Dal 24 settembre a Palazzo dei Diamanti
Viaggio nella mente di Ariosto per i cinquecento anni dell'Orlando Furioso
Andrea Mantegna: Minerva caccia i Vizi dal Giardino delle Virtù, 1497-1502 Tempera su tela, cm 160 x 192 Parigi, Musée du Louvre
Ludovica Sanfelice
26/09/2016
Ferrara - Il 22 aprile del 1516, una tipografia di Ferrara finiva di stampare l'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Il poema venne ampliato e corretto fino al 1532, ma questa data segnò l'inizio del viaggio di un'opera cardinale nella storia della letteratura italiana.
Il cavaliere che esce di senno per amore della bella Angelica fu il primo bestseller e grazie al ricco universo immaginario in cui la vicenda fu ambientata, tanto nella sua epoca quanto in quelle successive, produsse e ispirò immagini e oggetti. Un segno indelebile che a cinquecento anni di distanza la Fondazione Ferrara Arte e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo celebrano con l'esposizione "Orlando Furioso. Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi" inaugurata a Palazzo dei Diamanti dove rimarrà aperta fino all'8 gennaio.
Una mostra dal carattere trasversale che raccoglie dipinti, arazzi, sculture, ceramiche, manoscritti miniati, stumenti musicali e armi orcherstrando un incantesimo volto ad immergere i visitatori nelle fantasie che popolavano la mente dell'Ariosto nell'attività di componimento. Quando davanti ai suoi occhi si spalancavano campi di battaglia e si agitavano duelli.
In cerca delle possibili fonti iconografiche, delle muse di un così prodigioso esercizio, i curatori Guido Beltramini e Adolfo Tura, con la consulenza di un comitato scientifico di studiosi del poema e di storici dell'arte, e con il sostegno di grandi musei del mondo, hanno dato vita ad un viaggio nelle visioni ariostesche rintracciando capolavori di grandi artisti contemporanei del poema.
Al richiamo del corno di Roncisvalle hanno risposto opere come la Scena di Battaglia di Leonardo, Il Gattamelata di Giorgione, l'Andromeda liberata da Perseo di Piero di Cosimo che ispirò il salvataggio di Angelica dalle spire del drago, la Minerva caccia i vizi dal giardino delle virtù di Andrea Mantegna che dal Louvre è venuta a testimoniare come le figure fantastiche che Ariosto vide nel camerino d'Isabella d'Este siano simili alle creature incontrate da Ruggero nel regno di Alcina. E ancora Baccanale degli Andrii di Tiziano, straordinaria concessione del Prado, e poi Raffaello e Michelangelo muse dei successivi rimaneggiamenti del poema trasformato dallo stesso Ariosto anche sul fronte linguistico con la bonifica del testo dai localismi.
Il cavaliere che esce di senno per amore della bella Angelica fu il primo bestseller e grazie al ricco universo immaginario in cui la vicenda fu ambientata, tanto nella sua epoca quanto in quelle successive, produsse e ispirò immagini e oggetti. Un segno indelebile che a cinquecento anni di distanza la Fondazione Ferrara Arte e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo celebrano con l'esposizione "Orlando Furioso. Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi" inaugurata a Palazzo dei Diamanti dove rimarrà aperta fino all'8 gennaio.
Una mostra dal carattere trasversale che raccoglie dipinti, arazzi, sculture, ceramiche, manoscritti miniati, stumenti musicali e armi orcherstrando un incantesimo volto ad immergere i visitatori nelle fantasie che popolavano la mente dell'Ariosto nell'attività di componimento. Quando davanti ai suoi occhi si spalancavano campi di battaglia e si agitavano duelli.
In cerca delle possibili fonti iconografiche, delle muse di un così prodigioso esercizio, i curatori Guido Beltramini e Adolfo Tura, con la consulenza di un comitato scientifico di studiosi del poema e di storici dell'arte, e con il sostegno di grandi musei del mondo, hanno dato vita ad un viaggio nelle visioni ariostesche rintracciando capolavori di grandi artisti contemporanei del poema.
Al richiamo del corno di Roncisvalle hanno risposto opere come la Scena di Battaglia di Leonardo, Il Gattamelata di Giorgione, l'Andromeda liberata da Perseo di Piero di Cosimo che ispirò il salvataggio di Angelica dalle spire del drago, la Minerva caccia i vizi dal giardino delle virtù di Andrea Mantegna che dal Louvre è venuta a testimoniare come le figure fantastiche che Ariosto vide nel camerino d'Isabella d'Este siano simili alle creature incontrate da Ruggero nel regno di Alcina. E ancora Baccanale degli Andrii di Tiziano, straordinaria concessione del Prado, e poi Raffaello e Michelangelo muse dei successivi rimaneggiamenti del poema trasformato dallo stesso Ariosto anche sul fronte linguistico con la bonifica del testo dai localismi.
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