Passeggiata nel piccolo gioiello svizzero, alla scoperta delle nuove architetture e dei musei d'autore
Basilea, una città in fermento tra nuovi quartieri e mostre da non perdere
Basilea alle prime luci del mattino, con la Cattedrale in lontananza, e l'antico Ponte di Mittlere Brücke | Courtesy Basel Tourismus
Samantha De Martin
05/07/2018
Mondo - Il fermento artistico e architettonico di Basilea corre lungo i vecchi binari di Dreispitz, nell’ex birrificio Warteck - con la sua sala caldaie divenuta la sede di una delle più prestigiose fiere di arte moderna - nel progetto di Peter Zumthor che arricchirà presto la Fondation Beyeler di un nuovo complesso museale che andrà ad affiancare l’elegante edificio a vetri ideato da Renzo Piano, nella mano onnipresente di Mario Botta ed Herzog & de Meuron che si allunga attraverso il silenzioso skyline cittadino. Arte e architettura, antico e moderno si intrecciano in questa verde città di confine, che guarda alla Svizzera, alla Francia e alla Germania, con i suoi 40 musei distribuiti su una superficie di appena 37 chilometri quadrati, e che d’estate si crogiola tra le acque pulitissime del Reno, con l’immancabile “wickelfisch”, in attesa delle tante mostre in programma per il prossimo autunno. A cominciare dall’appuntamento dedicato al periodo blu e rosa di Picasso, atteso a febbraio 2019, uno dei progetti espositivi più costosi ed importanti mai realizzati dalla Fondazione di Riehen.
La Basilea che forgia pazientemente la sua arte investendo in cultura è metaforicamente racchiusa nella silhouette dell’Hammering Man in acciaio e alluminio firmato Jonathan Borofsky, che impugna, fiero, il suo martello in Aeschenplatz.
L’ex birreria Warteck è diventata uno spazio culturale. Courtesy of Basel Tourismus
Da distretto industriale a quartiere residenziale: quattro passi nel Dreispitz
Dove un tempo sorgeva l’area artigianale di Basilea, la zona franca attraversata da un viavai di treni merci e container, sfilano oggi cantieri e gru, simbolo evidente di un cambiamento in atto che sferza questo quartiere dall’identità spiccata, che si allunga tra il Cantone di Basilea-Città e il Comune di Münchenstein, nel Cantone di Basilea- Campagna.
Per raggiungere quest’area in pieno fermento basta prendere il tram 11 dalla centralissima Marktplatz - magari dopo una rapida foto al Palazzo del Municipio dall’inconfondibile facciata rossa, l’imponente torre e le decorazioni trompe l’oeil - e scivolare per otto fermate lungo la città.
Con i suoi 50 ettari di superficie, questo scorcio di Basilea è destinato a diventare il polo di sviluppo strategico della città. Le sue potenzialità di crescita futura sono state riprese in un accordo urbanistico sottoscritto dalla Fondazione Christoph Merian (l’unica proprietaria dei terreni) e dagli enti territoriali. A tutt’oggi, e fino al 2053, per la maggior parte dei fondi è stato istituito un diritto di superficie a favore di un centinaio di beneficiari.
Passeggiando confortati dal silenzio del sabato mattina, le tracce del cambiamento si presentano allo sguardo ad ogni angolo. La zona degli ex magazzini (Freilager) destinata all’arte - che copre il 10 per cento della superficie totale dell’area - accoglie dal 2014 la Scuola superiore di belle arti e di design della Fachhochschule Nordwestschweiz, opera degli architetti Morger + Dettli. Nello stesso anno, i loro colleghi basilesi Herzog & de Meuron hanno ultimato lo studentato e l'archivio nel campus, mentre l’anno dopo, Zwimpfer Partner ha firmato gli uffici e lo studentato Oslo Nord.
Il Transitlager risalente al 1922 è stato invece ristrutturato dall’architetto danese Bjarke Ingels per essere ampliato con un'unità aggiuntiva di tre piani dalla forma a zig zag.
Qualcuno potrà storcere il naso nel trovarsi davanti l’imponente palazzo di Herzog & de Meuron che accoglie appartamenti di lusso e, sotto, l’archivio delle due archistar basilesi. Questo mastodontico edificio, uno dei più esclusivi della città, “è particolarmente ambito - ci spiegano - proprio per la sua posizione, nel cuore di un’area destinata a diventare un quartiere sostenibile, attraversato da parchi e giardini”.
Uno scorcio del quartiere Dreispitz. Foto: © Samantha De Martin
Superato un tempio indù - emblema del multiculturalismo di questa interessante porzione di città - ci si imbatte nel Museo delle Arti Elettroniche (HeK), un’autentica opera d’arte digitale realizzata in cemento e mattoni, che ha aperto i battenti nel 2014. In questo edificio non troverete tele o sculture, ma nuove forme d’arte che caratterizzano l’era dell’informazione e che esplorano gli effetti estetici, economici, sociopolitici connessi alle tecnologie digitali. In quanto istituzione multidisciplinare, la HeK accoglie diverse mostre dedicate all’arte plastica, ma anche performance legate alla danza, al teatro, al design, svolgendo un ruolo di primo piano, in Svizzera, per quanto concerne le discipline digitali.
A pochi metri da questo vivace spazio attraversato da atelier e bistrot, uffici della scuola di design, e un viavai di studenti durante la settimana, sorgeranno, entro il 2020, tre torri che andranno ad arricchire il volto di un’area in pieno fermento.
La Fondazione Beyeler raddoppia i propri spazi grazie al progetto di Peter Zumthor
Un Museo nel New Park. Si chiama così il progetto presentato dallo studio dell’architetto basilese Peter Zumthor, che mira ad affiancare all’edificio di Renzo Piano, attuale sede della Fondation Beyeler, tre nuovi elementi. Ad accogliere i visitatori della Fondation Beyeler saranno presto un museo “user-friendly”, un edificio destinato ad accogliere gli ambienti amministrativi e un padiglione per gli eventi, caratterizzato da ampie finestre che saranno un invito a godere degli spazi in totale relax.
Mentre la sera, l’area offrirà le condizioni ideali per letture, concerti, proiezioni di film.
L’estensione del progetto della Fondazione Beyeler, che verrà attuata dall’Atelier Peter Zumthor. Courtesy Atelier Peter Zumthor & Partner
Raddoppiando lo spazio espositivo, la Fondazione voluta dall’appassionato collezionista e mercante d’arte, Ernst Beyeler, consentirà ai visitatori di godere anche del parco Iselin-Weber, oggi formalmente in mani private, che diventerà presto un nuovo scorcio pubblico nel cuore di Riehen.
Bacon e Giacometti a confronto, in attesa di Balthus e di un inedito Picasso
Tra volti sfilacciati, sguardi esterrefatti, corpi in gabbia, frammentati, deformati con spietata disumanità, la potenza della carne si fa spazio infondendo un senso di malinconica inquietudine. Amici e rivali in egual misura, Alberto Giacometti e Francis Bacon si incontrano alla Fondation Beyeler, protagonisti di una mostra in corso fino al prossimo 2 settembre.
Silhouette di donna si allungano e uomini avanzano in questo simposio sospeso in cui i due artisti si confrontano attraverso tele, sculture, fotografie, cui fa da cornice il paesaggio che, dalle spaziose finestre si insinua generoso regalando alle sale un’atmosfera particolarissima.
In questo potente tempio dedicato all’arte e alla natura, imperdibile per chiunque visiti la città, è come se l’acqua, la luce, il profumo delle piante spettinate dalla pioggia infondessero vita e poesia agli incubi dell’anima.
Alberto e Giacometti, 1965, gelatin silver print, © Graham Keen. Courtesy of Fondation Beyeler
Per la prima volta un’esposizione museale si concentra su questi eminenti protagonisti dell’arte moderna del Novecento, mettendo in luce, in un unico spazio, allestito in modo mirabile, il loro reciproco rapporto.
Tra inaspettate convergenze, opere celebri incontrano lavori raramente visibili al pubblico e gessi originali del lascito Giacometti, mai esposti prima, e quattro imponenti trittici di Bacon, tra i quali uno che documenta il confrontarsi dell’artista con la mitologia greca.
Gli atelier (privatissimi) dei due maestri - uno spazio piccolo e misero, un luogo del caos da cui scaturisce arte sublime - prendono intanto forma sotto i piedi del pubblico grazie a uno spazio multimediale allestito in una delle sale, mentre diverse immagini scattate dal fotografo inglese Graham Keen ritraggono i due - conosciutisi agli inizi del 1960 - immersi in un vivace scambio di idee.
Nelle nove sale che racchiudono la mostra, i colori talvolta brillanti del maestro di Dublino incontrano i toni di grigio del collega svizzero. La fede incrollabile dei due nella figura umana si svela dentro strutture simili a gabbie che isolano le sagome nel loro ambiente. La pittrice Isabel Rawsthorne, amica e musa dei due, ritratta da entrambi e messa in scena da Bacon come una “femme fatale” dai tratti di furia, cede il posto alla leggendaria Boule suspendue, carica di suggestioni erotiche, al gesso originale de Le Nez - una testa appesa in una struttura di filo metallico, irrigidita in un grido e dal lunghissimo naso che ricorda all’osservatore il burattino in legno di Pinocchio - alle figure di Bacon, imprigionate in strutture spaziali che simboleggiano la reclusione dell’uomo nella repressione, condizione che si trasforma in un grido lacerante.
Le opere di Bacon in mostra arrivano alla Fondation Beyeler da importanti collezioni private e da musei di tutto il mondo, dall’Art Institute di Chicago al Museum of Modern Art di New York e dal Centre Pompidou di Parigi. I prestiti delle opere di Giacometti provengono invece in maggioranza dall’omonima fondazione parigina.
Quella che la Fondation Beyeler dedicherà, a febbraio prossimo, a Picasso, sarà invece la mostra più ambiziosa mai allestita dalla prestigiosa istituzione svizzera. Incentrato sui periodi blu e rosa del maestro di Malaga, il percorso porterà in scena sculture e dipinti dell'artista giovane, capolavori di anni cruciali - dal 1901 al 1906 - ciascuno dei quali rappresenta un’autentica pietra miliare.
Pablo Picasso, Femme à l'èventail, 1905, olio su tela, 81 x 100.3 cm, Washington, National Gallery of Art, Gift of the W. Averell Harriman Foundation in memory of Marie N. Harriman, 1972.9.19 © Succession Picasso / ProLitteris, Zürich 2018
Le prime produzioni si intrecciano ai lavori del periodo parigino, popolato da giocolieri, acrobati e arlecchini; classico e arcaico si mescolano fino a quella deformazione delle figure che annuncia l’urgenza del nuovo linguaggio cubista.
Protagonista dell’autunno della prestigiosa Fondazione sarà infine Balthus, al centro di una mostra che, dal 2 settembre al 13 gennaio, metterà, per la prima volta insieme, i pezzi più emblematici che ripercorrono la sua carriera.
Il Kunstmuseum celebra i 50 anni della donazione di Picasso
Nel 1967 una Basilea in subbuglio reclamava la permanenza de I due fratelli e L’arlecchino seduto di Picasso - opere allora in prestito al Kunstmuseum - al grido “All you need is Pablo”. Il maestro stesso rimase talmente sorpreso da quella dichiarazione di affetto dei giovani basilesi, al punto di regalare alla città - e al museo pubblico più antico al mondo - tre quadri, tra cui L’homme, femme et enfant del 1906, e il disegno preparatorio de Le demoiselles d’Avignon. Altri tre capolavori furono acquistati in quel fortunato anno dal museo, andandosi a sommare alla collezione museale che accoglie oggi 50 lavori dell’artista spagnolo.
I due fratelli e L’arlecchino seduto costarono al museo 8 milioni di franchi svizzeri - di cui 6 ottenuti con credito pubblico e 2 milioni tramite una raccolta fondi tra i cittadini - e non poche polemiche da parte della città che si spaccò in due, tra favorevoli e contrari all’acquisto.
A 50 anni di distanza dalla prima esposizione pubblica delle opere di Picasso acquistate nel 1967 dal Kunstmuseum, il museo basilese ospita la mostra Art. Argent. Musée. 50 ans de Picasso-Story, un percorso che accende i riflettori sulle circostanze e gli avvenimenti che coinvolsero cittadini, artisti, direttori di musei e mecenati.
Attraverso fotografie di grande formato di Kurt Wyss, documenti d’archivio e sette opere di Picasso, il percorso accende i riflettori sulle politiche museali di ieri e di oggi, sugli investimenti, sulla scelta delle opere da acquistare da parte delle istituzioni.
Tra le mostre in programma prossimamente al Kunstmuseum, da annotare l’esposizione Drama and Theatre dedicata al pittore svizzero romantico Johann Heinrich Füssli - dal 20 ottobre all’11 febbraio - e un percorso su Carl Burckhardt, dal 1° dicembre al 1° aprile.
Da non perdere i Dialogues della pittrice austriaca Maria Lassnig, in corso fino al 26 agosto e The Music of Color dell’americano Sam Gilliam, che offre ai visitatori una prospettiva inedita sulla storia della pittura astratta tra il 1960 e il 1970.
Al Museo Tinguely un’esperienza immersiva nella foresta di Gerda Steiner & Jörg Lenzlinger
A guardarlo dall’esterno, sorvegliato dall’imponente torre Roche - l’edificio più alto della Svizzera, emblema moderno di Basilea, con i suoi 178 metri, al quale si affiancherà nel 2021 un gemello di 205 metri, su progetto di Herzog & de Meuron - il Museo Tinguely, assomiglia ad una grande barca in arenaria rossa che fluttua sul Reno, azionata dal suo perpetuo movimento di motori e meccanica. Questo gioiello, opera dell’architetto ticinese Mario Botta, ospita la più grande collezione al mondo del compagno di Niki de Saint Phalle, tra i più innovativi e importanti artisti svizzeri del XX secolo.
L’esposizione permanente del museo a lui dedicato presenta un ampio spaccato su quarant’anni di attività artistica, mentre le mostre temporanee, ispirandosi sempre alle idee di Tinguely, gettano luce su un largo ventaglio di artisti del XX e del XXI secolo, dai suoi modelli dichiarati come Marcel Duchamp e Kurt Schwitters ai contemporanei Arman, Niki de Saint Phalle, Yves Klein, fino ad affrontare tematiche e tendenze dei giorni nostri.
Aggirandosi tra i bizzarri lavori in collezione, azionando sculture cinetiche, fontane, scavatrici, macchine basculanti, è tutto uno sferragliare di meccanismi sonori che catturano i visitatori di ogni età.
Se soffrite di claustrofobia, evitate di farvi rinchiudere nel "giardino delle torture", una delle installazioni degli artisti svizzeri Gerda Steiner & Jörg Lenzlinger, protagonisti fino al prossimo 23 settembre di un percorso che trasforma le sale del museo Tinguely in un labirinto spazio-temporale, una sorta di laboratorio di biodiversità attraversato da piante e curiosità che invitano il pubblico ad essere parte attiva della mostra.
L’universo rigoglioso, ma a tratti inquietante, di Too early to panic è frutto di reazioni chimiche ed organiche che stabiliscono legami tra mondi antagonisti.
Gerda Steiner & Joerg Lenzlinger, Too early to panic, Picnic Permm, 2015. Courtesy of Tinguely Museum
Sarà divertente - ma dipende dai punti di vista - attraversare una foresta di rami o abbandonarsi a un massaggio tra due materassi, fare un giro in altalena, versare una lacrima per esigenze estetico-scientifiche, dialogare con i professionisti della bellezza, o misurare la resistenza psichica contro il potere tellurico di un meteorite.
Intanto il formicolio della vita scorre ai piedi di una foresta sospesa, mentre una segretaria, un assistente di laboratorio, un collezionista di lacrime e un personal trainer sui pattini, invitano a guardare alla bellezza del mondo con rinnovato stupore.
Leggi anche:
• Dall'Amazzonia alla stazione di Zurigo. Il nuovo progetto di Ernesto Neto
• Un giovane Picasso alla Fondation Beyeler per "la mostra dell'anno"
• Georg Baselitz: la Fondation Beyeler festeggia i suoi 80 anni
• Da Picasso a Giacometti, il 2018 in Svizzera è l'anno delle grandi mostre
• Basilea, il vivace museo sul Reno che parla di Italia
La Basilea che forgia pazientemente la sua arte investendo in cultura è metaforicamente racchiusa nella silhouette dell’Hammering Man in acciaio e alluminio firmato Jonathan Borofsky, che impugna, fiero, il suo martello in Aeschenplatz.
L’ex birreria Warteck è diventata uno spazio culturale. Courtesy of Basel Tourismus
Da distretto industriale a quartiere residenziale: quattro passi nel Dreispitz
Dove un tempo sorgeva l’area artigianale di Basilea, la zona franca attraversata da un viavai di treni merci e container, sfilano oggi cantieri e gru, simbolo evidente di un cambiamento in atto che sferza questo quartiere dall’identità spiccata, che si allunga tra il Cantone di Basilea-Città e il Comune di Münchenstein, nel Cantone di Basilea- Campagna.
Per raggiungere quest’area in pieno fermento basta prendere il tram 11 dalla centralissima Marktplatz - magari dopo una rapida foto al Palazzo del Municipio dall’inconfondibile facciata rossa, l’imponente torre e le decorazioni trompe l’oeil - e scivolare per otto fermate lungo la città.
Con i suoi 50 ettari di superficie, questo scorcio di Basilea è destinato a diventare il polo di sviluppo strategico della città. Le sue potenzialità di crescita futura sono state riprese in un accordo urbanistico sottoscritto dalla Fondazione Christoph Merian (l’unica proprietaria dei terreni) e dagli enti territoriali. A tutt’oggi, e fino al 2053, per la maggior parte dei fondi è stato istituito un diritto di superficie a favore di un centinaio di beneficiari.
Passeggiando confortati dal silenzio del sabato mattina, le tracce del cambiamento si presentano allo sguardo ad ogni angolo. La zona degli ex magazzini (Freilager) destinata all’arte - che copre il 10 per cento della superficie totale dell’area - accoglie dal 2014 la Scuola superiore di belle arti e di design della Fachhochschule Nordwestschweiz, opera degli architetti Morger + Dettli. Nello stesso anno, i loro colleghi basilesi Herzog & de Meuron hanno ultimato lo studentato e l'archivio nel campus, mentre l’anno dopo, Zwimpfer Partner ha firmato gli uffici e lo studentato Oslo Nord.
Il Transitlager risalente al 1922 è stato invece ristrutturato dall’architetto danese Bjarke Ingels per essere ampliato con un'unità aggiuntiva di tre piani dalla forma a zig zag.
Qualcuno potrà storcere il naso nel trovarsi davanti l’imponente palazzo di Herzog & de Meuron che accoglie appartamenti di lusso e, sotto, l’archivio delle due archistar basilesi. Questo mastodontico edificio, uno dei più esclusivi della città, “è particolarmente ambito - ci spiegano - proprio per la sua posizione, nel cuore di un’area destinata a diventare un quartiere sostenibile, attraversato da parchi e giardini”.
Uno scorcio del quartiere Dreispitz. Foto: © Samantha De Martin
Superato un tempio indù - emblema del multiculturalismo di questa interessante porzione di città - ci si imbatte nel Museo delle Arti Elettroniche (HeK), un’autentica opera d’arte digitale realizzata in cemento e mattoni, che ha aperto i battenti nel 2014. In questo edificio non troverete tele o sculture, ma nuove forme d’arte che caratterizzano l’era dell’informazione e che esplorano gli effetti estetici, economici, sociopolitici connessi alle tecnologie digitali. In quanto istituzione multidisciplinare, la HeK accoglie diverse mostre dedicate all’arte plastica, ma anche performance legate alla danza, al teatro, al design, svolgendo un ruolo di primo piano, in Svizzera, per quanto concerne le discipline digitali.
A pochi metri da questo vivace spazio attraversato da atelier e bistrot, uffici della scuola di design, e un viavai di studenti durante la settimana, sorgeranno, entro il 2020, tre torri che andranno ad arricchire il volto di un’area in pieno fermento.
La Fondazione Beyeler raddoppia i propri spazi grazie al progetto di Peter Zumthor
Un Museo nel New Park. Si chiama così il progetto presentato dallo studio dell’architetto basilese Peter Zumthor, che mira ad affiancare all’edificio di Renzo Piano, attuale sede della Fondation Beyeler, tre nuovi elementi. Ad accogliere i visitatori della Fondation Beyeler saranno presto un museo “user-friendly”, un edificio destinato ad accogliere gli ambienti amministrativi e un padiglione per gli eventi, caratterizzato da ampie finestre che saranno un invito a godere degli spazi in totale relax.
Mentre la sera, l’area offrirà le condizioni ideali per letture, concerti, proiezioni di film.
L’estensione del progetto della Fondazione Beyeler, che verrà attuata dall’Atelier Peter Zumthor. Courtesy Atelier Peter Zumthor & Partner
Raddoppiando lo spazio espositivo, la Fondazione voluta dall’appassionato collezionista e mercante d’arte, Ernst Beyeler, consentirà ai visitatori di godere anche del parco Iselin-Weber, oggi formalmente in mani private, che diventerà presto un nuovo scorcio pubblico nel cuore di Riehen.
Bacon e Giacometti a confronto, in attesa di Balthus e di un inedito Picasso
Tra volti sfilacciati, sguardi esterrefatti, corpi in gabbia, frammentati, deformati con spietata disumanità, la potenza della carne si fa spazio infondendo un senso di malinconica inquietudine. Amici e rivali in egual misura, Alberto Giacometti e Francis Bacon si incontrano alla Fondation Beyeler, protagonisti di una mostra in corso fino al prossimo 2 settembre.
Silhouette di donna si allungano e uomini avanzano in questo simposio sospeso in cui i due artisti si confrontano attraverso tele, sculture, fotografie, cui fa da cornice il paesaggio che, dalle spaziose finestre si insinua generoso regalando alle sale un’atmosfera particolarissima.
In questo potente tempio dedicato all’arte e alla natura, imperdibile per chiunque visiti la città, è come se l’acqua, la luce, il profumo delle piante spettinate dalla pioggia infondessero vita e poesia agli incubi dell’anima.
Alberto e Giacometti, 1965, gelatin silver print, © Graham Keen. Courtesy of Fondation Beyeler
Per la prima volta un’esposizione museale si concentra su questi eminenti protagonisti dell’arte moderna del Novecento, mettendo in luce, in un unico spazio, allestito in modo mirabile, il loro reciproco rapporto.
Tra inaspettate convergenze, opere celebri incontrano lavori raramente visibili al pubblico e gessi originali del lascito Giacometti, mai esposti prima, e quattro imponenti trittici di Bacon, tra i quali uno che documenta il confrontarsi dell’artista con la mitologia greca.
Gli atelier (privatissimi) dei due maestri - uno spazio piccolo e misero, un luogo del caos da cui scaturisce arte sublime - prendono intanto forma sotto i piedi del pubblico grazie a uno spazio multimediale allestito in una delle sale, mentre diverse immagini scattate dal fotografo inglese Graham Keen ritraggono i due - conosciutisi agli inizi del 1960 - immersi in un vivace scambio di idee.
Nelle nove sale che racchiudono la mostra, i colori talvolta brillanti del maestro di Dublino incontrano i toni di grigio del collega svizzero. La fede incrollabile dei due nella figura umana si svela dentro strutture simili a gabbie che isolano le sagome nel loro ambiente. La pittrice Isabel Rawsthorne, amica e musa dei due, ritratta da entrambi e messa in scena da Bacon come una “femme fatale” dai tratti di furia, cede il posto alla leggendaria Boule suspendue, carica di suggestioni erotiche, al gesso originale de Le Nez - una testa appesa in una struttura di filo metallico, irrigidita in un grido e dal lunghissimo naso che ricorda all’osservatore il burattino in legno di Pinocchio - alle figure di Bacon, imprigionate in strutture spaziali che simboleggiano la reclusione dell’uomo nella repressione, condizione che si trasforma in un grido lacerante.
Le opere di Bacon in mostra arrivano alla Fondation Beyeler da importanti collezioni private e da musei di tutto il mondo, dall’Art Institute di Chicago al Museum of Modern Art di New York e dal Centre Pompidou di Parigi. I prestiti delle opere di Giacometti provengono invece in maggioranza dall’omonima fondazione parigina.
Quella che la Fondation Beyeler dedicherà, a febbraio prossimo, a Picasso, sarà invece la mostra più ambiziosa mai allestita dalla prestigiosa istituzione svizzera. Incentrato sui periodi blu e rosa del maestro di Malaga, il percorso porterà in scena sculture e dipinti dell'artista giovane, capolavori di anni cruciali - dal 1901 al 1906 - ciascuno dei quali rappresenta un’autentica pietra miliare.
Pablo Picasso, Femme à l'èventail, 1905, olio su tela, 81 x 100.3 cm, Washington, National Gallery of Art, Gift of the W. Averell Harriman Foundation in memory of Marie N. Harriman, 1972.9.19 © Succession Picasso / ProLitteris, Zürich 2018
Le prime produzioni si intrecciano ai lavori del periodo parigino, popolato da giocolieri, acrobati e arlecchini; classico e arcaico si mescolano fino a quella deformazione delle figure che annuncia l’urgenza del nuovo linguaggio cubista.
Protagonista dell’autunno della prestigiosa Fondazione sarà infine Balthus, al centro di una mostra che, dal 2 settembre al 13 gennaio, metterà, per la prima volta insieme, i pezzi più emblematici che ripercorrono la sua carriera.
Il Kunstmuseum celebra i 50 anni della donazione di Picasso
Nel 1967 una Basilea in subbuglio reclamava la permanenza de I due fratelli e L’arlecchino seduto di Picasso - opere allora in prestito al Kunstmuseum - al grido “All you need is Pablo”. Il maestro stesso rimase talmente sorpreso da quella dichiarazione di affetto dei giovani basilesi, al punto di regalare alla città - e al museo pubblico più antico al mondo - tre quadri, tra cui L’homme, femme et enfant del 1906, e il disegno preparatorio de Le demoiselles d’Avignon. Altri tre capolavori furono acquistati in quel fortunato anno dal museo, andandosi a sommare alla collezione museale che accoglie oggi 50 lavori dell’artista spagnolo.
I due fratelli e L’arlecchino seduto costarono al museo 8 milioni di franchi svizzeri - di cui 6 ottenuti con credito pubblico e 2 milioni tramite una raccolta fondi tra i cittadini - e non poche polemiche da parte della città che si spaccò in due, tra favorevoli e contrari all’acquisto.
A 50 anni di distanza dalla prima esposizione pubblica delle opere di Picasso acquistate nel 1967 dal Kunstmuseum, il museo basilese ospita la mostra Art. Argent. Musée. 50 ans de Picasso-Story, un percorso che accende i riflettori sulle circostanze e gli avvenimenti che coinvolsero cittadini, artisti, direttori di musei e mecenati.
Attraverso fotografie di grande formato di Kurt Wyss, documenti d’archivio e sette opere di Picasso, il percorso accende i riflettori sulle politiche museali di ieri e di oggi, sugli investimenti, sulla scelta delle opere da acquistare da parte delle istituzioni.
Tra le mostre in programma prossimamente al Kunstmuseum, da annotare l’esposizione Drama and Theatre dedicata al pittore svizzero romantico Johann Heinrich Füssli - dal 20 ottobre all’11 febbraio - e un percorso su Carl Burckhardt, dal 1° dicembre al 1° aprile.
Da non perdere i Dialogues della pittrice austriaca Maria Lassnig, in corso fino al 26 agosto e The Music of Color dell’americano Sam Gilliam, che offre ai visitatori una prospettiva inedita sulla storia della pittura astratta tra il 1960 e il 1970.
Al Museo Tinguely un’esperienza immersiva nella foresta di Gerda Steiner & Jörg Lenzlinger
A guardarlo dall’esterno, sorvegliato dall’imponente torre Roche - l’edificio più alto della Svizzera, emblema moderno di Basilea, con i suoi 178 metri, al quale si affiancherà nel 2021 un gemello di 205 metri, su progetto di Herzog & de Meuron - il Museo Tinguely, assomiglia ad una grande barca in arenaria rossa che fluttua sul Reno, azionata dal suo perpetuo movimento di motori e meccanica. Questo gioiello, opera dell’architetto ticinese Mario Botta, ospita la più grande collezione al mondo del compagno di Niki de Saint Phalle, tra i più innovativi e importanti artisti svizzeri del XX secolo.
L’esposizione permanente del museo a lui dedicato presenta un ampio spaccato su quarant’anni di attività artistica, mentre le mostre temporanee, ispirandosi sempre alle idee di Tinguely, gettano luce su un largo ventaglio di artisti del XX e del XXI secolo, dai suoi modelli dichiarati come Marcel Duchamp e Kurt Schwitters ai contemporanei Arman, Niki de Saint Phalle, Yves Klein, fino ad affrontare tematiche e tendenze dei giorni nostri.
Aggirandosi tra i bizzarri lavori in collezione, azionando sculture cinetiche, fontane, scavatrici, macchine basculanti, è tutto uno sferragliare di meccanismi sonori che catturano i visitatori di ogni età.
Se soffrite di claustrofobia, evitate di farvi rinchiudere nel "giardino delle torture", una delle installazioni degli artisti svizzeri Gerda Steiner & Jörg Lenzlinger, protagonisti fino al prossimo 23 settembre di un percorso che trasforma le sale del museo Tinguely in un labirinto spazio-temporale, una sorta di laboratorio di biodiversità attraversato da piante e curiosità che invitano il pubblico ad essere parte attiva della mostra.
L’universo rigoglioso, ma a tratti inquietante, di Too early to panic è frutto di reazioni chimiche ed organiche che stabiliscono legami tra mondi antagonisti.
Gerda Steiner & Joerg Lenzlinger, Too early to panic, Picnic Permm, 2015. Courtesy of Tinguely Museum
Sarà divertente - ma dipende dai punti di vista - attraversare una foresta di rami o abbandonarsi a un massaggio tra due materassi, fare un giro in altalena, versare una lacrima per esigenze estetico-scientifiche, dialogare con i professionisti della bellezza, o misurare la resistenza psichica contro il potere tellurico di un meteorite.
Intanto il formicolio della vita scorre ai piedi di una foresta sospesa, mentre una segretaria, un assistente di laboratorio, un collezionista di lacrime e un personal trainer sui pattini, invitano a guardare alla bellezza del mondo con rinnovato stupore.
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