Arte vietata
Scandalo al museo: cinque capolavori proibiti
Ermafrodito Borghese, Copia romana in marmo greco del II secolo d.C. da un originale ellenistico del II secolo a.C., Restaurato nel 1619 da David Larique, Materasso in marmo di Carrara realizzato da Gianlorenzo Bernini nel 1619 su richiesta del cardinale Borghese, Parigi, Museo del Louvre
Samantha De Martin
30/04/2020
Opere vietate, proibite, talvolta perdute, per colpa del caso o dell’eccessiva fretta nel disfarsene, incalzate dalla pruderie dei tempi o dai presunti rischi di uno spregiudicato voyeurismo.
L’arte, in ogni epoca e luogo, non dovrebbe mai essere considerata oggetto di scandalo. Eppure ci sono capolavori che, oltre ad essere censurati dalla morale del tempo furono esclusi dai luoghi per i quali vennero concepiti o addirittura mai esposti, tacciati di oscenità.
Come accadde per i Quadri delle facoltà realizzati da Gustav Klimt per il soffitto dell'Aula Magna dell'Università di Vienna, trasferiti altrove dopo aver fatto sobbalzare il mondo accademico e distrutti infine da un incendio.
Arrivando ai tempi più recenti, ci sono le Polaroid scattate da Balthus nel suo chalet svizzero di Rossinière. Solo sei anni fa la mostra che avrebbe dovuto esibirle al pubblico, nel Museo Folkwang di Essen, fu annullata avendo gli scatti come soggetto la modella-bambina Anna Wahli.
E nel cappio della censura, seppure temporanea, era incappata la Venere Esquilina, come altre statue di nudo dei Musei Capitolini, oscurate con pannelli bianchi durante la visita in Campidoglio del presidente dell'Iran Rouhani. In quel caso si trattò forse di un eccesso di sensibilità da parte di un Paese molto ospitale.
Lontane o vicine nel tempo, abbiamo selezionato cinque opere, ma potrebbero essere molte di più, che per motivi diversi destarono scandalo, furono proibite e andarono talvolta perdute.
Venere esquilina, Autore sconosciuto, I secolo a.C., Marmo, Altezza 155 cm, Roma, Musei Capitolini
• Antonio Canova, Paolina Borghese come Venere vincitrice
«Camillo, vorrei pregarvi di farmi un piacere...So che talvolta consentite a qualcuno di vedere la mia statua di marmo. Sarei lieta che questo non accadesse più, perché la nudità della scultura sfiora l'indecenza. È stata creata per il vostro piacere, ora non è più così, ed è giusto che rimanga nascosta agli sguardi altrui». Così il 22 gennaio 1818 Paolina Bonaparte, la bella sorella di Napoleone, scriveva al consorte, il principe romano Camillo Borghese, per chiedere di nascondere la Paolina Borghese come Venere vincitrice, la scultura neoclassica eseguita da Antonio Canova tra il 1804 e il 1808, esibita agli ospiti nell'abitazione del principe.
E così, nonostante fosse costata al principe ben seimila scudi, nel 1820 Camillo Borghese decise di rimuoverla dalla sua collocazione e di chiuderla in una cassa.
D’altra parte, dopo il tramonto dell'era napoleonica l'opera appariva totalmente decontestualizzata. Esaltando la bellezza di Paolina, infatti, la scultura celebrava implicitamente anche i Bonaparte, perdendo pertanto di coerenza dopo Waterloo.
La scultura, sublime, conservata oggi alla Galleria Borghese di Roma, era stata commissionata nel 1804 all’artista di Possagno proprio da Camillo Borghese per celebrare il suo matrimonio con Paolina. Quando la donna posò per lo scultore aveva venticinque anni. Canova ultimò l’opera nel 1808.
Il capolavoro fu trasferito nella residenza di Camillo a Torino, dove suscitò molto scalpore a causa dell'eccessiva sensualità del soggetto. Numerosi pettegolezzi fiorirono intorno alla nudità della scultura e all’eventualità che la principessa avesse posato senza veli per l’artista (lei stessa avrebbe affermato “ogni velo può cadere dinanzi al Canova”).
Paolina è ritratta come Venere, vincitrice del giudizio di Paride, come suggerisce la mela che reca in mano.
Antonio Canova, Paolina Borghese Bonaparte come Venere vincitrice, 1804, Marmo di Carrara, Roma, Galleria Borghese
• Ermafrodito Borghese
La Galleria Borghese accoglie un esemplare marmoreo risalente al II secolo d.C. ritrovato nel 1781. Si tratta di una delle migliori repliche dell'Ermafrodito dormiente rinvenuto a Roma e oggi conservato al Museo del Louvre di Parigi.
La statua originale era stata ritrovata nel 1609 durante gli scavi per la costruzione della Chiesa di Santa Maria della Vittoria. Si trattava di una copia romana da un originale di Policleto. Con il suo corpo “ambiguo” semiaddormentato, che esibiva le nudità nell’atto di girarsi nel sonno, è una delle opere più conturbanti della storia dell'arte.
Pur essendo un soggetto molto diffuso nella Grecia classica, all’epoca della Roma cattolica, il suo rinvenimento dovette destare non poco imbarazzo, al punto che i frati decisero di donare l’opera al cardinale Scipione Borghese. Da raffinato collezionista, il cardinale fece trasportare la statua nella sua villa, a Porta Pinciana, affidandone il restauro a Gian Lorenzo Bernini. Il Maestro, per 60 scudi, decise di concedere alla scultura un tocco personalissimo adagiando il corpo dell’ermafrodito su di un morbido materasso marmoreo e di un soffice cuscino. Nella sua nuova Villa Borghese intanto il cardinale aveva allestito una sala espressamente dedicata al suo Ermafrodito.
Ma nel 1807, sopraffatto dai debiti e dai giochi di potere, il principe Camillo Borghese II fu costretto a vendere l’intera collezione. La scultura fu acquistata dal principe Camillo Filippo Ludovico Borghese e trasferita al Louvre dove oggi si trova.
L’Ermafrodito dormiente fu sostituito, alla Galleria Borghese, con un esemplare simile in marmo di Paro, risalente al II secolo d.C. e restaurato da Andrea Bergondi che imitando il modello del Bernini, mutò il giaciglio marmoreo nell’attuale materasso.
Una delle copie di Fontana di Marcel Duchamp
• Duchamp, Fontana
Vietata, proibita, e alla fine perduta. Fontana è un'opera ready-made realizzata da Marcel Duchamp nel 1917. Dal 1964 esistono nel mondo sedici copie, distribuite in vari musei, dell'orinatoio firmato "R. Mutt", considerato una delle maggiori opere d'arte del XX secolo.
Non solo l’opera di Duchamp non venne mai esposta in pubblico, ma, secondo Calvin Tomkins, fu probabilmente gettata nella spazzatura dal fotografo Alfred Stieglitz.
Difendendo l'artisticità del ready-made, Duchamp aveva più volte sottolineato come il suo intento fosse quello di spostare l'attenzione e l'interpretazione artistiche dall'aspetto fisico al piano concettuale.
• Caravaggio, Morte della Vergine
Quando Caravaggio, intorno al 1606, consegnò all’Ordine dei Carmelitani Scalzi La morte della Vergine, commissionata cinque anni prima dal giurista Laerzio Cherubini per la propria Cappella in Santa Maria della Scala, i frati rifiutarono l’opera, considerandola indegna del luogo.
In effetti il corpo morto della Madonna, raffigurata priva di qualsiasi connotazione mistica, con il viso sconvolto, il ventre gonfio, che avrebbe ricordato, secondo una leggenda, quello di una prostituta rinvenuta nel Tevere, non dovette piacere ai religiosi.
Molto scandalo dovettero destare, in particolare, i piedi ritratti nudi fino alla caviglia. Dopo il rifiuto, la tela venne acquistata dal Duca di Mantova, su segnalazione di Rubens, per poi essere alienata al re d'Inghilterra Carlo I e arrivare al parigino Everhard Jabach. Ceduta al re di Francia Luigi XIV, si trova oggi nelle Collezioni del Louvre.
Caravaggio, Morte della Vergine, 1604-1606, Olio su tela, 245 x 369 cm, Parigi, Louvre
• Gustav Klimt , Quadri delle facoltà
Tra il 1899 e il 1907, su incarico del Ministero per l'Istruzione austriaco, Klimt lavorò ad una serie di allegorie per il soffitto dell'Aula Magna dell'Università di Vienna. Il tema scelto per il progetto era La vittoria della luce sulle tenebre. Ma in queste allegorie intitolate Filosofia, Medicina, Giurisprudenza, il pittore, rifiutandosi apertamente di fornire una visione razionale del mondo, cercò di offrire un'interpretazione del tutto personale all'enigma dell'esistenza. Affrontò tematiche tabù come la malattia, la povertà, la vecchiaia, in tutta la loro crudezza, senza lasciare spazio all'idealizzazione della realtà imposta fino a quel momento dalla morale comune.
Nonostante le aspre critiche che portarono alcuni rappresentanti dell’Università ad inviare una petizione al ministro dell'Istruzione, l'artista poté proseguire il proprio lavoro. Dopo la perplessità scaturita dalla colonna di corpi nudi galleggianti nel vuoto cosmico della Filosofia, il culmine dello scandalo arrivò con l’ultimo pannello, la Giurisprudenza che, pur segnando l’inizio del cosiddetto “periodo d’oro” di Klimt , suscitò una durissima reazione dell'opinione pubblica. La giustizia non veniva raffigurata come una gloriosa istituzione al servizio della società, ma al pari di una forza punitrice.
Così nel 1904, fu sconsigliato all'artista di presentare la sua Giurisprudenza all'Esposizione Mondiale di St. Louis. L’anno dopo, profondamente deluso dalla censura, Klimt volle ricomprare dallo Stato austriaco le sue stesse opere. Lederer, uno dei suoi committenti, diventò proprietario della Filosofia, mentre Wittgenstein delle altre due.
Purtroppo le opere, trasferite nel castello di Immendorf durante la Seconda Guerra Mondiale, furono distrutte da un incendio appiccato dalle truppe tedesche.
Gustav Klimt (1862 - 1918), Medicina, 1901-1907 , Olio su tela, 430 x 300 cm, Distrutto nell’incendio del castello di Immendorf
Leggi anche:
• I cinque quadri più scandalosi del mondo
• I dieci quadri più misteriosi del mondo
• La bellezza secondo Canova: Paolina Borghese come Venere vincitrice
L’arte, in ogni epoca e luogo, non dovrebbe mai essere considerata oggetto di scandalo. Eppure ci sono capolavori che, oltre ad essere censurati dalla morale del tempo furono esclusi dai luoghi per i quali vennero concepiti o addirittura mai esposti, tacciati di oscenità.
Come accadde per i Quadri delle facoltà realizzati da Gustav Klimt per il soffitto dell'Aula Magna dell'Università di Vienna, trasferiti altrove dopo aver fatto sobbalzare il mondo accademico e distrutti infine da un incendio.
Arrivando ai tempi più recenti, ci sono le Polaroid scattate da Balthus nel suo chalet svizzero di Rossinière. Solo sei anni fa la mostra che avrebbe dovuto esibirle al pubblico, nel Museo Folkwang di Essen, fu annullata avendo gli scatti come soggetto la modella-bambina Anna Wahli.
E nel cappio della censura, seppure temporanea, era incappata la Venere Esquilina, come altre statue di nudo dei Musei Capitolini, oscurate con pannelli bianchi durante la visita in Campidoglio del presidente dell'Iran Rouhani. In quel caso si trattò forse di un eccesso di sensibilità da parte di un Paese molto ospitale.
Lontane o vicine nel tempo, abbiamo selezionato cinque opere, ma potrebbero essere molte di più, che per motivi diversi destarono scandalo, furono proibite e andarono talvolta perdute.
Venere esquilina, Autore sconosciuto, I secolo a.C., Marmo, Altezza 155 cm, Roma, Musei Capitolini
• Antonio Canova, Paolina Borghese come Venere vincitrice
«Camillo, vorrei pregarvi di farmi un piacere...So che talvolta consentite a qualcuno di vedere la mia statua di marmo. Sarei lieta che questo non accadesse più, perché la nudità della scultura sfiora l'indecenza. È stata creata per il vostro piacere, ora non è più così, ed è giusto che rimanga nascosta agli sguardi altrui». Così il 22 gennaio 1818 Paolina Bonaparte, la bella sorella di Napoleone, scriveva al consorte, il principe romano Camillo Borghese, per chiedere di nascondere la Paolina Borghese come Venere vincitrice, la scultura neoclassica eseguita da Antonio Canova tra il 1804 e il 1808, esibita agli ospiti nell'abitazione del principe.
E così, nonostante fosse costata al principe ben seimila scudi, nel 1820 Camillo Borghese decise di rimuoverla dalla sua collocazione e di chiuderla in una cassa.
D’altra parte, dopo il tramonto dell'era napoleonica l'opera appariva totalmente decontestualizzata. Esaltando la bellezza di Paolina, infatti, la scultura celebrava implicitamente anche i Bonaparte, perdendo pertanto di coerenza dopo Waterloo.
La scultura, sublime, conservata oggi alla Galleria Borghese di Roma, era stata commissionata nel 1804 all’artista di Possagno proprio da Camillo Borghese per celebrare il suo matrimonio con Paolina. Quando la donna posò per lo scultore aveva venticinque anni. Canova ultimò l’opera nel 1808.
Il capolavoro fu trasferito nella residenza di Camillo a Torino, dove suscitò molto scalpore a causa dell'eccessiva sensualità del soggetto. Numerosi pettegolezzi fiorirono intorno alla nudità della scultura e all’eventualità che la principessa avesse posato senza veli per l’artista (lei stessa avrebbe affermato “ogni velo può cadere dinanzi al Canova”).
Paolina è ritratta come Venere, vincitrice del giudizio di Paride, come suggerisce la mela che reca in mano.
Antonio Canova, Paolina Borghese Bonaparte come Venere vincitrice, 1804, Marmo di Carrara, Roma, Galleria Borghese
• Ermafrodito Borghese
La Galleria Borghese accoglie un esemplare marmoreo risalente al II secolo d.C. ritrovato nel 1781. Si tratta di una delle migliori repliche dell'Ermafrodito dormiente rinvenuto a Roma e oggi conservato al Museo del Louvre di Parigi.
La statua originale era stata ritrovata nel 1609 durante gli scavi per la costruzione della Chiesa di Santa Maria della Vittoria. Si trattava di una copia romana da un originale di Policleto. Con il suo corpo “ambiguo” semiaddormentato, che esibiva le nudità nell’atto di girarsi nel sonno, è una delle opere più conturbanti della storia dell'arte.
Pur essendo un soggetto molto diffuso nella Grecia classica, all’epoca della Roma cattolica, il suo rinvenimento dovette destare non poco imbarazzo, al punto che i frati decisero di donare l’opera al cardinale Scipione Borghese. Da raffinato collezionista, il cardinale fece trasportare la statua nella sua villa, a Porta Pinciana, affidandone il restauro a Gian Lorenzo Bernini. Il Maestro, per 60 scudi, decise di concedere alla scultura un tocco personalissimo adagiando il corpo dell’ermafrodito su di un morbido materasso marmoreo e di un soffice cuscino. Nella sua nuova Villa Borghese intanto il cardinale aveva allestito una sala espressamente dedicata al suo Ermafrodito.
Ma nel 1807, sopraffatto dai debiti e dai giochi di potere, il principe Camillo Borghese II fu costretto a vendere l’intera collezione. La scultura fu acquistata dal principe Camillo Filippo Ludovico Borghese e trasferita al Louvre dove oggi si trova.
L’Ermafrodito dormiente fu sostituito, alla Galleria Borghese, con un esemplare simile in marmo di Paro, risalente al II secolo d.C. e restaurato da Andrea Bergondi che imitando il modello del Bernini, mutò il giaciglio marmoreo nell’attuale materasso.
Una delle copie di Fontana di Marcel Duchamp
• Duchamp, Fontana
Vietata, proibita, e alla fine perduta. Fontana è un'opera ready-made realizzata da Marcel Duchamp nel 1917. Dal 1964 esistono nel mondo sedici copie, distribuite in vari musei, dell'orinatoio firmato "R. Mutt", considerato una delle maggiori opere d'arte del XX secolo.
Non solo l’opera di Duchamp non venne mai esposta in pubblico, ma, secondo Calvin Tomkins, fu probabilmente gettata nella spazzatura dal fotografo Alfred Stieglitz.
Difendendo l'artisticità del ready-made, Duchamp aveva più volte sottolineato come il suo intento fosse quello di spostare l'attenzione e l'interpretazione artistiche dall'aspetto fisico al piano concettuale.
• Caravaggio, Morte della Vergine
Quando Caravaggio, intorno al 1606, consegnò all’Ordine dei Carmelitani Scalzi La morte della Vergine, commissionata cinque anni prima dal giurista Laerzio Cherubini per la propria Cappella in Santa Maria della Scala, i frati rifiutarono l’opera, considerandola indegna del luogo.
In effetti il corpo morto della Madonna, raffigurata priva di qualsiasi connotazione mistica, con il viso sconvolto, il ventre gonfio, che avrebbe ricordato, secondo una leggenda, quello di una prostituta rinvenuta nel Tevere, non dovette piacere ai religiosi.
Molto scandalo dovettero destare, in particolare, i piedi ritratti nudi fino alla caviglia. Dopo il rifiuto, la tela venne acquistata dal Duca di Mantova, su segnalazione di Rubens, per poi essere alienata al re d'Inghilterra Carlo I e arrivare al parigino Everhard Jabach. Ceduta al re di Francia Luigi XIV, si trova oggi nelle Collezioni del Louvre.
Caravaggio, Morte della Vergine, 1604-1606, Olio su tela, 245 x 369 cm, Parigi, Louvre
• Gustav Klimt , Quadri delle facoltà
Tra il 1899 e il 1907, su incarico del Ministero per l'Istruzione austriaco, Klimt lavorò ad una serie di allegorie per il soffitto dell'Aula Magna dell'Università di Vienna. Il tema scelto per il progetto era La vittoria della luce sulle tenebre. Ma in queste allegorie intitolate Filosofia, Medicina, Giurisprudenza, il pittore, rifiutandosi apertamente di fornire una visione razionale del mondo, cercò di offrire un'interpretazione del tutto personale all'enigma dell'esistenza. Affrontò tematiche tabù come la malattia, la povertà, la vecchiaia, in tutta la loro crudezza, senza lasciare spazio all'idealizzazione della realtà imposta fino a quel momento dalla morale comune.
Nonostante le aspre critiche che portarono alcuni rappresentanti dell’Università ad inviare una petizione al ministro dell'Istruzione, l'artista poté proseguire il proprio lavoro. Dopo la perplessità scaturita dalla colonna di corpi nudi galleggianti nel vuoto cosmico della Filosofia, il culmine dello scandalo arrivò con l’ultimo pannello, la Giurisprudenza che, pur segnando l’inizio del cosiddetto “periodo d’oro” di Klimt , suscitò una durissima reazione dell'opinione pubblica. La giustizia non veniva raffigurata come una gloriosa istituzione al servizio della società, ma al pari di una forza punitrice.
Così nel 1904, fu sconsigliato all'artista di presentare la sua Giurisprudenza all'Esposizione Mondiale di St. Louis. L’anno dopo, profondamente deluso dalla censura, Klimt volle ricomprare dallo Stato austriaco le sue stesse opere. Lederer, uno dei suoi committenti, diventò proprietario della Filosofia, mentre Wittgenstein delle altre due.
Purtroppo le opere, trasferite nel castello di Immendorf durante la Seconda Guerra Mondiale, furono distrutte da un incendio appiccato dalle truppe tedesche.
Gustav Klimt (1862 - 1918), Medicina, 1901-1907 , Olio su tela, 430 x 300 cm, Distrutto nell’incendio del castello di Immendorf
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