Dal 16 febbraio al Museo Davia Bergellini

Pompeo Batoni, il “Raffaello del Settecento”, in mostra a Bologna

Pompeo Girolamo Batoni (Lucca 1708-Roma 1787), Ritratto di Maria Benedetta di San Martino, 1785. Madrid, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, inv. n.32 (1977.28)
 

Francesca Grego

14/02/2024

Oggi lo conosciamo forse troppo poco, ma nel XVIII secolo la fama di Pompeo Batoni si estendeva dalla Lombardia alla Sicilia, fino al Nord Europa e all'Inghilterra, dove riscosse i più grandi successi. Naturale dunque che le sue opere si trovino oggi in grandi musei internazionali, come il Thyssen-Bornemisza di Madrid. È un prestigioso prestito della collezione spagnola il Ritratto della Contessa Maria Benedetta di San Martino, che dal 16 febbraio al 7 aprile brillerà nelle sale del Museo Davia Bergellini di Bologna, esempio delle eccezionali doti di ritrattista grazie alle quali Batoni fu conteso dall’aristocrazia europea in un’epoca certo non avara di talenti pittorici. A cura di Mark Gregory D’Apuzzo e Ilaria Negretti, il progetto si inserisce nella rassegna Ospiti, promossa dai Musei Civici di Bologna fin la 1996 come attività di valorizzazione del patrimonio e sviluppo delle relazioni scientifiche con istituzioni museali e internazionali. In cambio del dipinto di Batoni, il Thyssen-Bornemisza ha potuto ospitare per circa tre mesi la Giuditta con la testa di Oloferne di Lavinia Fontana, giunta a Madrid per la mostra Maestras, che ha chiuso i battenti il 4 febbraio dopo aver illustrato quattro secoli di arte al femminile. 

Ammirato da Antonio Canova per “il suo disegnare tenero, grandioso, di belle forme”, Batoni studiò a fondo i grandi pittori del Cinquecento e del Seicento, come Raffaello, Guercino, Guido Reni. La grazia dei suoi dipinti fece sì che fosse considerato l’erede di Raffaello, mentre per la sua fedeltà allo studio del “vero” si diceva che fosse stato “fatto pittore dalla Natura”. Dipinse quadri storici, sacri e mitologici, ma furono soprattutto i ritratti a suscitare gli entusiasmi di una raffinata clientela internazionale: giovani aristocratici del Nord Europa in trasferta a Roma per il Grand Tour, per i quali Batoni inventò il “ritratto souvenir”. Qui il modello era presentato in posa elegante ma disinvolta, accanto a monumenti e reperti antichi, quasi a comprovare l’avvenuto compimento dell’esperienza del viaggio di formazione, divenuto prassi irrinunciabile per una classe sociale destinata ad assumere, una volta rientrata in patria, incarichi politici e diplomatici consoni al proprio status. La raffinata rappresentazione circondata dalle rovine classiche era intesa non solo ad offrire un resoconto dei viaggi compiuti, ma anche a riflettere ricercati interessi artistici.

Unendo eleganza e naturalezza a una penetrante attitudine psicologica, anche nella ritrattistica ufficiale Batoni raggiunse risultati sorprendenti e sofisticati: è il caso del dipinto in arrivo a Bologna, datato 1785, che appartiene alla sua produzione matura e ne incarna appieno gli ideali di grazia e delicata eleganza. Acquistato dal barone Heinrich Thyssen-Bornemisza a Monaco di Baviera nel 1977, prima di approdare a Madrid il Ritratto della Contessa Maria Benedetta di San Martino è stato esposto sullo scalone principale di Daylesford House, la residenza del barone e della baronessa nel Regno Unito.

“Batoni raffigura la contessa seduta in un interno buio”, scrive Mar Borobia, responsabile del Dipartimento di Pittura antica presso il museo madrileno: “Gli unici riferimenti classici sono gli oggetti, come il tavolo con sopra un cuscino rosso e la tazza in equilibrio sul bordo. L'immagine è molto accattivante per la gamma di colori contrastanti utilizzati per l'abito della contessa, dipinto in un vivace blu con una delicata gamma di toni argentati. La contessa è raffigurata con occhi vivaci e brillanti, un abito scollato e un'acconciatura elaborata e sofisticata. La posa, l'ambientazione e l'acconciatura sono state paragonate a quelle di un altro ritratto tardo di Batoni, quello della marchesa Barbara Durazzo Brignole del 1786".  

Ma c’è un gesto rivelatore che sembrerebbe portarci molto più indietro nel tempo, per rivelarci qualcos’altro sulla protagonista del quadro. Plinio il Vecchio narra che, dopo aver scommesso con Marco Antonio di essere in grado di offrirgli un banchetto sontuoso spendendo un milione di sesterzi, Cleopatra avrebbe preso una perla di inestimabile valore da uno dei suoi orecchini e l’avrebbe sciolta nell’aceto, bevendo poi la miscela. Come l’affascinante regina dell’Egitto, la contessa è colta nell’atto di sospendere una grossa perla sopra una coppa, mostrando la propria aristocratica  indifferenza nei confronti del denaro.