Gli Uffizi annunciano una grande campagna di indagini sui capolavori dell’artista
Artemisia e il ritratto celato
Artemisia Gentileschi, Santa Caterina d'Alessandria, 1614-1619. Olio su tela, cm 77 x 63. Gallerie degli Uffizi, Firenze
Francesca Grego
04/03/2019
Firenze - Continua la riscoperta di Artemisia Gentileschi, prima grande artista italiana capace di affrontare con straordinaria personalità temi e generi della pittura alta fino a quel momento declinata al maschile: di spaziare dai soggetti sacri a quelli storici, seguendo con perfetta padronanza la lezione di Caravaggio nella tecnica e nel nuovo approccio drammatico che coinvolge lo spettatore.
A finire sotto le lenti degli studiosi questa volta è la Santa Caterina d’Alessandria degli Uffizi, appena uscita dai laboratori di analisi dell’Opificio delle Pietre Dure. Scansioni ai raggi X, ultravioletti e infrarossi hanno ricostruito insieme ad altre metodologie di indagine non invasive la laboriosa genesi dell’opera, rivelando importanti elementi del metodo di lavoro di Artemisia.
Quasi identico all’autoritratto dell’artista acquistato recentemente dalla National Gallery di Londra, il quadro cela sotto la sua superficie un altro dipinto, in cui lo stesso volto appare senza corona e con un turbante, rivolto verso l’osservatore anziché di tre quarti e con lo sguardo verso l’alto come appare nella versione finale. Una diversa posizione della mano sinistra, un velo sulla scollatura dell’abito e un piccolo viso dal significato non ancora chiaro completano l’immagine.
Che si tratti di una prima versione del dipinto finale, di un abbozzo dell’autoritratto londinese o di un’opera a sé stante, l’analisi della Santa Caterina ha portato a una serie di scoperte e nuove ipotesi. In primo luogo, il raffronto con altre opere dell’artista ha permesso di concludere che Artemisia usasse molto spesso se stessa come modella per dipingere i personaggi femminili. Inoltre, operazioni di sovrapposizione virtuale hanno confermato la congruenza quasi perfetta della versione sottostante con la tela della National Gallery, facendo pensare che i due quadri siano frutto dello stesso cartone.
Ma un’altra figura realmente esistita fa capolino sotto le sembianze della santa: quella di Caterina de’ Medici, figlia di Ferdinando e sorella di Cosimo II, coetanea di Artemisia e in quegli anni al centro delle politiche matrimoniali del casato toscano: prima offerta in moglie al principe di Galles e poi sposata al duca Ferdinando Gonzaga di Mantova. A far pensare a lei sono state le insegne medicee inserite nella corona della santa di cui la duchessina portava il nome, ma anche gli stessi lineamenti del volto, in parte modificati rispetto alle altre immagini di Artemisia. Elementi a favore di questa ipotesi sono anche la lunga permanenza della pittrice a Firenze e le sue relazioni con la corte di Cosimo II, dove conobbe Galileo Galilei e Michelangelo Buonarroti il giovane, con cui intrecciò un’amicizia e una feconda relazione artistica.
“Il dipinto può essere un omaggio a Caterina de’ Medici”, ha spiegato Cecilia Frosinini, supervisore dello studio condotto da Maria Luisa Reginella e Roberto Bellucci, “oppure potrebbe essere stato solo ispirato da questa figura dinastica, nel momento in cui la pittrice ritrae una Santa Caterina diversa dalle altre versioni, così fortemente connotata da attributi medicei. Ancora una volta aver intrapreso una campagna diagnostica su un’opera molto nota ma mai affrontata da questo punto di vista consente un arricchimento delle conoscenze e certamente offrirà agli studiosi nuovi spunti per ricollocarla nel percorso stilistico di Artemisia”.
Di ritorno dall’Opificio delle Pietre Dure, l’opera avrà da oggi collocazione permanente nella Sala della Medusa degli Uffizi, dove dialogherà con la mostruosa creatura di Caravaggio. I visitatori del museo potranno poi approfondire la conoscenza dell’artista con dipinti come Minerva e Giuditta e Oloferne, mentre nel vicino Palazzo Pitti potrà ammirarne la Madonna con Bambino, Giuditta e la fantesca Abra con la testa di Oloferne e Santa Maria Maddalena.
“Quest’anno potremo celebrare la Festa della Donna con queste rivelazioni, che cambiano ciò che sappiamo riguardo ad Artemisia, una delle pittrici più importanti di tutta la storia dell’arte”, commenta il direttore degli Uffizi Eike Schmidt: “La maestria degli specialisti dell’Opificio ha permesso di scoprire i segreti della nostra bellissima Santa Caterina: e ora, grazie al loro lavoro, siamo felici di poter affermare che oltre ai cinque capolavori dell’artista di proprietà delle Gallerie, gli Uffizi ne conservano uno aggiuntivo, fino a oggi nascosto sotto la pittura visibile della Martire d’Alessandria”.
A margine della presentazione dei risultati degli esami, Schmidt ha annunciato infine “una grande campagna diagnostica per svelare tutti i segreti dei dipinti dell’artista in possesso del museo”.
“Lo straordinario successo dello studio”, ha affermato il direttore, “ci induce a pensare che molti altri segreti potrebbero essere messi in luce con opportune indagini. Già nei prossimi giorni daremo il via al progetto con l’Opificio delle Pietre Dure e nel giro di alcuni mesi speriamo di poter annunciare nuove interessanti rivelazioni”.
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A finire sotto le lenti degli studiosi questa volta è la Santa Caterina d’Alessandria degli Uffizi, appena uscita dai laboratori di analisi dell’Opificio delle Pietre Dure. Scansioni ai raggi X, ultravioletti e infrarossi hanno ricostruito insieme ad altre metodologie di indagine non invasive la laboriosa genesi dell’opera, rivelando importanti elementi del metodo di lavoro di Artemisia.
Quasi identico all’autoritratto dell’artista acquistato recentemente dalla National Gallery di Londra, il quadro cela sotto la sua superficie un altro dipinto, in cui lo stesso volto appare senza corona e con un turbante, rivolto verso l’osservatore anziché di tre quarti e con lo sguardo verso l’alto come appare nella versione finale. Una diversa posizione della mano sinistra, un velo sulla scollatura dell’abito e un piccolo viso dal significato non ancora chiaro completano l’immagine.
Che si tratti di una prima versione del dipinto finale, di un abbozzo dell’autoritratto londinese o di un’opera a sé stante, l’analisi della Santa Caterina ha portato a una serie di scoperte e nuove ipotesi. In primo luogo, il raffronto con altre opere dell’artista ha permesso di concludere che Artemisia usasse molto spesso se stessa come modella per dipingere i personaggi femminili. Inoltre, operazioni di sovrapposizione virtuale hanno confermato la congruenza quasi perfetta della versione sottostante con la tela della National Gallery, facendo pensare che i due quadri siano frutto dello stesso cartone.
Ma un’altra figura realmente esistita fa capolino sotto le sembianze della santa: quella di Caterina de’ Medici, figlia di Ferdinando e sorella di Cosimo II, coetanea di Artemisia e in quegli anni al centro delle politiche matrimoniali del casato toscano: prima offerta in moglie al principe di Galles e poi sposata al duca Ferdinando Gonzaga di Mantova. A far pensare a lei sono state le insegne medicee inserite nella corona della santa di cui la duchessina portava il nome, ma anche gli stessi lineamenti del volto, in parte modificati rispetto alle altre immagini di Artemisia. Elementi a favore di questa ipotesi sono anche la lunga permanenza della pittrice a Firenze e le sue relazioni con la corte di Cosimo II, dove conobbe Galileo Galilei e Michelangelo Buonarroti il giovane, con cui intrecciò un’amicizia e una feconda relazione artistica.
“Il dipinto può essere un omaggio a Caterina de’ Medici”, ha spiegato Cecilia Frosinini, supervisore dello studio condotto da Maria Luisa Reginella e Roberto Bellucci, “oppure potrebbe essere stato solo ispirato da questa figura dinastica, nel momento in cui la pittrice ritrae una Santa Caterina diversa dalle altre versioni, così fortemente connotata da attributi medicei. Ancora una volta aver intrapreso una campagna diagnostica su un’opera molto nota ma mai affrontata da questo punto di vista consente un arricchimento delle conoscenze e certamente offrirà agli studiosi nuovi spunti per ricollocarla nel percorso stilistico di Artemisia”.
Di ritorno dall’Opificio delle Pietre Dure, l’opera avrà da oggi collocazione permanente nella Sala della Medusa degli Uffizi, dove dialogherà con la mostruosa creatura di Caravaggio. I visitatori del museo potranno poi approfondire la conoscenza dell’artista con dipinti come Minerva e Giuditta e Oloferne, mentre nel vicino Palazzo Pitti potrà ammirarne la Madonna con Bambino, Giuditta e la fantesca Abra con la testa di Oloferne e Santa Maria Maddalena.
“Quest’anno potremo celebrare la Festa della Donna con queste rivelazioni, che cambiano ciò che sappiamo riguardo ad Artemisia, una delle pittrici più importanti di tutta la storia dell’arte”, commenta il direttore degli Uffizi Eike Schmidt: “La maestria degli specialisti dell’Opificio ha permesso di scoprire i segreti della nostra bellissima Santa Caterina: e ora, grazie al loro lavoro, siamo felici di poter affermare che oltre ai cinque capolavori dell’artista di proprietà delle Gallerie, gli Uffizi ne conservano uno aggiuntivo, fino a oggi nascosto sotto la pittura visibile della Martire d’Alessandria”.
A margine della presentazione dei risultati degli esami, Schmidt ha annunciato infine “una grande campagna diagnostica per svelare tutti i segreti dei dipinti dell’artista in possesso del museo”.
“Lo straordinario successo dello studio”, ha affermato il direttore, “ci induce a pensare che molti altri segreti potrebbero essere messi in luce con opportune indagini. Già nei prossimi giorni daremo il via al progetto con l’Opificio delle Pietre Dure e nel giro di alcuni mesi speriamo di poter annunciare nuove interessanti rivelazioni”.
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