"Hallyu! L’onda coreana" fino al 17 agosto a Zurigo
Al Museo Rietberg di Zurigo la Corea del Sud si racconta tra pop, storia e censura

Eleonora Zamparutti
20/05/2025
Quando nel ‘93 il governo sudcoreano si rende conto che Jurassic Park ha incassato più della produzione annua di auto Hyundai, comprende che il futuro del Paese non sarebbe passato solo dalla manifattura, ma dalla cultura.
Da quella consapevolezza è nata una strategia nazionale che oggi ha un nome ben preciso: Hallyu, l’“onda coreana”.
Un fenomeno globale che unisce sotto la grande “K” prodotti di musica, cinema, moda, cosmetica e tecnologia che sono arrivati nelle nostre case e nei nostri device, e che oggi è protagonista della mostra Hallyu! L’onda coreana, in programma al Museo Rietberg di Zurigo fino al 17 agosto 2025, unica tappa nell’Europa continentale.

Artista sconosciuto/a, Paravento con libri e oggetti in uno studio, XIX secolo, collezione privata.
La mostra è frutto di un’operazione di soft power costruita a tavolino tre anni fa e nata grazie alla collaborazione del Ministero della Cultura, Sport e Turismo della Corea del Sud e il Victoria & Albert Museum di Londra, con l’intenzione di raccontare al mondo la capacità di visione di un paese in origine povero che ha abbracciato la modernità con tanto spirito di sacrificio, prima in chiave di sviluppo tecnologico e poi culturale, sotto l’egida dirigista dei governi dittatoriali e democratici che si sono succeduti.
Perché il segreto di Hallyu è il suo legame profondo con la tradizione. In Corea, i valori confuciani, i rituali antichi e il senso della collettività continuano a plasmare la società contemporanea. L’estetica, la disciplina, il rispetto per l’altro e per l’autorità affondano le radici in una cultura che valorizza la storia tanto quanto il futuro.
“In Corea del Sud ci sono codici sociali molto forti, radicati nel Confucianesimo che di fatto regola il comportamento sociale anche ai nostri giorni. C’è grande rispetto per gli anziani o per le persone più grandi. Basta mezzo anno in più per essere più rispettato. Questo approccio si riflette anche nella lingua: in coreano si deve parlare con le persone in accordo all’età o alla posizione” afferma Khanh Trinh, curatrice delle collezioni giapponese e coreana presso il Museum Rietberg.
Era dal 1961 che mancava una grande mostra in Europa sulla Corea: proprio quell’anno, subito dopo il colpo di stato da parte del generale Park Chung-hee, il V&A aveva tenuto a battesimo National Art Treasure of Korea, un’esposizione che presentava per la prima volta al pubblico europeo la Corea del Sud come paese indipendente.
Oggi la Corea in vetrina a Zurigo veste gli abiti di un player globale, capace di competere con i colossi globali dell'entertainment. Le carte in regola ci sono tutte. Eppure oggi i codici morali e la disciplina che hanno aiutato la Corea a riprendersi velocemente negli anni ‘60-’70, vengono messi fortemente in discussione dalle nuove generazioni più giovani che non vedono il senso di sacrificare tutta la loro vita per il lavoro e per il successo e chiedono più tempo libero per loro stessi, provocando molta tensione intergenerazionale.

E quindi la domanda è: come saprà la Corea del Sud capitalizzare un investimento di oltre sessant’anni sulla lunga durata?
HALLYU, TRA IDENTITÀ E MODERNITÀ
Hallyu, termine derivato dal cinese (hall = Corea, yu = onda), indica la diffusione planetaria della cultura pop sudcoreana a partire dagli anni ’90.
Serie tv, K-pop, cosmetica, moda e cibo coreano sono diventati parte dell’immaginario globale, grazie a un mix travolgente di estetica, disciplina e innovazione. L’involucro dei prodotti è quello universale della cultura occidentale, l’anima rimane quella coreana. Un innesto che ha dato i suoi frutti.

Squid Game. Una serie originale Netflix © 2021 Netflix. Tutti i diritti riservati
Non per nulla i pezzi iconici dell’esposizione - la ricostruzione della stanza da bagno del film Parasite e i costumi della prima season di Squid Game - celebrano il cinema e le serie tv coreane, divenute simboli di una nazione che sa raccontarsi con audacia e raffinatezza visiva. Capace di aggiudicarsi premi e riconoscimenti a livello mondiale.
Attraverso la globalizzazione e la digitalizzazione, la Hallyu sta costruendo un ponte di connettività culturale destinato a diventare la forma più potente di affermazione della Corea sullo scacchiere internazionale, seppur con alcune limitazioni.
È un’onda capace di superare le barriere linguistiche e culturali, conquistando milioni di fan in tutto il mondo.
Come spiega Khanh Trinh: “La cultura coreana è un mix esplosivo di influenze cinesi, giapponesi, americane e tradizioni locali. È questo ibrido a renderla familiare e universale allo stesso tempo. È una cultura che accoglie, trasforma e risponde.” E aggiunge: “Molto tipico è il costume coreano l’hanbok, l’abito tradizionale che oggi viene reinterpretato in chiave moderna. In Corea, la tradizione non scompare: si evolve, si mescola, si reinventa.

Catena di montaggio di televisori Samsung Electronics, anni '70. Per gentile concessione del Museo dell’Innovazione Samsung
DITTATURA, CENSURA, RINASCITA
La storia della Hallyu si intreccia con quella della Corea del Sud, che dopo la guerra degli anni ’50 era uno dei Paesi più poveri del mondo. Guidata per decenni da regimi militari, ha vissuto una trasformazione accelerata e contraddittoria. La censura è stata a lungo uno strumento di controllo sociale e culturale: tagli nei film, divieti sulla musica, persino punizioni per l’abbigliamento “occidentale” delle ragazze e i capelli lunghi dei ragazzi.
Solo con la democratizzazione del 1987 l’industria culturale ha iniziato a prosperare. Ma come sottolinea Khanh Trinh: “La censura esisteva ed esiste ancora. I creativi trovano sempre un modo per esprimersi. I film e le serie tv coreane sono anche un riflesso delle tensioni della società: mostrano le disuguaglianze, le lotte tra classi, la pressione sociale.”
LA MOSTRA: UN VIAGGIO IN QUATTRO ATTI
Apre le danze dell’esposizione l’immagine del "finger heart", reso popolare dagli idol del K-pop, a sottolineare il loro messaggio contro i crimini d’odio. Oltre, nella prima sala su una parete, sono riprodotte in loop scene tratte dalla hit globale “Gangnam style” di PSY, a ricordare come il K-pop abbia saputo scalare le top position nelle classifiche Usa e Uk.
Benvenuti nell’estetica K. Ci vuole un po’ di immaginazione per caricare immagini, prop, video e oggetti che fanno parte della narrazione dei loro colori sgargianti originali che nell’allestimento appaiono un po’ desaturati. Ma si procede, con ordine.
Oggetti storici, fotografie e vecchie tecnologie raccontano lungo le sale della prima sezione della mostra, la rapidissima trasformazione di un Paese, tra boom economico e tensioni sociali, a ricordare che la Corea del Sud è il laboratorio della cosiddetta “modernità compressa”, dove coesistono smartphone e sciamani, alta moda e rituali confuciani.
Gli idol del K-pop sono il prodotto di un sistema produttivo rigoroso e di community digitali globali e attive. In mostra, outfit originali di gruppi come aespa e ATEEZ raccontano la potenza comunicativa di una musica che è anche identità e business.
La K-beauty e la K-fashion mostrano come la Corea esporti oggi anche un modello estetico fondato su cura, armonia e innovazione. Ideali di bellezza radicati nel confucianesimo - dove la cura di sé è una questione morale e non di vanità - si trasformano in tendenze globali.

UN PONTE TRA COREA E SVIZZERA
La tappa zurighese della mostra (dopo Londra, Boston, San Francisco e Zurigo sarà la volta dell'Australia) presenta una sala dedicata alla tradizione artistica coreana, con opere buddhiste e sciamaniche, accanto a video-installazioni contemporanee come quella di Nam June Paik. Tra le novità, anche una moon jar del XVIII secolo e un abito della stilista svizzero-coreana Nina Yuun, che fonde artigianato coreano e materiali locali.
Con Hallyu! L’onda coreana, il Museo Rietberg ci invita a scoprire come una nazione abbia saputo trasformare la propria storia complessa in una potente narrazione contemporanea, dove tradizione e innovazione danzano all’unisono al ritmo del K-pop. Un invito a visitare la Corea del Sud prima che sia travolta dalla nuova onda generazionale.
Da quella consapevolezza è nata una strategia nazionale che oggi ha un nome ben preciso: Hallyu, l’“onda coreana”.
Un fenomeno globale che unisce sotto la grande “K” prodotti di musica, cinema, moda, cosmetica e tecnologia che sono arrivati nelle nostre case e nei nostri device, e che oggi è protagonista della mostra Hallyu! L’onda coreana, in programma al Museo Rietberg di Zurigo fino al 17 agosto 2025, unica tappa nell’Europa continentale.

Artista sconosciuto/a, Paravento con libri e oggetti in uno studio, XIX secolo, collezione privata.
La mostra è frutto di un’operazione di soft power costruita a tavolino tre anni fa e nata grazie alla collaborazione del Ministero della Cultura, Sport e Turismo della Corea del Sud e il Victoria & Albert Museum di Londra, con l’intenzione di raccontare al mondo la capacità di visione di un paese in origine povero che ha abbracciato la modernità con tanto spirito di sacrificio, prima in chiave di sviluppo tecnologico e poi culturale, sotto l’egida dirigista dei governi dittatoriali e democratici che si sono succeduti.
Perché il segreto di Hallyu è il suo legame profondo con la tradizione. In Corea, i valori confuciani, i rituali antichi e il senso della collettività continuano a plasmare la società contemporanea. L’estetica, la disciplina, il rispetto per l’altro e per l’autorità affondano le radici in una cultura che valorizza la storia tanto quanto il futuro.
“In Corea del Sud ci sono codici sociali molto forti, radicati nel Confucianesimo che di fatto regola il comportamento sociale anche ai nostri giorni. C’è grande rispetto per gli anziani o per le persone più grandi. Basta mezzo anno in più per essere più rispettato. Questo approccio si riflette anche nella lingua: in coreano si deve parlare con le persone in accordo all’età o alla posizione” afferma Khanh Trinh, curatrice delle collezioni giapponese e coreana presso il Museum Rietberg.
Era dal 1961 che mancava una grande mostra in Europa sulla Corea: proprio quell’anno, subito dopo il colpo di stato da parte del generale Park Chung-hee, il V&A aveva tenuto a battesimo National Art Treasure of Korea, un’esposizione che presentava per la prima volta al pubblico europeo la Corea del Sud come paese indipendente.
Oggi la Corea in vetrina a Zurigo veste gli abiti di un player globale, capace di competere con i colossi globali dell'entertainment. Le carte in regola ci sono tutte. Eppure oggi i codici morali e la disciplina che hanno aiutato la Corea a riprendersi velocemente negli anni ‘60-’70, vengono messi fortemente in discussione dalle nuove generazioni più giovani che non vedono il senso di sacrificare tutta la loro vita per il lavoro e per il successo e chiedono più tempo libero per loro stessi, provocando molta tensione intergenerazionale.

E quindi la domanda è: come saprà la Corea del Sud capitalizzare un investimento di oltre sessant’anni sulla lunga durata?
HALLYU, TRA IDENTITÀ E MODERNITÀ
Hallyu, termine derivato dal cinese (hall = Corea, yu = onda), indica la diffusione planetaria della cultura pop sudcoreana a partire dagli anni ’90.
Serie tv, K-pop, cosmetica, moda e cibo coreano sono diventati parte dell’immaginario globale, grazie a un mix travolgente di estetica, disciplina e innovazione. L’involucro dei prodotti è quello universale della cultura occidentale, l’anima rimane quella coreana. Un innesto che ha dato i suoi frutti.

Squid Game. Una serie originale Netflix © 2021 Netflix. Tutti i diritti riservati
Non per nulla i pezzi iconici dell’esposizione - la ricostruzione della stanza da bagno del film Parasite e i costumi della prima season di Squid Game - celebrano il cinema e le serie tv coreane, divenute simboli di una nazione che sa raccontarsi con audacia e raffinatezza visiva. Capace di aggiudicarsi premi e riconoscimenti a livello mondiale.
Attraverso la globalizzazione e la digitalizzazione, la Hallyu sta costruendo un ponte di connettività culturale destinato a diventare la forma più potente di affermazione della Corea sullo scacchiere internazionale, seppur con alcune limitazioni.
È un’onda capace di superare le barriere linguistiche e culturali, conquistando milioni di fan in tutto il mondo.
Come spiega Khanh Trinh: “La cultura coreana è un mix esplosivo di influenze cinesi, giapponesi, americane e tradizioni locali. È questo ibrido a renderla familiare e universale allo stesso tempo. È una cultura che accoglie, trasforma e risponde.” E aggiunge: “Molto tipico è il costume coreano l’hanbok, l’abito tradizionale che oggi viene reinterpretato in chiave moderna. In Corea, la tradizione non scompare: si evolve, si mescola, si reinventa.

Catena di montaggio di televisori Samsung Electronics, anni '70. Per gentile concessione del Museo dell’Innovazione Samsung
DITTATURA, CENSURA, RINASCITA
La storia della Hallyu si intreccia con quella della Corea del Sud, che dopo la guerra degli anni ’50 era uno dei Paesi più poveri del mondo. Guidata per decenni da regimi militari, ha vissuto una trasformazione accelerata e contraddittoria. La censura è stata a lungo uno strumento di controllo sociale e culturale: tagli nei film, divieti sulla musica, persino punizioni per l’abbigliamento “occidentale” delle ragazze e i capelli lunghi dei ragazzi.
Solo con la democratizzazione del 1987 l’industria culturale ha iniziato a prosperare. Ma come sottolinea Khanh Trinh: “La censura esisteva ed esiste ancora. I creativi trovano sempre un modo per esprimersi. I film e le serie tv coreane sono anche un riflesso delle tensioni della società: mostrano le disuguaglianze, le lotte tra classi, la pressione sociale.”
LA MOSTRA: UN VIAGGIO IN QUATTRO ATTI
Apre le danze dell’esposizione l’immagine del "finger heart", reso popolare dagli idol del K-pop, a sottolineare il loro messaggio contro i crimini d’odio. Oltre, nella prima sala su una parete, sono riprodotte in loop scene tratte dalla hit globale “Gangnam style” di PSY, a ricordare come il K-pop abbia saputo scalare le top position nelle classifiche Usa e Uk.
Benvenuti nell’estetica K. Ci vuole un po’ di immaginazione per caricare immagini, prop, video e oggetti che fanno parte della narrazione dei loro colori sgargianti originali che nell’allestimento appaiono un po’ desaturati. Ma si procede, con ordine.
Oggetti storici, fotografie e vecchie tecnologie raccontano lungo le sale della prima sezione della mostra, la rapidissima trasformazione di un Paese, tra boom economico e tensioni sociali, a ricordare che la Corea del Sud è il laboratorio della cosiddetta “modernità compressa”, dove coesistono smartphone e sciamani, alta moda e rituali confuciani.
Gli idol del K-pop sono il prodotto di un sistema produttivo rigoroso e di community digitali globali e attive. In mostra, outfit originali di gruppi come aespa e ATEEZ raccontano la potenza comunicativa di una musica che è anche identità e business.
La K-beauty e la K-fashion mostrano come la Corea esporti oggi anche un modello estetico fondato su cura, armonia e innovazione. Ideali di bellezza radicati nel confucianesimo - dove la cura di sé è una questione morale e non di vanità - si trasformano in tendenze globali.

UN PONTE TRA COREA E SVIZZERA
La tappa zurighese della mostra (dopo Londra, Boston, San Francisco e Zurigo sarà la volta dell'Australia) presenta una sala dedicata alla tradizione artistica coreana, con opere buddhiste e sciamaniche, accanto a video-installazioni contemporanee come quella di Nam June Paik. Tra le novità, anche una moon jar del XVIII secolo e un abito della stilista svizzero-coreana Nina Yuun, che fonde artigianato coreano e materiali locali.
Con Hallyu! L’onda coreana, il Museo Rietberg ci invita a scoprire come una nazione abbia saputo trasformare la propria storia complessa in una potente narrazione contemporanea, dove tradizione e innovazione danzano all’unisono al ritmo del K-pop. Un invito a visitare la Corea del Sud prima che sia travolta dalla nuova onda generazionale.
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