Fino al 26 marzo in mostra le opere dal Kröller-Müller Museum di Otterlo

A Roma tutta la magia di Van Gogh

Vincent Van Gogh, Il seminatore, Arles, 17 – 28 giugno 1888 ca, Olio su tela, 80.3 x 64.2 cm © Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherland
 

Samantha De Martin

07/10/2022

Roma - “Se senti una voce dentro di te che dice che non sei un pittore, allora, proprio allora devi dipingere e quella voce sarà messa a tacere, soltanto col lavoro”.
La fatica connotata da un’umiltà sacra, ma intesa anche come ineluttabile destino, diventa un filo teso che, dalle mani della Donna che pela patate all’interno di una delle fredde case di Etten - gessetto nero, acquarello grigio e acquarello opaco su carta vergata, frutto della mano inesperta di un Van Gogh ventottenne - accompagna il visitatore di Palazzo Bonaparte nell’animo di Vincent, pullulante di quotidianità e di un amore sconfinato per il lavoro e per l’umano.
Lo studio quasi sacro del lavoro della terra apre il percorso espositivo prodotto da Arthemisia, a cura di Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti, che lo spazio di Generali Valore Cultura dedica dall’8 ottobre al 26 marzo all’artista dalla sensibilità estrema e la vita tormentata.


Vincent Van Gogh, Donne nella neve che trasportano sacchi di carbone, L’Aia, novembre 1882, Carboncino, acquarello opaco e inchiostro su carta velina, 50.1 x 32.1 cm © Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands

La vicenda umana e artistica di Vincent, raccontata dalle stesse sua parole contenute nelle lettere al fratello Theo, che caratterizzano l’ampio apparato didascalico della mostra, corre attraverso le 50 opere provenienti dal prestigioso Museo Kröller-Müller di Otterlo, la grande “casa museo” nata dalla passione per l’arte di Helene Kröller-Müller e che accoglie il maggior numero di opere del pittore dopo il Van Gogh Museum di Amsterdam.
Un percorso cronologico, scandito dai periodi e dai luoghi dove il pittore visse, dall’Olanda a Parigi, da Arles a St. Remy e Auvers-Sur- Oise, dove mise fine alla sua tormentata esistenza, conduce il visitatore, in un crescendo intenso, da lavori come gli intimi Donna che cuce e gatto all’ultimo drammatico Vecchio disperato, di maggio 1890.

Il realismo appreso da Jean François Millet e da Charles François Dubign si fa strada tra gli scuri paesaggi della giovinezza da dove emergono seminatori, raccoglitori di patate, tessitori, boscaioli, la donna intenta a lavare una pentola e quella china a raccogliere il frumento, e ancora Sien, la prostituta dallo sguardo perso e struggente o le mogli dei minatori del Borinage schiacciate dal peso dei sacchi di carbone, osservate da Van Gogh mentre avanzano nella neve.
E gli ospiti di palazzo Bonaparte, come Van Gogh, si sentono parte di un mondo che vive in capanne di terra.
Seguiamo Vincent spostarsi da Etten a L’Aia, al Drenthe, a Nuenen, sempre alla ricerca di testimonianze vive di un mondo che ha per lui un valore assoluto incarnato nelle sue figure.


Vincent van Gogh, Contadina che raccoglie il frumento, Nuenen, luglio – agosto 1885, Gessetto nero, gouache grigia, acquerello opaco bianco e tracce di latte fissativo su carta velina, 43.2 x 52.2 cm © Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands

Natura morta con cappello di paglia, dove Van Gogh fa propria la lezione di Anton Mauve di aprirsi al colore, è solo un timido segnale che anticipa l’esplosione cromatica che avverrà sulla tela durante il periodo parigino, vissuto a partire da febbraio 1888. Questa accurata ricerca del colore sulla scia impressionista, con la conquista di un linguaggio più immediato e cromaticamente vibrante, emerge nel percorso attraverso il taglio vibrante e “fotografico” di Interno di un ristorante, un omaggio agli impressionisti che amavano rappresentare la vita gioiosa della modernità. Del 1887 è Angolo di prato per il quale l’artista riutilizza una vecchia tela che ha fatto emergere, da un esame a raggi X, tracce di una testa di donna con cuffia bianca e nidi di uccelli.
Nel breve soggiorno parigino, durato soli due anni, Vincent assorbe il clima artistico vitale della città, si lega ad artisti come Émile Bernard, Toulouse-Lautrec e Loius Anquetin, riserva ai grandi protagonisti dell’Impressionismo come Monet, Degas, Renoir, Sisley e Pissarro l’appellativo di artisti del Grand Boulevard.
È di questo periodo anche l’Autoritratto a fondo azzurro con tocchi verdi del 1887, presente in mostra in una sala tutta per sé, ed esposto per la prima volta al di fuori dei Paesi bassi dopo il restauro che ha restituito brillantezza allo sguardo penetrante rivolto con fierezza dal maestro allo spettatore attraverso rapidi colpi di pennello.


Vincent Van Gogh, Covone sotto un cielo nuvoloso, Auvers-sur-Oise, luglio 1890 Olio su tela, 53.7 x 63.3 cm © Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherland

Ma sarà l’immersione nella luce e nel calore del sud, a partire dal 1887, a generare aperture ancora maggiori verso gli eccessi cromatici. Vincent riprende a sognare sinfonie di colori associabili a toni musicali. Lo spazio si genera dal colore. Ritorna di nuovo l’immagine del Seminatore. Ma questa volta l'opera, realizzata ad Arles nel giugno 1888, è invasa dall’oro antico e da accostamenti di colore inediti con i quali l’artista vuole esprimere sensazioni gioiose. Van Gogh discende nell’abisso, ma è capace di risalire in modo subitaneo e veemente.
Il cammino di Vincent a Palazzo Bonaparte prosegue e, con il suo, anche quello del visitatore. Adesso il pittore avverte che si può giungere a una tale sfera espressiva solo attraverso un uso metafisico del colore.
Il suo primo attacco di follia, nel manicomio di Saint-Paul-de-Mausole, lo colpisce mentre dipinge nei campi in una giornata di vento. E così Giardino dell’ospedale a Saint-Rémy (1889) assume l’aspetto di un intricato tumulto, mentre le montagne rocciose delle Alpilles diventano grovigli vorticosi dove le pennellate violente diventano espressione dello stato d’animo del pittore. Nel tumultuoso universo del Burrone dalle forme convulse che sembrano inghiottire ogni speranza, Van Gogh proietta i suoi tormenti che diventano inconsolabili nell’ultimo grido di aiuto affidato al Vecchio disperato (1890) che chiude la mostra.


Allestimento della mostra Van Gogh. Capolavori dal Kröller-Müller Museum

Accanto alle opere di Van Gogh, il percorso abbraccia, nella prima sezione dedicata a Helene Kröller-Müller, che affida all’arte il compito di traghettare la società verso il futuro, alcuni capolavori della collezione olandese come Portrait of a young woman (The Madrilenian) di Picasso, In the café di August Renoir e Atiti di Paul Gauguin.

Quel “grosso cane ispido” che entra “nella stanza con le zampe bagnate” abbaiando forte, come scriveva di sé Vincent nel 1885 in una lettera al fratello Theo, non darà più fastidio. Ha fatto il suo ingresso glorioso nelle epoche conquistando quella stessa umanità che aveva posto al centro dei sui capolavori immensi, per trascinarci a distanza di oltre un secolo, nel magico sogno di una notte stellata.

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