A Milano dall’11 ottobre, nella grande mostra di Palazzo Reale
Il Laocoonte di El Greco, un enigma da decifrare
El Greco, Laocoonte, 1610-14. Olio su tela, 172 x 137 cm, Washington, National Gallery of Art © Courtesy National Gallery of Art, Washington
Francesca Grego
12/09/2023
Milano - Sono tanti e prestigiosi i capolavori che arriveranno a Milano per la prima grande mostra organizzata in Italia sull’opera di Doménikos Theotokòpoulos, più noto come El Greco, pittore eccentrico e geniale vissuto tra Creta, Venezia, Roma e Toledo a cavallo tra il XVI e il XVII secolo. Da San Martino e il mendicante della National Gallery of Art di Washington fino alle Annunciazioni del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid o al Ritratto di Jeronimo de Cevallos conservato al Prado, avremo modo di ammirarli nella cornice di Palazzo Reale dall’11 ottobre 2023 al 25 febbraio 2024, nell’antologica a cura di Juan Antonio García Castro, Palma Martínez - Burgos García e Thomas Clement Salomon, promossa dal Comune di Milano Cultura e prodotta da Palazzo Reale e MondoMostre, con il patrocinio dell’Ambasciata di Spagna in Italia.
Ma c’è un’opera che forse ci affascinerà più delle altre per l’aura di mistero da cui è circondata: si tratta del Laocoonte (1610-1614 circa), capolavoro degli ultimi anni di vita dell’artista, oggi conservato presso la National Gallery of Art di Washington. Nessun quadro di El Greco ha suscitato tante controversie tra gli studiosi come questa grande tela dipinta a olio rimasta incompiuta, che il pittore tenne con sé fino alla morte. Nonostante i numerosi tentativi di interpretarla, tuttora non esiste un accordo sul suo significato. È molto probabile che l’autore stesso l’abbia concepita come un’immagine leggibile su più livelli.
Il punto di partenza, naturalmente, è il celeberrimo mito greco narrato da Virgilio nell’Eneide, alla base di un altro indimenticabile capolavoro, il Laocoonte scolpito nel marmo in età ellenistica e conservato ai Musei Vaticani. Lo avete presente? Ecco, il Laocoonte di El Greco non avrebbe potuto essere più diverso. Dipingendolo circa un secolo dopo il ritrovamento dell’iconico gruppo scultoreo, il maestro cretese porta all’estremo la distorsione dei corpi tipica del Manierismo cinquecentesco e produce un’opera audace e originale, carica di emozioni. Nel distacco da un precedente tanto luminoso, emerge l’idea di El Greco che gli artisti moderni possano e debbano superare gli antichi, una convinzione che lo porterà a sostenere il proprio stile contro ogni scetticismo.
Il dipinto mette in scena la morte del sacerdote troiano Laocoonte, che secondo la leggenda tentò di salvare la sua città mettendo in guardia i concittadini contro le insidie del cavallo di legno donato loro dai greci. Mentre si apprestava a compiere un sacrificio sull’altare di Poseidone, Laocoonte e i suoi figli furono raggiunti e uccisi da due serpenti marini inviati dalla dea Atena, che parteggiava per i nemici.
El Greco ambienta la scena su una rupe che domina la città - Toledo, con il cavallo di legno di fronte alla Puerta Nueva de Bisagra! - e apre la visione su un cielo carico di nubi. Laocoonte lotta strenuamente contro un serpente che tenta di morderlo sulla fronte, mentre uno dei suoi figli combatte con l’altro rettile. Alla loro destra si ergono tre figure che non intervengono nello scontro. I corpi dei protagonisti sono deformati, le membra tese e contorte in posizioni innaturali. Il colore degli incarnati è freddo, quasi livido, una scelta che, insieme alle tinte del cielo e dello sfondo, produce un’atmosfera tetra e oscura.
El Greco, Laocoonte, 1610-1614. Olio su tela, 172 × 137 cm, Washington, National Gallery of Art | © Courtesy National Gallery of Art, Washington
Strano ma vero, il Laocoonte è l’unica opera di El Greco che abbia un soggetto mitologico. Come mai? Alcuni storici hanno rintracciato nel dipinto riferimenti al clima religioso dell’epoca e ai cambiamenti intervenuti nella Chiesa con il Concilio di Trento e la Controriforma, che in Spagna avevano prodotto effetti molto forti. La storia del sacerdote troiano, insomma, sarebbe stata un pretesto per parlare della vita di ogni giorno nella Toledo del Seicento. In che modo?
Nel tramandare il mito di Laocoonte, alcuni scrittori antichi raccontano che il sacerdote, al servizio di Apollo, aveva suscitato l’ira del dio infrangendo il voto di castità e generando dei figli. Anche il Concilio di Trento aveva stigmatizzato il peccato dei preti non casti, colpevoli di gettare discredito sulla Chiesa cattolica aprendo la strada all’influenza corruttrice del credo protestante. Ma c’è di più: alcuni studiosi hanno visto all’opera nel dipinto le teorie di un personaggio molto conosciuto a Toledo, ammirato da amici e mecenati dell’artista: l’arcivescovo Bartolomé Carranza de Miranda, imprigionato tra il 1559 e il 1576 e processato con l’accusa di eresia. Nei suoi scritti Carranza supera di gran lunga il Concilio di Trento nel condannare la violazione del voto di castità dei sacerdoti, arrivando a sollecitare la pena capitale per i trasgressori. La morte di Laocoonte e dei suoi figli, insomma, potrebbe essere interpretata come la giusta e necessaria punizione per un prete sacrilego!
Un altro enigma riguarda le figure rappresentate a destra della tela, che restano estranee alla lotta. C’è chi ha visto una mela nelle mani del personaggio maschile e ha pensato così di identificarle con Paride ed Elena, o addirittura con Adamo ed Eva; altri vi hanno rintracciato Apollo, il dio offeso che sovrintende al supplizio, e sua sorella Artemide, o Afrodite, la dea dell’amore che, avendo cara la città di Troia, volge lo sguardo lontano dalla scena.
Dall’11 ottobre i visitatori di Palazzo Reale potranno immergersi nel fascino misterioso del Laocoonte e indagare ancora sui suoi enigmi irrisolti nell’ultima sezione della mostra, interamente dedicata a quest’opera. Ma soprattutto avranno la rara occasione di ammirare la bellezza di un dipinto in cui El Greco, ormai maturo, sfoggia tutta la propria abilità di pittore, dando vita a un risultato di notevole originalità e forza drammatica.
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Ma c’è un’opera che forse ci affascinerà più delle altre per l’aura di mistero da cui è circondata: si tratta del Laocoonte (1610-1614 circa), capolavoro degli ultimi anni di vita dell’artista, oggi conservato presso la National Gallery of Art di Washington. Nessun quadro di El Greco ha suscitato tante controversie tra gli studiosi come questa grande tela dipinta a olio rimasta incompiuta, che il pittore tenne con sé fino alla morte. Nonostante i numerosi tentativi di interpretarla, tuttora non esiste un accordo sul suo significato. È molto probabile che l’autore stesso l’abbia concepita come un’immagine leggibile su più livelli.
Il punto di partenza, naturalmente, è il celeberrimo mito greco narrato da Virgilio nell’Eneide, alla base di un altro indimenticabile capolavoro, il Laocoonte scolpito nel marmo in età ellenistica e conservato ai Musei Vaticani. Lo avete presente? Ecco, il Laocoonte di El Greco non avrebbe potuto essere più diverso. Dipingendolo circa un secolo dopo il ritrovamento dell’iconico gruppo scultoreo, il maestro cretese porta all’estremo la distorsione dei corpi tipica del Manierismo cinquecentesco e produce un’opera audace e originale, carica di emozioni. Nel distacco da un precedente tanto luminoso, emerge l’idea di El Greco che gli artisti moderni possano e debbano superare gli antichi, una convinzione che lo porterà a sostenere il proprio stile contro ogni scetticismo.
Il dipinto mette in scena la morte del sacerdote troiano Laocoonte, che secondo la leggenda tentò di salvare la sua città mettendo in guardia i concittadini contro le insidie del cavallo di legno donato loro dai greci. Mentre si apprestava a compiere un sacrificio sull’altare di Poseidone, Laocoonte e i suoi figli furono raggiunti e uccisi da due serpenti marini inviati dalla dea Atena, che parteggiava per i nemici.
El Greco ambienta la scena su una rupe che domina la città - Toledo, con il cavallo di legno di fronte alla Puerta Nueva de Bisagra! - e apre la visione su un cielo carico di nubi. Laocoonte lotta strenuamente contro un serpente che tenta di morderlo sulla fronte, mentre uno dei suoi figli combatte con l’altro rettile. Alla loro destra si ergono tre figure che non intervengono nello scontro. I corpi dei protagonisti sono deformati, le membra tese e contorte in posizioni innaturali. Il colore degli incarnati è freddo, quasi livido, una scelta che, insieme alle tinte del cielo e dello sfondo, produce un’atmosfera tetra e oscura.
El Greco, Laocoonte, 1610-1614. Olio su tela, 172 × 137 cm, Washington, National Gallery of Art | © Courtesy National Gallery of Art, Washington
Strano ma vero, il Laocoonte è l’unica opera di El Greco che abbia un soggetto mitologico. Come mai? Alcuni storici hanno rintracciato nel dipinto riferimenti al clima religioso dell’epoca e ai cambiamenti intervenuti nella Chiesa con il Concilio di Trento e la Controriforma, che in Spagna avevano prodotto effetti molto forti. La storia del sacerdote troiano, insomma, sarebbe stata un pretesto per parlare della vita di ogni giorno nella Toledo del Seicento. In che modo?
Nel tramandare il mito di Laocoonte, alcuni scrittori antichi raccontano che il sacerdote, al servizio di Apollo, aveva suscitato l’ira del dio infrangendo il voto di castità e generando dei figli. Anche il Concilio di Trento aveva stigmatizzato il peccato dei preti non casti, colpevoli di gettare discredito sulla Chiesa cattolica aprendo la strada all’influenza corruttrice del credo protestante. Ma c’è di più: alcuni studiosi hanno visto all’opera nel dipinto le teorie di un personaggio molto conosciuto a Toledo, ammirato da amici e mecenati dell’artista: l’arcivescovo Bartolomé Carranza de Miranda, imprigionato tra il 1559 e il 1576 e processato con l’accusa di eresia. Nei suoi scritti Carranza supera di gran lunga il Concilio di Trento nel condannare la violazione del voto di castità dei sacerdoti, arrivando a sollecitare la pena capitale per i trasgressori. La morte di Laocoonte e dei suoi figli, insomma, potrebbe essere interpretata come la giusta e necessaria punizione per un prete sacrilego!
Un altro enigma riguarda le figure rappresentate a destra della tela, che restano estranee alla lotta. C’è chi ha visto una mela nelle mani del personaggio maschile e ha pensato così di identificarle con Paride ed Elena, o addirittura con Adamo ed Eva; altri vi hanno rintracciato Apollo, il dio offeso che sovrintende al supplizio, e sua sorella Artemide, o Afrodite, la dea dell’amore che, avendo cara la città di Troia, volge lo sguardo lontano dalla scena.
Dall’11 ottobre i visitatori di Palazzo Reale potranno immergersi nel fascino misterioso del Laocoonte e indagare ancora sui suoi enigmi irrisolti nell’ultima sezione della mostra, interamente dedicata a quest’opera. Ma soprattutto avranno la rara occasione di ammirare la bellezza di un dipinto in cui El Greco, ormai maturo, sfoggia tutta la propria abilità di pittore, dando vita a un risultato di notevole originalità e forza drammatica.
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