Dall’America il trend dell’Art Therapy

L'arte che cura. Tele, colori e visite al museo contro i traumi della pandemia

Claude Monet, I papaveri, 1873, Parigi, Musée d'Orsay
 

Francesca Grego

16/06/2020

Mondo - A Venezia la cosiddetta fase 3 è stata salutata da una folla di turisti: 300 metri di coda davanti a Palazzo Ducale, che al momento della riapertura aveva già un migliaio di prenotazioni. Ma l’uscita dall’impasse post coronavirus non si profila così immediata per tutte le istituzioni culturali. In America, per esempio, le proiezioni sugli ingressi ai musei nel prossimo futuro sono allarmanti. Ma c’è una strada su cui l’arte e i traumi della pandemia possono incontrarsi con vantaggio: è quella dell’arte terapia, che dal Canada agli Stati Uniti sta diventando sempre più frequentata. Si va dai corsi di autoespressione online, dove gli utenti sono stimolati a produrre dipinti e disegni, all’allestimento di percorsi ad hoc con una selezione di opere rassicuranti. L’arte si rivela un rimedio relativamente semplice, coinvolgente e soprattutto privo di effetti collaterali contro dolori e angosce che non avevamo mai sperimentato. Ci ravviva con la bellezza e con l’ingegno, aiuta a superare la solitudine, dona equilibrio e serenità. E, cosa che non guasta, cura se stessa procurando introiti insperati ai musei in difficoltà.


Alfred Sisley, The By Road al Roches-Courtaut Woods - Indian Summer, Montreal, Musée des Beaux-Arts

Primo in America, nel 2017 il Musée des Beaux Arts di Montreal ha assunto un Art Therapist a tempo pieno e ha concesso ai visitatori di accedere gratuitamente alle sue sale dietro prescrizione medica. Dopo il lockdown, le richieste sono significativamente aumentate: “In quarantena guardi le stesse cose nel tuo appartamento ogni giorno. La ripetizione riduce la capacità di concentrazione. Al contrario i musei sono luoghi di meraviglia, bellezza e soggezione”, ha spiegato il terapista dell'arte Stephen Legari al New York Times. Secondo Legari le immagini dall’impatto più potente sono i paesaggi romantici e gli idilli naturali degli Impressionisti, ma non sono da disdegnare linguaggi meno realistici come quelli di Henri Matisse e Georges Braque.


Honoré Daumier, La lavandaia, 1863, Parigi, Musée d'Orsay

Si pone sulla stessa linea il Metropolitan Museum of Art di New York, che alla riapertura si proporrà al pubblico come uno spazio sicuro in città, sulla scorta di quanto sperimentato dopo l’attacco alle Torri Gemelle. “L’arte ha un impatto terapeutico per tutti”, afferma il capo della didattica del MET Rebecca McGinnis: “Stiamo cercando di capire come usare la storia dell’arte per riflettere su esperienze condivise di trauma, perdita e isolamento”. Anche qui, si selezionano i capolavori più adatti: scene di tranquilla vita domestica come La Lavandaia di Honoré Daumier, immagini di resilienza come Street Story Quilt di Faith Ringgold e perfino opere funerarie come la stele greca dedicata ad una bimba scomparsa nel V secolo a.C.

Ogni museo mette in campo le proprie risorse in programmi studiati su misura per target diversi: al Rubin Museum of Art si punta su statue indù e dipinti del Buddha, “perfetti per la contemplazione”, mentre al Queen’s Museum la Ventanita è una delle iniziative online per coinvolgere nella rielaborazione creativa del trauma anche il pubblico ispanico. Al Cincinnati Art Museum, in Ohio, si fanno le cose in grande: quest'estate oltre 100 educatori formati per l’occasione accompagneranno i visitatori in un itinerario all’insegna del benessere.

 
Faith Ringgold, Street Story Quilt, 1985, New York, The Metropolitan Museum of Art

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