che rese necessario un intervento chirurgico molto pericoloso. Faccia a faccia con la caducità della propria vita, decise che se fosse sopravvissuta avrebbe creato “un monumento alla cultura”, un museo capace di raccontare alle generazioni future la raffinatezza interiore raggiunta da una donna proveniente da una famiglia di mercanti di inizio secolo: ‘Dovrà essere un museo vivo e naturale come nessun altro prima’, scriveva. Sia il museo che la collezione avrebbero dovuto mostrare il meglio dell’umanità nelle sue differenti sfaccettature.
Subito dopo la Grande Guerra la Kröller-Müller incaricò l’architetto e artista belga Henry Van de Velde di costruire un immenso museo nelle sue proprietà di The Hoge Veluwe - una grande riserva naturale nei Paesi Bassi orientali. Nel 1921 furono gettate le fondamenta dell’edificio, ma poco più di un anno dopo il progetto fu cancellato perché l’azienda di famiglia era sull’orlo della bancarotta. In questi anni di crisi Helene espose i quadri di Van Gogh in Europa e negli Stati Uniti. In tal modo incrementò la fama dell’artista, ma anche quella della propria collezione, gettando le basi per convincere lo stato olandese a partecipare alla costruzione del museo. I lavori iniziarono nel 1937: un anno dopo il Kröller-Müller Museum apriva i battenti con Helene nel ruolo di direttrice”.
Un museo alquanto singolare, immerso nel bosco a più di 100 chilometri dalle principali città olandesi: un viaggetto non trascurabile con i mezzi dell’epoca…
“Helene preferì la remota Hoge Veluwe ai vantaggi di un grande centro urbano. I visitatori, pensava, avrebbero potuto apprezzare la complessità della collezione e il carattere monumentale del museo molto meglio nella natura incontaminata che nell’atmosfera frettolosa e indaffarata della città. Nella pace di Veluwe il pubblico avrebbe potuto abbandonarsi alla fruizione dell’arte e assimilarla con tranquillità, nello stato d’animo ideale per accostarsi ai nuovi linguaggi astratti. Come Van Gogh, inoltre, Helene considerava l’arte legata a doppio filo con la natura, che per entrambi fu fonte di ispirazione e conforto”.
Cosa vedeva Helene in Van Gogh? Riuscì realmente a comprendere il senso della sua pittura?
“Seguendo i consigli di Bremmer, Helene fece riferimento alla Teoria della Conoscenza di Spinoza per capire il lavoro di Van Gogh. L’idea era che Dio e la natura non potessero essere concepiti come elementi indipendenti, ma fossero da considerare parti di un’unica entità infinita. Helene si sforzò quindi di scorgere l’Assoluto nella realtà di tutti i giorni e, in particolare, nell’arte. In alcuni momenti poteva ‘vedere il Paradiso’ in un quadro come il Cesto di limoni e bottiglia. Seduta nel suo salottino, meditava sul dipinto: non guardava più l’immagine ma si abbandonava alla ‘mente di qualcuno capace di vedere i limoni in quel modo’. Non sempre riusciva lasciarsi andare alla potenza dell’infinito, e allora l’opera di Van Gogh le appariva ‘troppo grande e profonda’ nonostante l’aiuto di Spinoza”.
Cosa sarebbe accaduto se, come sognava, Helene avesse potuto davvero incontrare Vincent?
“È un pensiero intrigante. Erano entrambi personaggi testardi e tutt’altro che estroversi, dunque immagino che sarebbe stato un dialogo alquanto difficile. Inoltre Helene era facilmente delusa dal prossimo, motivo per cui amava così tanto l’arte: le mostrava il lato migliore dell’umanità, quello che non riusciva a vedere nelle persone in carne e ossa. Probabilmente è un bene che abbia potuto conoscere Van Gogh esclusivamente attraverso i suoi dipinti: solo un semidio avrebbe potuto soddisfare le aspettative che si era creata su di lui!”
Ogni collezione racconta qualcosa sul suo autore. Che cosa voleva dire al mondo Helene Kröller-Müller collezionando, prestando ed esponendo i suoi Van Gogh?
“I primi vent’anni del matrimonio di Helene ruotarono intorno al marito, ai figli e agli affari: per molto tempo faticò a trovare un’identità indipendente dagli altri. Contro questa situazione la sua intelligenza e la sua individualità si ribellavano. Con l’aiuto della collezione, invece, poté costruire un'immagine di se stessa nuova e autentica ad un tempo. Il suo interesse per l’arte la trasformò da moglie di un nouveau riche in una collezionista visionaria, capace di scoprire il valore di Van Gogh molto prima di tutti gli altri”.
La raccolta Kröller-Müller comprende migliaia di opere. Nella visione di Helene, che tipo di rapporto c’era tra le creazioni di Van Gogh e i lavori degli altri artisti collezionati, come Picasso o Mondrian? Perché ai suoi occhi Van Gogh incarnava “l’alfa e l’omega dell’arte”?
“Secondo Helene l’arte moderna rappresentava una transizione ‘dal visibile all’Assoluto’. Selezionando pezzi di periodi e stili diversi, desiderava evidenziare questo movimento dal ‘realismo’ all’‘idealismo’, ovvero verso ciò che oggi chiamiamo astrazione. Apprezzava molto il lavoro di artisti astratti come Picasso e Mondrian, ma il top per lei erano quelle opere capaci di stare in equilibrio tra i due poli. Nella sua visione i dipinti di Van Gogh erano il massimo esempio di questa sintesi: rappresentavano la culla dell’arte moderna e contemporaneamente portavano in se stessi l’Assoluto, il termine ultimo dell’evoluzione artistica”.
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In attesa di conoscere la singolare figura di Helene nel film Van Gogh – Tra il Grano e il Cielo, al cinema dal 9 all’11 aprile grazie a Nexo Digital e 3D Produzioni, ne parliamo con Eva Rovers, scrittrice e autrice di un’intensa biografia della Müller.
Per molto tempo si è saputo davvero poco di Helene Kröller-Müller: chi era veramente questa grande collezionista? Cosa aveva in comune con Van Gogh una ricca borghese proveniente da una potente famiglia di industriali?
“Helene Kröller-Müller era la moglie del ricco imprenditore olandese Anton Kröller. Nata in una famiglia di industriali tedeschi, non era cresciuta in un ambiente particolarmente sensibile all’arte e iniziò ad apprezzare l’arte moderna quando aveva già superato da molto i 30 anni.
Tra il 1907 e il 1938 mise insieme una raccolta senza eguali in Europa, che comprendeva opere di Picasso, Gris, Mondrian, Signac, Seurat, Redon e, naturalmente, Van Gogh. Capitava che acquistasse quadri di Picasso o Mondrian come altre donne compravano borsette e cappelli. Una volta tornò da Parigi con 15 dipinti di Van Gogh, che negli anni precedenti la Prima Guerra Mondiale era ancora un artista oscuro e controverso. Nel 1913 rese la propria collezione accessibile ai visitatori in una delle rarissime esposizioni permanenti di arte moderna in Europa. La stessa Peggy Guggenheim, per intenderci, aprì la sua galleria londinese soltanto nel 1938. La scelta di Helene Kröller-Müller fu decisiva per la conoscenza e l’apprezzamento dell’arte moderna da parte del pubblico.
Fin dall’adolescenza, inoltre, Helene era andata in cerca di una spiritualità personale e non dogmatica. Nelle lettere e nelle opere di Van Gogh riconobbe lo stesso travaglio interiore. Anche lui si era liberato dalla fede intesa in senso tradizionale e da una ritualità borghese, non a caso il suo fervore religioso non è immediatamente percepibile nei dipinti. Van Gogh aveva preferito dedicarsi a soggetti umani e quotidiani, sviluppando un uso del colore sempre più espressivo proprio per dar forma a una spiritualità vissuta nell’intimo. A impressionare Helene fu la decisione dell’artista di non dipingere scene tratte dalle Sacre Scritture, ma di cercare un sentimento religioso autentico nella natura e nella vita di tutti i giorni”.
Come nacque la passione di Helene Kröller-Müller per Van Gogh? Come si sviluppò il suo progetto di collezionismo, culminato nella creazione del Museo di Otterlo?
“Helene fu introdotta alla pittura di Van Gogh da Henk Bremmer, autorevole insegnante e tra i primi estimatori dell’artista. Nelle sue lezioni appassionate, l’opera del pittore appariva come il riflesso di un’esistenza eroica passata attraverso la sofferenza per giungere a una profonda spiritualità. Questa definizione dell’arte come esperienza mistica diede a Helene un importante strumento per capire e apprezzare il lavoro di Van Gogh. L’incontro con Bremmer segnò uno spartiacque nella sua vita.
Nell’estate del 1911, quando Helene aveva 42 anni, le fu diagnosticata una grave malattia, che rese necessario un intervento chirurgico molto pericoloso. Faccia a faccia con la caducità della propria vita, decise che se fosse sopravvissuta avrebbe creato “un monumento alla cultura”, un museo capace di raccontare alle generazioni future la raffinatezza interiore raggiunta da una donna proveniente da una famiglia di mercanti di inizio secolo: ‘Dovrà essere un museo vivo e naturale come nessun altro prima’, scriveva. Sia il museo che la collezione avrebbero dovuto mostrare il meglio dell’umanità nelle sue differenti sfaccettature.
Subito dopo la Grande Guerra la Kröller-Müller incaricò l’architetto e artista belga Henry Van de Velde di costruire un immenso museo nelle sue proprietà di The Hoge Veluwe - una grande riserva naturale nei Paesi Bassi orientali. Nel 1921 furono gettate le fondamenta dell’edificio, ma poco più di un anno dopo il progetto fu cancellato perché l’azienda di famiglia era sull’orlo della bancarotta. In questi anni di crisi Helene espose i quadri di Van Gogh in Europa e negli Stati Uniti. In tal modo incrementò la fama dell’artista, ma anche quella della propria collezione, gettando le basi per convincere lo stato olandese a partecipare alla costruzione del museo. I lavori iniziarono nel 1937: un anno dopo il Kröller-Müller Museum apriva i battenti con Helene nel ruolo di direttrice”.
Un museo alquanto singolare, immerso nel bosco a più di 100 chilometri dalle principali città olandesi: un viaggetto non trascurabile con i mezzi dell’epoca…
“Helene preferì la remota Hoge Veluwe ai vantaggi di un grande centro urbano. I visitatori, pensava, avrebbero potuto apprezzare la complessità della collezione e il carattere monumentale del museo molto meglio nella natura incontaminata che nell’atmosfera frettolosa e indaffarata della città. Nella pace di Veluwe il pubblico avrebbe potuto abbandonarsi alla fruizione dell’arte e assimilarla con tranquillità, nello stato d’animo ideale per accostarsi ai nuovi linguaggi astratti. Come Van Gogh, inoltre, Helene considerava l’arte legata a doppio filo con la natura, che per entrambi fu fonte di ispirazione e conforto”.
Cosa vedeva Helene in Van Gogh? Riuscì realmente a comprendere il senso della sua pittura?
“Seguendo i consigli di Bremmer, Helene fece riferimento alla Teoria della Conoscenza di Spinoza per capire il lavoro di Van Gogh. L’idea era che Dio e la natura non potessero essere concepiti come elementi indipendenti, ma fossero da considerare parti di un’unica entità infinita. Helene si sforzò quindi di scorgere l’Assoluto nella realtà di tutti i giorni e, in particolare, nell’arte. In alcuni momenti poteva ‘vedere il Paradiso’ in un quadro come il Cesto di limoni e bottiglia. Seduta nel suo salottino, meditava sul dipinto: non guardava più l’immagine ma si abbandonava alla ‘mente di qualcuno capace di vedere i limoni in quel modo’. Non sempre riusciva lasciarsi andare alla potenza dell’infinito, e allora l’opera di Van Gogh le appariva ‘troppo grande e profonda’ nonostante l’aiuto di Spinoza”.
Cosa sarebbe accaduto se, come sognava, Helene avesse potuto davvero incontrare Vincent?
“È un pensiero intrigante. Erano entrambi personaggi testardi e tutt’altro che estroversi, dunque immagino che sarebbe stato un dialogo alquanto difficile. Inoltre Helene era facilmente delusa dal prossimo, motivo per cui amava così tanto l’arte: le mostrava il lato migliore dell’umanità, quello che non riusciva a vedere nelle persone in carne e ossa. Probabilmente è un bene che abbia potuto conoscere Van Gogh esclusivamente attraverso i suoi dipinti: solo un semidio avrebbe potuto soddisfare le aspettative che si era creata su di lui!”
Ogni collezione racconta qualcosa sul suo autore. Che cosa voleva dire al mondo Helene Kröller-Müller collezionando, prestando ed esponendo i suoi Van Gogh?
“I primi vent’anni del matrimonio di Helene ruotarono intorno al marito, ai figli e agli affari: per molto tempo faticò a trovare un’identità indipendente dagli altri. Contro questa situazione la sua intelligenza e la sua individualità si ribellavano. Con l’aiuto della collezione, invece, poté costruire un'immagine di se stessa nuova e autentica ad un tempo. Il suo interesse per l’arte la trasformò da moglie di un nouveau riche in una collezionista visionaria, capace di scoprire il valore di Van Gogh molto prima di tutti gli altri”.
La raccolta Kröller-Müller comprende migliaia di opere. Nella visione di Helene, che tipo di rapporto c’era tra le creazioni di Van Gogh e i lavori degli altri artisti collezionati, come Picasso o Mondrian? Perché ai suoi occhi Van Gogh incarnava “l’alfa e l’omega dell’arte”?
“Secondo Helene l’arte moderna rappresentava una transizione ‘dal visibile all’Assoluto’. Selezionando pezzi di periodi e stili diversi, desiderava evidenziare questo movimento dal ‘realismo’ all’‘idealismo’, ovvero verso ciò che oggi chiamiamo astrazione. Apprezzava molto il lavoro di artisti astratti come Picasso e Mondrian, ma il top per lei erano quelle opere capaci di stare in equilibrio tra i due poli. Nella sua visione i dipinti di Van Gogh erano il massimo esempio di questa sintesi: rappresentavano la culla dell’arte moderna e contemporaneamente portavano in se stessi l’Assoluto, il termine ultimo dell’evoluzione artistica”.
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