Dal 13 maggio al 2 ottobre a Verona

Caroto e le arti tra Mantegna e Veronese in arrivo al Palazzo della Gran Guardia

Giovan Francesco Caroto, Ritratto di fanciullo con disegno, 1515-1520, Olio su tavola, 29 × 37 cm, Verona, Musei Civici – Museo di Castelvecchio | Foto: © Gardaphoto, Salò
 

Samantha De Martin

03/03/2022

Verona - Giorgio Vasari ce lo descrive come un cuor contento, un personaggio estroso e amante dello scherzo. Stravagante, diremmo oggi, al pari del suo ritratto forse più noto, che raffigura un bambino dai capelli lunghi, probabilmente suo figlio, lo sguardo sveglio e simpatico che punta dritto agli occhi di chi osserva, mentre, nella mano destra, regge il disegno di una figura umana, dai tratti tipicamente fanciulleschi.
Curioso, irrequieto, vagabondo, Giovan Francesco Caroto fu attivo in ogni arte, dalla pittura alla miniatura, dalla statuaria ai soggetti religiosi, pur raggiungendo gli esiti più felici nel ritratto e nella pittura di paesaggio.
Dal 13 maggio al 2 ottobre lo vedremo da vicino a Verona, nei monumentali spazi del Palazzo della Gran Guardia, in occasione della prima mostra interamente dedicata all’artista. Oltre 100 capolavori in arrivo da alcune delle più prestigiose collezioni italiane e internazionali, seguiranno l’evoluzione del pittore veronese, dagli esordi giovanili al riconosciuto ruolo di artista.


Giovan Francesco Caroto, Madonna con il Bambino e san Giovannino (Madonna cucitrice), 1501, Olio su tavola, 39 x 48 cm, Modena, Galleria Estense

Grazie a una serie di restauri sostenuti per la mostra e ad un’estesa campagna di analisi diagnostiche, l’esposizione sarà anche l’occasione per conoscere in maniera più approfondita il modo di operare del pittore e gli interventi che, nel corso del tempo, hanno interessato le sue creazioni. Un piccolo assaggio del percorso espositivo sarà tuttavia possibile a partire da oggi, 3 marzo, grazie a due dipinti presentati e visibili in anteprima nella Gallerie dei dipinti del Museo di Castelvecchio.

Il primo riguarda un’opera inedita, tra le più belle e famose del pittore, la cosiddetta Madonna della farfalla, proveniente da una collezione privata. Questo lavoro giovanile, eseguito a olio su tavola tra il 1510 e il 1515, risente del clima stilistico dell’esperienza a fianco di Mantegna e a contatto con la cultura mantovana e leonardesca. L’opera è nota solo dall’inizio del Novecento, quando si trova nella collezione viennese del barone Heinrich von Tucher. Dopo la morte del proprietario una serie di peripezie la vedono a lungo raminga tra collezioni private, fino a New York, prima di far nuovamente ritorno in Italia, negli anni Novanta. Ma solo per poco, visto che nuove traversie l’avrebbero condotta ancora una volta negli Stati Uniti. Sembrava dispersa per sempre quando, nel corso delle ricerche effettuate in vista della mostra è stata finalmente rintracciata presso un collezionista privato che ha accolto la proposta di presentarla al Museo di Castelvecchio e poi, dal prossimo 13 maggio, al Palazzo della Gran Guardia.
Nella Galleria di Castelvecchio e nella Gran Guardia il dipinto dialogherà con la Madonna con il bambino, una replica del soggetto, sebbene leggermente diversa, parte delle collezioni civiche. Durante il periodo dell’esposizione le due opere verranno sottoposte a indagini scientifiche per il confronto del disegno preparatorio usato dal pittore nell’una e nell’altra versione. La Madonna della farfalla potrebbe costituire un prototipo rispetto all’altra versione. Colpisce la ricchezza di particolari, descritti con l’abilità del miniatore. L’occhio dell’osservatore cade sul bracciolo dell’elegante seggiola, finemente intagliato, che reca la firma di Caroto, e sul pomello, dove lo sguardo è catturato da una farfalla dalle ali bianche che il bambino tiene legata con un filo sottilissimo, riferimento iconografico alla resurrezione di Cristo. Il paesaggio brumoso, sfumato sullo fondo, contrasta con la plasticità del gruppo in primo piano dove le mani della Vergine e il corpo del bambino assumono sempre pose spigolose e difficili.


Giovan Francesco Caroto, Madonna con il Bambino (Madonna della farfalla), 1510-1515 circa, Olio su tavola, 47.5 x 59 cm, Collezione privata

L’altra opera, che sarà presentata in anteprima al Museo di Castelvecchio, già a partire da oggi, è Veritas filia Temporis, dono della famiglia Arvedi alle collezioni dei Musei Civici di Verona. Nella tela ottagonale, uno dei punti focali del percorso, campeggiano tre figure allegoriche. Il Tempo, raffigurato come un vecchio con le ali e una clessidra, sostiene la Verità, sua figlia, a significare che con il tempo la verità viene sempre a galla. Un giovane con le orecchie deformi tiene con la mano destra alcuni serpentelli, a rappresentare l’Inganno, che cerca di trascinare verso il basso la Verità per avvolgerla nelle tenebre. Nel suo complesso, la scena allude alla lotta tra il bene e il male, tra la verità e la menzogna. Potrebbe essere stato lo stesso committente, Giulio Della Torre, intimo amico di Caroto, a scegliere questo soggetto.

Articolato in dieci sezioni, alle quali si aggiungeranno anche tre istallazioni multimediali, il percorso espositivo, a cura della direttrice dei Musei Civici di Verona Francesca Rossi, dello storico dell'arte Gianni Peretti e di Edoardo Rossetti dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sarà affiancato da un itinerario cittadino tra le chiese e i palazzi che custodiscono le testimonianze artistiche di Caroto e del Rinascimento veronese.




Giovan Francesco Caroto, Veritas Filia Temporis, 1531-1534 circa, Olio su tela, Musei Civici di Verona – Museo di Castelvecchio, dono Ferruccio Arvedi, 2019

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