Da febbraio a Palazzo Roverella
L'altro volto di Renoir si svela a Rovigo
Pierre-Auguste Renoir, La baigneuse blonde, 1882. Torino, Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli
Francesca Grego
11/01/2023
Rovigo - A quarant’anni l’Impressionismo non gli bastava più. Alla ricerca di nuove strade, Pierre-Auguste Renoir decise di guardare indietro, verso la grande arte italiana. Nel 1881 partì alla volta del Belpaese per studiare i maestri del Rinascimento. E per la sua pittura fu una rivoluzione. Per la prima volta una mostra racconterà crisi e rinascita del pittore francese, indagandone le imprevedibili conseguenze. In programma a Rovigo dal 25 febbraio, Renoir e l’Italia riunirà prestiti da musei e collezioni private italiane e internazionali, ripercorrendo le tappe del Grand Tour del maestro in parallelo con la sua evoluzione artistica.
Dopo la mostra dedicata a Kandinsky nel 2022, la grande fotografia di Doisneau (2022) e di Robert Capa (in corso fino al 29 gennaio 2023), Palazzo Roverella risale alle origini del Moderno per sviscerarne i legami con la tradizione. Nell’allestimento a cura di Paolo Bolpagni, seguiremo Renoir da Venezia - dove fu colpito da Tiepolo e Carpaccio, che ancora non conosceva - fino a Padova e a Firenze, e poi a Roma, che lo folgorò con la sua luce mediterranea. Qui l’artista fu conquistato dai maestri del Rinascimento, Raffaello in primis, del quale ammirò “la semplicità e la grandezza” negli affreschi di Villa Farnesina. Per approdare infine a Palermo e a Napoli, dove scoprì le meraviglie della pittura pompeiana e restò a bocca aperta davanti allo splendore dell’isola di Capri. “Il problema dell'Italia è che è troppo bella”, scrisse: “Le strade italiane sono gremite di dei pagani e personaggi biblici. Ogni donna che allatta un bambino è una Madonna di Raffaello!”.
Pierre-Auguste Renoir, Studio per Le Moulin de la Galette, 1875-1876, Olio su tela, 85 x 65 cm, Charlottenlund, Ordrupgaard
Il racconto di Jean Renoir, figlio del pittore e celebre regista, accompagnerà i visitatori lungo l’itinerario della mostra, un viaggio a tutto tondo negli anni maturi di uno dei più grandi artisti di sempre. “Fondendo la lezione di Raffaello e quella di Jean-Auguste Dominique Ingres, Renoir recupera un disegno nitido e un’attenzione alle volumetrie e alla monumentalità delle figure”, spiega il curatore Bolpagni.
A Palazzo Roverella scopriremo un Renoir diverso dal solito, lontano dalla stagione impressionista con la quale siamo abituati ad associarlo. Un Renoir “modernamente classico”, anche se a modo suo, che si rivelerà in inattesi confronti con opere appartenenti ad altre epoche e contesti.
Pierre-Auguste Renoir, Nu au fauteuil, 1900. Kunsthaus, Zurigo
“Dipingendo in un possente stile neo-rinascimentale, dove i toni caldi e scintillanti mutuati dal tardo Tiziano e da Rubens, così come dai settecenteschi Fragonard e Watteau, si coniugavano con i riferimenti a un’iconografia mitica e classicheggiante, Renoir anticipava il ritorno all’ordine” degli anni Venti e Trenta del Novecento, osserva ancora Bolpagni. “Un aspetto della sua produzione che non è stato sufficientemente messo a fuoco: quella che superficialmente è apparsa come un’involuzione era in realtà una premonizione di molta della pittura che si sarebbe sviluppata tra le due guerre”.
Pierre-Auguste Renoir, Roses dans un vase, 1900. Kunsthaus, Zurigo
Leggi anche:
• Dai Futurist a Duchamp, otto mostre da vedere nel 2023
Dopo la mostra dedicata a Kandinsky nel 2022, la grande fotografia di Doisneau (2022) e di Robert Capa (in corso fino al 29 gennaio 2023), Palazzo Roverella risale alle origini del Moderno per sviscerarne i legami con la tradizione. Nell’allestimento a cura di Paolo Bolpagni, seguiremo Renoir da Venezia - dove fu colpito da Tiepolo e Carpaccio, che ancora non conosceva - fino a Padova e a Firenze, e poi a Roma, che lo folgorò con la sua luce mediterranea. Qui l’artista fu conquistato dai maestri del Rinascimento, Raffaello in primis, del quale ammirò “la semplicità e la grandezza” negli affreschi di Villa Farnesina. Per approdare infine a Palermo e a Napoli, dove scoprì le meraviglie della pittura pompeiana e restò a bocca aperta davanti allo splendore dell’isola di Capri. “Il problema dell'Italia è che è troppo bella”, scrisse: “Le strade italiane sono gremite di dei pagani e personaggi biblici. Ogni donna che allatta un bambino è una Madonna di Raffaello!”.
Pierre-Auguste Renoir, Studio per Le Moulin de la Galette, 1875-1876, Olio su tela, 85 x 65 cm, Charlottenlund, Ordrupgaard
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A Palazzo Roverella scopriremo un Renoir diverso dal solito, lontano dalla stagione impressionista con la quale siamo abituati ad associarlo. Un Renoir “modernamente classico”, anche se a modo suo, che si rivelerà in inattesi confronti con opere appartenenti ad altre epoche e contesti.
Pierre-Auguste Renoir, Nu au fauteuil, 1900. Kunsthaus, Zurigo
“Dipingendo in un possente stile neo-rinascimentale, dove i toni caldi e scintillanti mutuati dal tardo Tiziano e da Rubens, così come dai settecenteschi Fragonard e Watteau, si coniugavano con i riferimenti a un’iconografia mitica e classicheggiante, Renoir anticipava il ritorno all’ordine” degli anni Venti e Trenta del Novecento, osserva ancora Bolpagni. “Un aspetto della sua produzione che non è stato sufficientemente messo a fuoco: quella che superficialmente è apparsa come un’involuzione era in realtà una premonizione di molta della pittura che si sarebbe sviluppata tra le due guerre”.
Pierre-Auguste Renoir, Roses dans un vase, 1900. Kunsthaus, Zurigo
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