Dal 12 giugno al 22 agosto in tre sedi
A Todi il poema fotografico di Richard de Tscharner racconta il canto della terra
Richard de Tscharner, Au-delà de la souffrance, Sri Lanka, 2013 | Courtesy l'artista e Clp
Samantha De Martin
10/06/2021
Perugia - Dalle morbide colline che avvolgono Todi, come in una lauda di Jacopone, Il canto della Terra di Richard De Tscharner si eleva al cielo simile a una preghiera innalzata dal mondo.
Il poema fotografico che porta per la prima volta in Italia 59 immagini dell’artista svizzero, scattate in 22 paesi, dall’India al Perù, dall’Algeria alla Cambogia, si carica del fascino di terre lontane, delle suggestioni che le tracce del vento depositano sulla sabbia del deserto, restituendoci la complessità, ma anche la grandezza, disegnata sulla "pelle" del pianeta.
Questo canto, orchestrato dall’universo creativo di uno dei più apprezzati esponenti della fotografia di paesaggio, risuonerà dal 12 giugno al 22 agosto nelle tre sedi della Sala delle Pietre, del Museo Pinacoteca in Palazzo del Popolo, e del Torcularium nel Complesso delle Lucrezie.
Richard de Tscharner, Fruits des vents, Egitto, 2010 | Courtesy l'artista e Clp
Un approccio fotografico squisitamente filosofico e meditativo guida il visitatore tra gli interessi di de Tscharner, a partire dagli effetti che le trasformazioni geologiche hanno avuto sull’ecosistema.
"La sua - commenta il curatore, William A. Ewing - è una visione a lungo termine della terra e delle forze geologiche che l'hanno trasformata, non nel corso di millenni, ma di eoni. Tuttavia, non ha deciso di catturare ciò che è semplicemente bello o piacevole alla vista, ma immagini che mostrano le cicatrici e le "ferite" subite dalla terra. Il metodo di de Tscharner è lento, deliberatamente: si prende il suo tempo per fare ogni fotografia. Con questo approccio, l’artista soddisfa la sfida che si è posto, riassunta in modo eloquente dal fotografo che ammira di più, Ansel Adams: Una grande fotografia è una piena espressione di ciò che si sente di ciò che viene fotografato nel senso più profondo, ed è, quindi, una vera espressione di ciò che si sente della vita nella sua interezza”.
Devoto a Gustav Mahler, de Tscharner ha voluto costruire il percorso espositivo nella città di Jacopone come un poema sinfonico, composto da tre movimenti, tanti quante le sedi della mostra. Se la Sala delle Pietre è riservata a immagini di paesaggi in formato panoramico, oltre a quelle dei particolari dei disegni che la natura ha scolpito sulla superficie delle rocce, dell’acqua e del legno, all’interno del Museo Pinacoteca, il fotografo di Berna, classe 1947, ci mette davanti alle rovine di antichi popoli, per ricordare il carattere effimero della nostra civiltà, in contrapposizione a quello ultra millenario della Terra.
Richard de Tscharner, Peinture sur corps, Etiopia, 2008 | Courtesy l'artista e Clp
La sezione al Torcularium si focalizza invece sulla presenza umana in aree remote del mondo, dove gli esseri umani hanno conservato con la Terra un rapporto più stretto rispetto alla maggior parte degli odierni abitanti delle metropoli.
I corpi dipinti degli Etiopi, le maschere del Mali cedono alla bellezza de l’Isla del Pescado, in Bolivia, le piramidi saccheggiate del Sudan incontrano quelle ghiacciate della Groenlandia, un molo francese avvolto dalla nebbia, e ancora distese assetate in attesa di bere.
“Ricercatore di bellezza e di armonia”, come lo ha definito Caroline Lang, presidente di Sotheby's Svizzera e vice presidente di Sotheby's Europa, Richard de Tscharner cattura scorci di eternità attraverso l'obiettivo della sua macchina fotografica. Scovando paesaggi mai toccati dall’uomo, in grado di esprimere la bellezza profonda del pianeta e di evocare i misteri della vita, questo fotografo laureato in economia e scienze sociali, che al sopraggiungere dei 60 anni ha rinunciato alla carriera in banca per dedicarsi alla fotografia, resta fedele al bianco e nero regalandoci il suo straordinario canto il cui spartito è stato scritto in viaggio.
Richard de Tscharner, Cérémonie des masques, Mali, 2005 | Courtesy l'artista e Clp
Il poema fotografico che porta per la prima volta in Italia 59 immagini dell’artista svizzero, scattate in 22 paesi, dall’India al Perù, dall’Algeria alla Cambogia, si carica del fascino di terre lontane, delle suggestioni che le tracce del vento depositano sulla sabbia del deserto, restituendoci la complessità, ma anche la grandezza, disegnata sulla "pelle" del pianeta.
Questo canto, orchestrato dall’universo creativo di uno dei più apprezzati esponenti della fotografia di paesaggio, risuonerà dal 12 giugno al 22 agosto nelle tre sedi della Sala delle Pietre, del Museo Pinacoteca in Palazzo del Popolo, e del Torcularium nel Complesso delle Lucrezie.
Richard de Tscharner, Fruits des vents, Egitto, 2010 | Courtesy l'artista e Clp
Un approccio fotografico squisitamente filosofico e meditativo guida il visitatore tra gli interessi di de Tscharner, a partire dagli effetti che le trasformazioni geologiche hanno avuto sull’ecosistema.
"La sua - commenta il curatore, William A. Ewing - è una visione a lungo termine della terra e delle forze geologiche che l'hanno trasformata, non nel corso di millenni, ma di eoni. Tuttavia, non ha deciso di catturare ciò che è semplicemente bello o piacevole alla vista, ma immagini che mostrano le cicatrici e le "ferite" subite dalla terra. Il metodo di de Tscharner è lento, deliberatamente: si prende il suo tempo per fare ogni fotografia. Con questo approccio, l’artista soddisfa la sfida che si è posto, riassunta in modo eloquente dal fotografo che ammira di più, Ansel Adams: Una grande fotografia è una piena espressione di ciò che si sente di ciò che viene fotografato nel senso più profondo, ed è, quindi, una vera espressione di ciò che si sente della vita nella sua interezza”.
Devoto a Gustav Mahler, de Tscharner ha voluto costruire il percorso espositivo nella città di Jacopone come un poema sinfonico, composto da tre movimenti, tanti quante le sedi della mostra. Se la Sala delle Pietre è riservata a immagini di paesaggi in formato panoramico, oltre a quelle dei particolari dei disegni che la natura ha scolpito sulla superficie delle rocce, dell’acqua e del legno, all’interno del Museo Pinacoteca, il fotografo di Berna, classe 1947, ci mette davanti alle rovine di antichi popoli, per ricordare il carattere effimero della nostra civiltà, in contrapposizione a quello ultra millenario della Terra.
Richard de Tscharner, Peinture sur corps, Etiopia, 2008 | Courtesy l'artista e Clp
La sezione al Torcularium si focalizza invece sulla presenza umana in aree remote del mondo, dove gli esseri umani hanno conservato con la Terra un rapporto più stretto rispetto alla maggior parte degli odierni abitanti delle metropoli.
I corpi dipinti degli Etiopi, le maschere del Mali cedono alla bellezza de l’Isla del Pescado, in Bolivia, le piramidi saccheggiate del Sudan incontrano quelle ghiacciate della Groenlandia, un molo francese avvolto dalla nebbia, e ancora distese assetate in attesa di bere.
“Ricercatore di bellezza e di armonia”, come lo ha definito Caroline Lang, presidente di Sotheby's Svizzera e vice presidente di Sotheby's Europa, Richard de Tscharner cattura scorci di eternità attraverso l'obiettivo della sua macchina fotografica. Scovando paesaggi mai toccati dall’uomo, in grado di esprimere la bellezza profonda del pianeta e di evocare i misteri della vita, questo fotografo laureato in economia e scienze sociali, che al sopraggiungere dei 60 anni ha rinunciato alla carriera in banca per dedicarsi alla fotografia, resta fedele al bianco e nero regalandoci il suo straordinario canto il cui spartito è stato scritto in viaggio.
Richard de Tscharner, Cérémonie des masques, Mali, 2005 | Courtesy l'artista e Clp
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