Alighiero Boetti

Alighiero Boetti, CasaMadre - Arte Contemporanea, Napoli
Dal 30 Ottobre 2014 al 30 Novembre 2014
Napoli
Luogo: CasaMadre - Arte Contemporanea
Indirizzo: piazza dei Martiri 58
Telefono per informazioni: +39 081 19360591
E-Mail info: info@lacasamadre.it
Sito ufficiale: http://www.lacasamadre.it
Si può dire che l'arte nel modo espressivo lieve e mai concitato o didascalico di Alighiero Boetti non sia stata solo un esercizio di modernità contro lo stile, ma anche, forse soprattutto, un discorso contro il discorso. Un'antiretorica, un antilinguaggio: ossia, l’antidoto per sconfiggere l'ideologia del discorso altro, più vero, più profondo, più poetico.
La sfida dell'artista torinese alle parole cominciò con ordine e disordine del 1971 (scritta riprodotta con stampino su muro con vernice a spruzzo verde), primo esperimento di quadratura delle lettere, quando gli si aprì davanti agli occhi il mondo del linguaggio che, nella sua testa fumante, fu subito immagine al quadrato, cioè enigma, finzione, rebus. Da allora in poi, nel mostrare il vano, ironico, ossessivo riprodursi della magia dei quadrati, lettera su lettera, frase dopo frase, non si può non riconoscere che Alighiero Boetti mantenne sempre il punto e la parola.
Non ci fu più pausa nel flusso colorato delle frasi stampate e ricamate: mormorìo, brusìo, bisbiglìo di una lingua che parlava tra sé e sé di tutto e di niente.
Oggi, nei ricami che esponiamo sembra prevalere il senso poetico, in alcuni casi ineffabile, delle frasi riprodotte, come se l'artisticità dell'immagine offrisse ai versi citati un misterioso supplemento di senso e di valore. E invece, nel come quelle ricercate parole di uomini illustri venuti anche da tempi lontani si affollano, spingono e si respingono le une con le altre, non dovrebbe essere così difficile percepire la contraddizione o il confitto strutturale che anima tutta l'opera di Alighiero Boetti con il linguaggio.
Più il discorso si formalizza poeticamente, più i nomi e i significati si perdono nella finitudine e nella relatività, nella prospettiva e nell'erosione del tempo.
Se la poesia é un discorso, cioè un insieme di parole disposte in un ordine piuttosto che in un altro, l'arte che la prende e la espone non può inquadrarla e metterla in cornice, insomma rappresentarla, se non nel modo della lacerazione e della dissipazione.
Per l'artista consapevole di poter ricavare la ‘sua’ immagine, quella che mette al mondo il mondo, solo in una fuga continua da ciò che la rappresentazione tenta di fermare e incorniciare in un unico sguardo, non poteva essere sufficiente neanche l'opzione seriale. A ben pensare, assecondando una certa aleatorietà spesso anche l'imprecisione dei processi compositivi affidati a molte mani, tutte le serie di Boetti proliferano verso l'indefinito, proprio perché non sono mai orientate alla definizione e alla trasmissione di un discorso concluso, né l'hanno mai desiderato.
Dei suoi moltissimi lavori ricamati si potrebbe infatti sostenere che furono la pratica collettiva di un'arte che ‘non dice nulla e non tace mai’, come la letteratura per Foucault.
O come il mondo contemporaneo pieno di un linguaggio vuoto, che non ha niente da comunicare e da tacere.
La sfida dell'artista torinese alle parole cominciò con ordine e disordine del 1971 (scritta riprodotta con stampino su muro con vernice a spruzzo verde), primo esperimento di quadratura delle lettere, quando gli si aprì davanti agli occhi il mondo del linguaggio che, nella sua testa fumante, fu subito immagine al quadrato, cioè enigma, finzione, rebus. Da allora in poi, nel mostrare il vano, ironico, ossessivo riprodursi della magia dei quadrati, lettera su lettera, frase dopo frase, non si può non riconoscere che Alighiero Boetti mantenne sempre il punto e la parola.
Non ci fu più pausa nel flusso colorato delle frasi stampate e ricamate: mormorìo, brusìo, bisbiglìo di una lingua che parlava tra sé e sé di tutto e di niente.
Oggi, nei ricami che esponiamo sembra prevalere il senso poetico, in alcuni casi ineffabile, delle frasi riprodotte, come se l'artisticità dell'immagine offrisse ai versi citati un misterioso supplemento di senso e di valore. E invece, nel come quelle ricercate parole di uomini illustri venuti anche da tempi lontani si affollano, spingono e si respingono le une con le altre, non dovrebbe essere così difficile percepire la contraddizione o il confitto strutturale che anima tutta l'opera di Alighiero Boetti con il linguaggio.
Più il discorso si formalizza poeticamente, più i nomi e i significati si perdono nella finitudine e nella relatività, nella prospettiva e nell'erosione del tempo.
Se la poesia é un discorso, cioè un insieme di parole disposte in un ordine piuttosto che in un altro, l'arte che la prende e la espone non può inquadrarla e metterla in cornice, insomma rappresentarla, se non nel modo della lacerazione e della dissipazione.
Per l'artista consapevole di poter ricavare la ‘sua’ immagine, quella che mette al mondo il mondo, solo in una fuga continua da ciò che la rappresentazione tenta di fermare e incorniciare in un unico sguardo, non poteva essere sufficiente neanche l'opzione seriale. A ben pensare, assecondando una certa aleatorietà spesso anche l'imprecisione dei processi compositivi affidati a molte mani, tutte le serie di Boetti proliferano verso l'indefinito, proprio perché non sono mai orientate alla definizione e alla trasmissione di un discorso concluso, né l'hanno mai desiderato.
Dei suoi moltissimi lavori ricamati si potrebbe infatti sostenere che furono la pratica collettiva di un'arte che ‘non dice nulla e non tace mai’, come la letteratura per Foucault.
O come il mondo contemporaneo pieno di un linguaggio vuoto, che non ha niente da comunicare e da tacere.
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