Fino al 21 giugno presso la Galleria Mattia De Luca a Palazzo Albertoni Spinola
A Roma la retrospettiva di Salvatore Scarpitta, l'artista che ispirò Italo Calvino
SAL, Allestimento | Foto: D. Molajoli | Courtesy Galleria Mattia De Luca
Samantha De Martin
08/04/2024
Roma - Alberto Moravia lo aveva definito “il pittore dal braccio rotto”. Certo per quei lavori fasciati realizzati con intrecci di fasce con orientamenti verticali e orizzontali, imbevute di colori che Salvatore Scarpitta aveva esposto per la prima volta a Roma, alla Tartaruga, nel corso di una mostra che segnò un punto di svolta nella carriera dell’artista nato nel 1919 a New York da padre italiano e da madre di origine russo-polacca.
Il periodo romano e quello americano costituiscono i due focus della mostra intitolata SAL, a cura di Luigi Sansone, prima retrospettiva a Roma, in corso fino al 21 giugno presso la Galleria Mattia De Luca a Palazzo Albertoni Spinola. L’appuntamento, dedicato all’opera multiforme e pionieristica di Scarpitta, ripercorre il percorso creativo dell’artista italoamericano attraverso alcune delle sue opere più significative. Il focus romano abbraccia l’intera produzione degli esordi espressionisti, la fase astratto- figurativa che approda all'informale delle pitture materiche, la realizzazione delle tele estroflesse e i lavori con le fasce, esposti alla Galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis nella storica mostra dell'aprile 1958.
SAL, Allestimento | Foto: D. Molajoli | Courtesy Galleria Mattia De Luca
“Era l’anno 1957 – spiega il curatore Luigi Sansone, legato a Scarpitta da un legame di arte, amicizia, umanità - quando Salvatore Scarpitta arrivato a Roma nel 1936 da Los Angeles per studiare all’Accademia di Belle Arti, e, dopo la dolorosa esperienza della guerra e la partecipazione con dipinti neocubisti ed espressionisti a varie mostre personali e collettive, perviene a una nuova, originale fase della sua ricerca artistica creando tele estroflesse quasi monocrome o di tela grezza e lavori realizzati con intrecci di bende in tensione”.
Le opere precedenti, realizzate tra il 1955 e l’inizio del 1957, erano materiche, cariche di pigmenti, terre, gesso, sabbia e strati di pittura a olio. Avvertendo la necessità di trasformare quella pesante materia in energia, facendo “respirare” la tela il maestro diede vita ai primi quadri “strappati” e ricomposti sul telaio, composizioni di intrecci di fasce con orientamenti verticali e orizzontali, imbevute di colori, lavori eseguiti entrambi nelle prime settimane del 1958.
Ecco in mostra il lavoro estroflesso To Cy, dedicato a Cy Twombly, con il quale Scarpitta condivise lo studio romano di via Margutta. E poi Ammiraglio, con i suoi colori vivaci, e ancora Tensione, dove il colore risulta invece meno accentuato.
Si tratta di opere nelle quali l’artista ha “letteralmente strappato la tela a olio”. All’inaugurazione della mostra romana erano presenti Giulio Turcato, Mario Mafai, Piero Dorazio, lo scrittore Alberto Moravia, il collezionista Giorgio Franchetti e il giovane Piero Manzoni il quale rimase a tal punto affascinato dai lavori “fasciati” monocromatici di Scarpitta che nel numero del settembre 1958 di “Gesto” n. 3 pubblicò una sua opera monocroma con le fasce.
SAL, Allestimento | Foto: D. Molajoli | Courtesy Galleria Mattia De Luca
“Se prendi dei miei quadri e li metti vicino a quelli di Fontana ti accorgi che in lui il taglio è gesto mentre in me è conclusione. Quando la pittura a olio colava dalle mie dita sentivo che la tela stessa doveva in qualche modo aprirsi, perché io potessi arrivare a una forma di realtà maggiore con il mio lavoro, perché la mia storia non è estetica, è ricerca di contenuti” affermava Scarpitta riferendosi ai tagli presenti in alcune sue tele.
Nella seconda metà del 1957 Leo Castelli, durante un soggiorno romano, accompagnato da Piero Dorazio e dall’architetto Frederick Kiesler, si recò nello studio di Scarpitta rimanendo colpito dai suoi nuovi e originali lavori estroflessi e “bendati”. “È venuto Castelli, con sua moglie Ileana. Io li ho portati allo studio di Scarpitta e abbiamo combinato una mostra di Salvatore a New York e, in cambio, gli ho chiesto una mostra personale di Rauschenberg” ricorderà mesi dopo Plinio De Martiis.
Fu così che nel dicembre 1958 Scarpitta volò a New York dove il mese successivo, alla Leo Castelli Gallery, fu inaugurata la mostra Salvatore Scarpitta – Extramurals che vide la presenza di diversi artisti della scena newyorkese, tra i quali Marcel Duchamp. Fu l’inizio di un lungo e proficuo rapporto di amicizia e collaborazione tra Castelli e Scarpitta andato avanti per quattro decenni. Scarpitta lasciò la capitale non prima di avere realizzato le sue ultime “fasce” romane. Tra queste Toga, 1958, un’opera monocroma di piccolo formato dedicata all’amico gallerista Plinio De Martiis, come si evince dall’iscrizione sul retro.
SAL, Allestimento | Foto: D. Molajoli | Courtesy Galleria Mattia De Luca
Il periodo americano, analizzato in mostra, inizia con l’esposizione da Leo Castelli a New York, nel gennaio 1959 e termina nel 2007, anno della morte dell'artista. Questa fase sviluppa ulteriormente il tema delle fasce orientandosi in quattro direzioni principali: la geometrica realizzazione di opere con la struttura “a croce di Sant’Andrea”, l'innesto vitale di materiali provenienti dal mondo delle corse d'auto nei lavori con le fasce, la costruzione di auto da corsa, la realizzazione di slitte e di strutture da traino ispirate al mondo dei nativi americani. Gunner's mate, 1961, tra le opere più emblematiche della sua produzione, è composta da quattro strutture a forma di “X” sulle quali sono posizionati tre lavori con le fasce, unica installazione rimasta ad oggi nella forma originaria.
Dopo il suo arrivo a New York Scarpitta, per “conservare la vitalità italiana, della tela cruda, tirata e strappata”, tratta la tela e le fasce con resine e materie plastiche per rendere le composizioni più tese e rigide. A questi ultimi lavori seguono quelli con le fasce elastiche impregnate di collante, come in Tovagliolo. Quest’opera del 1959 mostra sul retro la scritta “da Salvatore a Naride”, il proprietario dell’Osteria Menghi in via Flaminia a Roma, dove dal dopoguerra agli anni sessanta molti pittori, scultori, poeti, cineasti si ritrovavano per pranzare “a credito” e gli artisti si ritrovavano spesso a saldare il conto lasciando a Menghi qualche disegno sui tovaglioli. Il titolo è un nostalgico riferimento al famoso locale romano in cui Scarpitta e la moglie Clotilde Puntieri, in compagnia di Mario Mafai, Pietro Consagra, Giulio Turcato, Carla Accardi, Giovanni Omiccioli, trascorsero momenti felici.
SAL, Allestimento | Foto: D. Molajoli | Courtesy Galleria Mattia De Luca
Un altro aspetto centrale dell'opera di Scarpitta è il mondo delle auto da corsa, documentato da Incident at Castelli, 1987, installazione che illustra gli esiti della perfetta commistione fra arte, velocità e vita. Ci si imbatte anche in Race Roller del 1963, dove l’artista inserisce materiali derivanti dal mondo delle auto da corsa. “Ho incominciato a adoperare certe cose legate alle tele come cinture di sicurezza, fibbie da arnese di corridore, fibbie da paracadutista, allacci di tipo aeronautico o da macchine da corsa, tubi di scappamento e ho innestato queste cose nella mia tela, un po’ per riportarmi verso un mondo… più… che rassicurasse più la mia presenza qui in America” scriveva. Ed ecco Sal’s Red Hauler Special, dedicata a Jean Christophe, figlio di Leo Castelli. D’impatto anche Hill Canoe, opera composta da una grande tela con al centro un’apertura, una scala, un bastone con avvolto una sorta di serpente, uno sci e un copricapo. Questo lavoro di carattere arcaico trascina chi osserva in un mondo incontaminato nel quale l’essere umano e la natura un tempo erano in simbiosi. Il titolo è dedicato a un nativo americano della popolazione navajo che lavorava come operaio alla costruzione di un grattacielo a New York. Scarpitta lo conobbe all’ingresso di un cantiere e nei giorni successivi regalò al suo nuovo amico un tappetino navajo ricevendo in cambio una collana etnica con la punta di una freccia come pendente. La conserverà e indosserà con orgoglio come simbolo di scambio e la relazione tra culture diverse. Un po’ come avvenne nelle sue opere.
I visitatori della Galleria Mattia De Luca potranno apprezzare anche alcuni manifesti, cataloghi, fotografie e documenti che permettono di riscoprire il mondo di Scarpitta, dagli esordi romani al successo americano.
Un altro aneddoto sull'artista riguarda la sua adolescenza. Fu un giornalista a diffonderlo quando, arrampicatosi su un albero, l’undicenne Scarpitta vi rimase circa 600 ore ricevendo, grazie alla sua performance, un dono di 1500 dollari che gli permisero di regalare un viaggio in Italia alla sua famiglia. La storia del ragazzino sull’albero ispirò Italo Calvino per il suo romanzo Il barone rampante pubblicato nel 1957.
Il periodo romano e quello americano costituiscono i due focus della mostra intitolata SAL, a cura di Luigi Sansone, prima retrospettiva a Roma, in corso fino al 21 giugno presso la Galleria Mattia De Luca a Palazzo Albertoni Spinola. L’appuntamento, dedicato all’opera multiforme e pionieristica di Scarpitta, ripercorre il percorso creativo dell’artista italoamericano attraverso alcune delle sue opere più significative. Il focus romano abbraccia l’intera produzione degli esordi espressionisti, la fase astratto- figurativa che approda all'informale delle pitture materiche, la realizzazione delle tele estroflesse e i lavori con le fasce, esposti alla Galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis nella storica mostra dell'aprile 1958.
SAL, Allestimento | Foto: D. Molajoli | Courtesy Galleria Mattia De Luca
“Era l’anno 1957 – spiega il curatore Luigi Sansone, legato a Scarpitta da un legame di arte, amicizia, umanità - quando Salvatore Scarpitta arrivato a Roma nel 1936 da Los Angeles per studiare all’Accademia di Belle Arti, e, dopo la dolorosa esperienza della guerra e la partecipazione con dipinti neocubisti ed espressionisti a varie mostre personali e collettive, perviene a una nuova, originale fase della sua ricerca artistica creando tele estroflesse quasi monocrome o di tela grezza e lavori realizzati con intrecci di bende in tensione”.
Le opere precedenti, realizzate tra il 1955 e l’inizio del 1957, erano materiche, cariche di pigmenti, terre, gesso, sabbia e strati di pittura a olio. Avvertendo la necessità di trasformare quella pesante materia in energia, facendo “respirare” la tela il maestro diede vita ai primi quadri “strappati” e ricomposti sul telaio, composizioni di intrecci di fasce con orientamenti verticali e orizzontali, imbevute di colori, lavori eseguiti entrambi nelle prime settimane del 1958.
Ecco in mostra il lavoro estroflesso To Cy, dedicato a Cy Twombly, con il quale Scarpitta condivise lo studio romano di via Margutta. E poi Ammiraglio, con i suoi colori vivaci, e ancora Tensione, dove il colore risulta invece meno accentuato.
Si tratta di opere nelle quali l’artista ha “letteralmente strappato la tela a olio”. All’inaugurazione della mostra romana erano presenti Giulio Turcato, Mario Mafai, Piero Dorazio, lo scrittore Alberto Moravia, il collezionista Giorgio Franchetti e il giovane Piero Manzoni il quale rimase a tal punto affascinato dai lavori “fasciati” monocromatici di Scarpitta che nel numero del settembre 1958 di “Gesto” n. 3 pubblicò una sua opera monocroma con le fasce.
SAL, Allestimento | Foto: D. Molajoli | Courtesy Galleria Mattia De Luca
“Se prendi dei miei quadri e li metti vicino a quelli di Fontana ti accorgi che in lui il taglio è gesto mentre in me è conclusione. Quando la pittura a olio colava dalle mie dita sentivo che la tela stessa doveva in qualche modo aprirsi, perché io potessi arrivare a una forma di realtà maggiore con il mio lavoro, perché la mia storia non è estetica, è ricerca di contenuti” affermava Scarpitta riferendosi ai tagli presenti in alcune sue tele.
Nella seconda metà del 1957 Leo Castelli, durante un soggiorno romano, accompagnato da Piero Dorazio e dall’architetto Frederick Kiesler, si recò nello studio di Scarpitta rimanendo colpito dai suoi nuovi e originali lavori estroflessi e “bendati”. “È venuto Castelli, con sua moglie Ileana. Io li ho portati allo studio di Scarpitta e abbiamo combinato una mostra di Salvatore a New York e, in cambio, gli ho chiesto una mostra personale di Rauschenberg” ricorderà mesi dopo Plinio De Martiis.
Fu così che nel dicembre 1958 Scarpitta volò a New York dove il mese successivo, alla Leo Castelli Gallery, fu inaugurata la mostra Salvatore Scarpitta – Extramurals che vide la presenza di diversi artisti della scena newyorkese, tra i quali Marcel Duchamp. Fu l’inizio di un lungo e proficuo rapporto di amicizia e collaborazione tra Castelli e Scarpitta andato avanti per quattro decenni. Scarpitta lasciò la capitale non prima di avere realizzato le sue ultime “fasce” romane. Tra queste Toga, 1958, un’opera monocroma di piccolo formato dedicata all’amico gallerista Plinio De Martiis, come si evince dall’iscrizione sul retro.
SAL, Allestimento | Foto: D. Molajoli | Courtesy Galleria Mattia De Luca
Il periodo americano, analizzato in mostra, inizia con l’esposizione da Leo Castelli a New York, nel gennaio 1959 e termina nel 2007, anno della morte dell'artista. Questa fase sviluppa ulteriormente il tema delle fasce orientandosi in quattro direzioni principali: la geometrica realizzazione di opere con la struttura “a croce di Sant’Andrea”, l'innesto vitale di materiali provenienti dal mondo delle corse d'auto nei lavori con le fasce, la costruzione di auto da corsa, la realizzazione di slitte e di strutture da traino ispirate al mondo dei nativi americani. Gunner's mate, 1961, tra le opere più emblematiche della sua produzione, è composta da quattro strutture a forma di “X” sulle quali sono posizionati tre lavori con le fasce, unica installazione rimasta ad oggi nella forma originaria.
Dopo il suo arrivo a New York Scarpitta, per “conservare la vitalità italiana, della tela cruda, tirata e strappata”, tratta la tela e le fasce con resine e materie plastiche per rendere le composizioni più tese e rigide. A questi ultimi lavori seguono quelli con le fasce elastiche impregnate di collante, come in Tovagliolo. Quest’opera del 1959 mostra sul retro la scritta “da Salvatore a Naride”, il proprietario dell’Osteria Menghi in via Flaminia a Roma, dove dal dopoguerra agli anni sessanta molti pittori, scultori, poeti, cineasti si ritrovavano per pranzare “a credito” e gli artisti si ritrovavano spesso a saldare il conto lasciando a Menghi qualche disegno sui tovaglioli. Il titolo è un nostalgico riferimento al famoso locale romano in cui Scarpitta e la moglie Clotilde Puntieri, in compagnia di Mario Mafai, Pietro Consagra, Giulio Turcato, Carla Accardi, Giovanni Omiccioli, trascorsero momenti felici.
SAL, Allestimento | Foto: D. Molajoli | Courtesy Galleria Mattia De Luca
Un altro aspetto centrale dell'opera di Scarpitta è il mondo delle auto da corsa, documentato da Incident at Castelli, 1987, installazione che illustra gli esiti della perfetta commistione fra arte, velocità e vita. Ci si imbatte anche in Race Roller del 1963, dove l’artista inserisce materiali derivanti dal mondo delle auto da corsa. “Ho incominciato a adoperare certe cose legate alle tele come cinture di sicurezza, fibbie da arnese di corridore, fibbie da paracadutista, allacci di tipo aeronautico o da macchine da corsa, tubi di scappamento e ho innestato queste cose nella mia tela, un po’ per riportarmi verso un mondo… più… che rassicurasse più la mia presenza qui in America” scriveva. Ed ecco Sal’s Red Hauler Special, dedicata a Jean Christophe, figlio di Leo Castelli. D’impatto anche Hill Canoe, opera composta da una grande tela con al centro un’apertura, una scala, un bastone con avvolto una sorta di serpente, uno sci e un copricapo. Questo lavoro di carattere arcaico trascina chi osserva in un mondo incontaminato nel quale l’essere umano e la natura un tempo erano in simbiosi. Il titolo è dedicato a un nativo americano della popolazione navajo che lavorava come operaio alla costruzione di un grattacielo a New York. Scarpitta lo conobbe all’ingresso di un cantiere e nei giorni successivi regalò al suo nuovo amico un tappetino navajo ricevendo in cambio una collana etnica con la punta di una freccia come pendente. La conserverà e indosserà con orgoglio come simbolo di scambio e la relazione tra culture diverse. Un po’ come avvenne nelle sue opere.
I visitatori della Galleria Mattia De Luca potranno apprezzare anche alcuni manifesti, cataloghi, fotografie e documenti che permettono di riscoprire il mondo di Scarpitta, dagli esordi romani al successo americano.
Un altro aneddoto sull'artista riguarda la sua adolescenza. Fu un giornalista a diffonderlo quando, arrampicatosi su un albero, l’undicenne Scarpitta vi rimase circa 600 ore ricevendo, grazie alla sua performance, un dono di 1500 dollari che gli permisero di regalare un viaggio in Italia alla sua famiglia. La storia del ragazzino sull’albero ispirò Italo Calvino per il suo romanzo Il barone rampante pubblicato nel 1957.
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