Fino al 13 ottobre a Roma presso il casale di Santa Maria Nova
"L'Appia è moderna". Una mostra offre un nuovo sguardo sulla regina viarum
Francesco Jodice, Via Appia, 2024, Villa De Laurentiis Mangano
Samantha De Martin
20/05/2024
Roma - Raccontare l’Appia attraverso la lente del Novecento.
Parte da questo obiettivo la mostra L’Appia è moderna, un viaggio a cura di Claudia Conforti, Roberto Dulio, Simone Quilici, Ilaria Sgarbozza, visitabile fino al 13 ottobre presso il casale di Santa Maria Nova, nel Parco Archeologico dell’Appia Antica.
Molto più di una strada romana, santuario ramificato della cristianità, universo di mondi, l’antico asse che collegava inizialmente Roma a Capua, prolungato nei secoli successivi fino a Brindisi, è al centro dell’esposizione organizzata da Electa, promossa dal Parco Archeologico dell’Appia Antica e dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.
Lungi dal volere entrare in contrapposizione con l’antico, il progetto, suddiviso in sei sezioni, abbraccia dipinti, fotografie, illustrazioni, manifesti pubblicitari, progetti architettonici e documenti d’archivio che sussurrano al visitatore di oggi tutta l’energia di un secolo che ha fortemente disegnato l’Appia, regina viarum, facendone una delle più note vie consolari.
Troppo spesso passata alla storia come un territorio urbano lontano dalla città e restituito ai contemporanei attraverso figurazioni stereotipate del rudere e dell’edilizia rurale corredata di armenti, l’Appia è invece sempre stata parte integrante delle dinamiche urbane e sociali di Roma.
Giuseppe Costantini, Veduta del mausoleo di Cecilia Metella con contadini e armenti, 1877 (Collezione privata, Roma)
Se Francesco Jodice porta in mostra il suo sguardo sulla regina viarum attraverso otto le fotografie che restituiscono un racconto personalissimo, i progetti esposti e firmati dai grandi architetti del secolo scorso corrono all’interno del Casale di Santa Maria Nova attraverso la dimore che proprio lungo l’Appia iniziano a essere realizzate nella prima metà del Novecento. I professionisti ingaggiati, Marcello Piacentini, i Busiri Vici, Raffaele De Vico, Enrico Del Debbio, declinano i progetti sulla base delle prescrizioni istituzionali e dell’immaginario indotto nei committenti, conformandosi a quell’immaginario archeologizzante imposto dalla normativa supportata dall’ideologia dell’epoca.
Dopo la Seconda guerra mondiale i progetti di residenze e di infrastrutture viarie fioriscono grazie ad architetti impegnati come Luigi Moretti, Sergio Musmeci, Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti, Lucio Passarelli. Le architetture sfidano gli stereotipi consolidati.
Manifesto del Raduno Automobilistico Internazionale, 1931 (Museo Nazionale Collezione Salce, Treviso)
L’ultimo episodio di questa storia progettuale dell’Appia novecentesca è il viadotto realizzato da Musmeci poco fuori Porta San Sebastiano.
C’è il Sacrario delle Fosse Ardeatine, drammatica volumetria che si staglia nella campagna romana degli anni Quaranta, e c’è “l’inserimento” del paesaggio botanico nel patrimonio archeologico dell’Appia come lo vediamo oggi, opera di Antonio Muñoz. Ci sono i pini, piantati all’inizio del Novecento, che hanno restituito modernità a quella che in origine era un’infinita distesa di campagna attraversata dall’antico basolato, costellata di resti archeologici.
I fotogrammi inediti dell’Appia, estrapolati da una pellicola cinematografica 35 mm di Mariano Fortuny - soggetti traslati dallo stesso Fortuny in incisioni e acqueforti, oltre che nei suoi famosi tessuti - rivelano invece lo sguardo dell’artista sull’antica strada. Anche le arti figurative - tra verismo, simbolismo e astrazione - hanno lasciato un’impronta nel racconto moderno di questa parte di città. I lavori di Duilio Cambellotti e di Giulio Aristide Sartorio affiancano le tele di Francesco Trombadori e di Carlo Socrate. Negli anni Sessanta, la vicenda della galleria Appia Antica di Emilio Villa, che ha assistito al debutto di Mario Schifano e Piero Manzoni, attesta la vivacità culturale della zona. Si arriva così al dopoguerra quando l’Appia diventa il contesto perfetto scelto dai divi di Hollywood per le loro residenze. Tra piscine moderne e ninfei, le ville degli attori accendono l’immaginazione popolare spopolando sui rotocalchi, e creando nuovi stereotipi di massa.
Massimo Catalani, Punti cospicui per reti neurali, 2023 (Collezione privata, Roma)
Il volto pop dell’Appia si manifesta, a distanza di decenni, nel cinema - da La dolce vita a La grande bellezza - e nei fumetti. Ne sono una testimonianza in mostra due numeri di Topolino che adottano lo scenario dell’Appia enfatizzandone la vitale modernità.
Alla mostra si affianca il volume edito da Electa i cui contributi amplificano il racconto affrontato nelle sale espositive.
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• L'Appia è moderna
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Molto più di una strada romana, santuario ramificato della cristianità, universo di mondi, l’antico asse che collegava inizialmente Roma a Capua, prolungato nei secoli successivi fino a Brindisi, è al centro dell’esposizione organizzata da Electa, promossa dal Parco Archeologico dell’Appia Antica e dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.
Lungi dal volere entrare in contrapposizione con l’antico, il progetto, suddiviso in sei sezioni, abbraccia dipinti, fotografie, illustrazioni, manifesti pubblicitari, progetti architettonici e documenti d’archivio che sussurrano al visitatore di oggi tutta l’energia di un secolo che ha fortemente disegnato l’Appia, regina viarum, facendone una delle più note vie consolari.
Troppo spesso passata alla storia come un territorio urbano lontano dalla città e restituito ai contemporanei attraverso figurazioni stereotipate del rudere e dell’edilizia rurale corredata di armenti, l’Appia è invece sempre stata parte integrante delle dinamiche urbane e sociali di Roma.
Giuseppe Costantini, Veduta del mausoleo di Cecilia Metella con contadini e armenti, 1877 (Collezione privata, Roma)
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Dopo la Seconda guerra mondiale i progetti di residenze e di infrastrutture viarie fioriscono grazie ad architetti impegnati come Luigi Moretti, Sergio Musmeci, Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti, Lucio Passarelli. Le architetture sfidano gli stereotipi consolidati.
Manifesto del Raduno Automobilistico Internazionale, 1931 (Museo Nazionale Collezione Salce, Treviso)
L’ultimo episodio di questa storia progettuale dell’Appia novecentesca è il viadotto realizzato da Musmeci poco fuori Porta San Sebastiano.
C’è il Sacrario delle Fosse Ardeatine, drammatica volumetria che si staglia nella campagna romana degli anni Quaranta, e c’è “l’inserimento” del paesaggio botanico nel patrimonio archeologico dell’Appia come lo vediamo oggi, opera di Antonio Muñoz. Ci sono i pini, piantati all’inizio del Novecento, che hanno restituito modernità a quella che in origine era un’infinita distesa di campagna attraversata dall’antico basolato, costellata di resti archeologici.
I fotogrammi inediti dell’Appia, estrapolati da una pellicola cinematografica 35 mm di Mariano Fortuny - soggetti traslati dallo stesso Fortuny in incisioni e acqueforti, oltre che nei suoi famosi tessuti - rivelano invece lo sguardo dell’artista sull’antica strada. Anche le arti figurative - tra verismo, simbolismo e astrazione - hanno lasciato un’impronta nel racconto moderno di questa parte di città. I lavori di Duilio Cambellotti e di Giulio Aristide Sartorio affiancano le tele di Francesco Trombadori e di Carlo Socrate. Negli anni Sessanta, la vicenda della galleria Appia Antica di Emilio Villa, che ha assistito al debutto di Mario Schifano e Piero Manzoni, attesta la vivacità culturale della zona. Si arriva così al dopoguerra quando l’Appia diventa il contesto perfetto scelto dai divi di Hollywood per le loro residenze. Tra piscine moderne e ninfei, le ville degli attori accendono l’immaginazione popolare spopolando sui rotocalchi, e creando nuovi stereotipi di massa.
Massimo Catalani, Punti cospicui per reti neurali, 2023 (Collezione privata, Roma)
Il volto pop dell’Appia si manifesta, a distanza di decenni, nel cinema - da La dolce vita a La grande bellezza - e nei fumetti. Ne sono una testimonianza in mostra due numeri di Topolino che adottano lo scenario dell’Appia enfatizzandone la vitale modernità.
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