Con il Gruppo 63. Artisti

Franco Angeli, Senza titolo, 1965 circa, Smalto e matita su carta

 

Dal 30 Ottobre 2013 al 19 Novembre 2013

Milano

Luogo: Fondazione Marconi Arte moderna e contemporanea

Indirizzo: via Tadino 15

Orari: da martedì a sabato 10-13/ 15-19

Curatori: Achille Bonito Oliva

Costo del biglietto: ingresso gratuito

Telefono per informazioni: +39 02 29419232/ 348 5109589

E-Mail info: info@fondazionemarconi.org

Sito ufficiale: http://www.fondazionemarconi.org


La Fondazione Marconi ospita una mostra sul Gruppo 63 curata da Achille Bonito Oliva a Milano, città-simbolo della neoavanguardia artistico-letteraria più creativa dell'Italia del “miracolo economico”, con l’intento di celebrare la costituzione del movimento a distanza di 50 anni dalla sua nascita. Costituitosi a Palermo nell’ottobre del 1963 per iniziativa di un nutrito gruppo di intellettuali tra i quali figurano Achille Bonito Oliva, Nanni Balestrini, Renato Barilli, Umberto Eco, Alberto Arbasino, Elio Pagliarani, Luciano Anceschi, Edoardo Sanguineti, Alfredo Giuliani, Antonio Porta, Giorgio Celli, Giorgio Manganelli, solo per citarne alcuni, il Gruppo 63 suscita presto l’interesse degli ambienti critico-letterari dell’epoca, proponendosi come movimento letterario di neoavanguardia e mirando a una rivisitazione critica della modernità.   Nei primi anni Cinquanta l’avanguardia era generalmente ritenuta una faccenda remota, ormai superata. Nella nostra temperie beatamente provinciale, qualcuno si accorse che la Tradizione moderna era segnata dalle avanguardie, e come tutte le tradizioni anche questa andava rivisitata. Le cose che passano, anche restano. Fenomeno dalle molte facce, la neoavanguardia fu anzitutto una rivisitazione critica della modernità, un ripercorrerla senza pregiudizio e con molta passione di capire. (Nanni Balestrini)   È il compositore Luigi Nono a suggerire il nome del gruppo, sulla falsariga di quello utilizzato dagli scrittori tedeschi per gli incontri annuali del Gruppo 47, strumento di lavoro finalizzato alla ricostruzione di una tradizione letteraria spezzata dal nazismo e dalla Guerra.   Il modello tedesco ci sembrò molto interessante perché rispondeva a un nostro bisogno costante di confrontarci e di discutere. [...] Transitati senza grandi scosse dalla guerra al dopoguerra, dalla dittatura alla democrazia, nel mezzo del boom economico esploso alla fine degli anni Cinquanta, anche noi sentivamo di dover ricominciare daccapo; solo che, in luogo del deserto, avevamo di fronte un sistema culturale antiquato, asfittico e potente che occupava pressoché tutti gli spazi della comunicazione, ostacolando ogni tentativo di rinnovamento. (Nanni Balestrini)   Agli incontri organizzati dal gruppo partecipano non solo scrittori, poeti e saggisti, ma anche artisti di varia estrazione fino al 1967, anno in cui si tiene a Fano la sua ultima riunione.   Il periodo degli esperimenti era concluso. Il mondo stava cambiando, si avvicinava il ’68. Sapevamo o sentivamo che bisognava prepararsi uno “spazio” diverso, un “luogo” da gestire con le nostre forze [...].
(Nanni Balestrini)
Il progetto espositivo è dunque volto a ripercorrere le personalità artistiche che degli scrittori del Gruppo 63 sono state compagni di strada in quegli anni, condividendone l’esigenza di operare all’interno della vita moderna, ma anche principi poetici e dispositivi linguistici.
Muovendo dalla vocazione del Gruppo 63 a dialogare con la coeva ricerca compiuta nel campo attiguo delle arti visive (oltre che con la musica e lo spettacolo), l’esposizione focalizza dunque l’attenzione sui suoi equivalenti visivi. Da qui l’idea di mettere in rapporto ciascuna delle opere esposte con una poesia o il brano di uno scrittore. I 26 artisti in mostra sono stati selezionati tra quelli più rappresentativi della particolare temperie culturale che, all’inizio degli anni ’60, azzera l’espressività artistica precedente percorrendo tra Milano e Roma due strade parallele: l’una, più legata all’Europa, erede del realismo radicale di Piero Manzoni ed Enrico Castellani e pronta a ripartire da zero tout court; l’altra, messa in opera dalla Scuola di piazza del Popolo, tesa invece a collegare l’astrazione dell’Informale alla fenomenologia del quotidiano, grazie al suo rapporto privilegiato con gli USA. Quel che emerge da questa temperie è una koinè fondata sullo sviluppo armonico delle varie arti. Una sorta di osmosi culturale tra diversi ambiti disciplinari accomunati dalla medesima volontà di superare l’ansia esistenziale dell’Informale, per provare a scrivere una storia diversa, muovendo all’esplorazione della sensibilità contemporanea e dei cambiamenti in pochi anni attraversati ma anche subiti dalla società. Astrattismo segnico e spazialismo, arte nucleare e nouveau réalisme, Azimut e pop art, arte programmata e concettuale, optical e processuale s’incontrano infatti negli anni ’60 in un’operazione di verifica in presa diretta, non solo delle modalità di percezione, ma anche delle nuove condizioni di vita e dei problemi dell’uomo contemporaneo. Questa consapevolezza di un cambio generazionale e la stanchezza per tutto ciò che è imposto dagli schemi sociali guidano artisti e letterati alla riscoperta della rivoluzione formale delle avanguardie storiche. Il fine esplicito è creare opere che non si accontentino di “dire diversamente” ma capaci di dire “cose nuove”.

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