Il vento delle idee che soffia da Est

L’arte non si arrende, si rinnova: le esperienze dei musei cinesi

Art is still here: A Hypothetical Show for a Closed Museum | Courtesy M Woods  Museum, Shanghai
 

Francesca Grego

11/03/2020

Mondo - Musei inaccessibili, mostre sospese, parchi archeologici deserti, luoghi simbolici come la Piazza e la Basilica di San Pietro chiusi al pubblico: è uno scenario nuovo e a tratti surreale quello di questo mese di marzo. Se all’inizio è prevalso il senso di attesa, già da alcuni giorni i musei italiani sono impegnati ad affrontare le sfide inedite che l’emergenza coronavirus pone.
Spunti utili arrivano dalla Cina, dove la cultura non si è persa d’animo nemmeno per un attimo. Al proverbiale senso pratico degli eredi del Celeste Impero, si aggiunge infatti l’esperienza del 2003, quando per la prima volta la SARS mise in pausa ogni attività. Sono moltissime le iniziative messe in atto dai professionisti dell’arte cinesi dallo scorso 23 gennaio, quando il governo ha disposto la chiusura dei musei in tutto il Paese. E anche oggi che la situazione sembra avviata verso il meglio, si continua a sperimentare in attesa di prospettive chiare sulla riapertura dei luoghi fisici della cultura.
 
Un modello replicabile in Italia? Potremmo fare anche di più, visti il valore e l’ampiezza di un patrimonio artistico senza eguali nel mondo. Come abbiamo mostrato in un precedente articolo, la sperimentazione è già cominciata e il Belpaese è pronto a trasformarsi in laboratorio di nuove formule di fruizione e comunicazione dell’arte. Con ogni probabilità alcune di esse resteranno valide anche quando avremo chiuso i conti con il Covid-19, quando i musei riapriranno e avremo un’ampia offerta di mostre in versione live.
Intanto diamo un’occhiata alle esperienze maturate a Est, perché dal confronto c’è sempre da imparare.
 
Nuove frontiere per la fruizione dell’arte
“Come può un’istituzione culturale pubblica restare attiva quando perde il suo spazio fisico e terreno di azione?”, si è chiesto Gong Yan, direttore del Power Station of Art di Shanghai, ovvero il primo museo statale di arte contemporanea in Cina. “È questa la sfida che stiamo affrontando. Perché l’arte non è un vaccino, ma dà speranza. Può sembrare poco concreta, eppure ci porta verso la verità. L’arte abbatte l’isolamento e ci permette di vedere il mondo come qualcosa di integrato”.
Proprio come è accaduto in Italia, quando è scoppiata l’emergenza Covit-19 numerosi musei cinesi erano pronti a inaugurare nuove mostre, alcune delle quali molto ambiziose. A scenario mutato, istituzioni come il Beijing Palace Museum e lo Shanghai Museum si sono subito date da fare per organizzare esposizioni virtuali in 3D ad alto contenuto di tecnologie, recuperando i contenuti di mostre passate o valorizzando le collezioni in speciali allestimenti online.
Con Power Station Gong Yan è andato oltre: sul suo account WeChat (tra le app social più diffuse in Cina) ha invitato artisti e musicisti a condividere contenuti inediti creati per l’occasione, mentre architetti e amatori condividevano le proprie visioni sul design. Molti musei hanno inoltre offerto tour in streaming per percorrerne gli spazi e ammirarne i capolavori anche a porte chiuse.
 
Ma le proposte più innovative arrivano forse dai musei privati, che rappresentano una larga fetta del panorama cinese e, naturalmente, non possono contare sul paracadute dei finanziamenti statali. Quasi tutti di origini recenti, non hanno potuto attingere nemmeno all’esperienza del 2003. Tuttavia, già a pochi giorni dalla chiusura, l’UCCA Center for Contemporary Art di Pechino è stato grado di lanciare Voluntary Garden Online Concert: Sonic Cure in collaborazione con la piattaforma di streaming Kuaishou: nove famosi performer si sono esibiti da tutto il mondo davanti a decine di migliaia di persone collegate via smartphone nell’ambito di un vasto progetto multimediale.
L’M Woods di Shanghai, invece, ha usato un sapiente cocktail social per raggiungere il suo pubblico, composto soprattutto di under 40. Al centro del progetto A Hypothetical Show for a Closed Museum, una mostra virtuale sui temi sensibili dell’ambiente, dell’isolamento e dei legami familiari che ha coinvolto 44 artisti cinesi e internazionali, tra cui Lin Tianmiao, Lu Yang, Na Buqi, Lawrence Abu Hamdam e Oscar Murillo, mentre la lista dei partecipanti è ancora in espansione.
 
Tutti all’asta contro il virus
Sempre a Shanghai, infine, l’HOW Art Museum ha fuso l’arte e l’impegno umanitario grazie a una serie di aste online. Con il supporto della piattaforma di video sharing ed e-commerce Yitiao, di Modern Media Group e di ART021, società organizzatrice della Fiera d’Arte Contemporanea di Shanghai, sono state messe all’incanto opere donate da artisti, istituzioni e gallerie internazionali come Hauser & Wirth, Perrotin e Lisson. Il ricavato è stato utilizzato per l’acquisto di mascherine, termometri digitali e dispositivi di protezione dal coronavirus per i bambini di più di 100 scuole cinesi. Tra le opere coinvolte figurano Ballon Dog di Jeff Koons, Inochi Doll: Victor di Takashi Murakami e Hollow Mickey di Daniel Arsham.
 
Insomma, il virus non può distruggere inventiva e creatività, e da questa avventura i legami dei musei cinesi con il pubblico usciranno probabilmente rinsaldati.
Riusciremo a fare lo stesso? I segnali sono incoraggianti: chissà che lo stop forzato non si trasformi in un’occasione. Seguiteci per restare aggiornati sulle prossime iniziative dei musei italiani.
 
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