In mostra fino al 18 settembre

L'occhio come mestiere: al MAXXI la 'vera fotografia' di Berengo Gardin

Gianni Berengo Gardin, Siena, 1983 © Gianni Berengo Gardin I Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia
 

Francesca Grego

05/05/2022

Roma - Oltre 200 scatti raccontano ai visitatori del MAXXI l’arte di Gianni Berengo Gardin, maestro della fotografia che in settant’anni di carriera ha ritratto l’Italia dal dopoguerra ad oggi. Ed è proprio un viaggio lungo la penisola, da percorrere attraverso il tempo e lo spazio, il filo conduttore della mostra curata da Margherita Guccione e Alessandra Mauro per il Museo nazionale delle arti del XXI secolo in collaborazione con Contrasto. Fino al prossimo 18 settembre Gianni Berengo Gardin. L’occhio come mestiere offrirà la possibilità di ammirare le immagini più celebri del grande fotografo, ma anche scatti poco noti e alcuni preziosi inediti. Una nuova prospettiva, spiega Guccione, “per rileggerne la lunghissima carriera, segnata dall’idea forte e coerente della fotografia documento, quella che lui chiama ‘vera fotografia’. Una modalità che rifugge dalla tentazione della manipolazione analogica o digitale, per riaffermare una visione documentaria, ma mai neutrale e sempre partecipe della realtà”. 


Gianni Berengo Gardin, Oriolo Romano (Viterbo), 1964 © Gianni Berengo Gardin I Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Per comprendere fino in fondo il lavoro di Berengo Gardin, con la scansione di un QR code sarà possibile visitare la mostra accompagnati dalla sua voce, che evoca ricordi e aneddoti legati alla fotografia e alla sfera personale, nel primo di una serie di podcast che il MAXXI dedica agli artisti presenti in collezione. Punto di partenza del tour è Venezia, città d’elezione per Berengo Gardin che, pur non essendovi nato, sente di appartenerle perché “i nonni erano veneziani, i bisnonni veneziani, papà venezianissimo”. Venezia è il luogo dove si forma come fotografo e dove tornerà periodicamente, dalle prime immagini degli anni Cinquanta, che restituiscono un ritratto della città intimo e quasi sussurrato, fino al celebre progetto del 2013 sulle grandi navi, passando per la contestazione alla Biennale del 1968. Da Venezia si vola alla Milano dell’industria, delle lotte operaie, degli artisti e degli intellettuali - in mostra, tra gli altri, i ritratti di Ettore Sotsass, Gio Ponti, Ugo Mulas, Dario Fo - per poi attraversare quasi tutte le regioni e le città italiane, dalla Sicilia alle risaie del vercellese, descritte nelle loro trasformazioni sociali, culturali e paesaggistiche dal dopoguerra ad oggi. 

Gianni Berengo Gardin, Venezia, 1959 © Gianni Berengo Gardin I Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Da non perdere sono i grandi reportage di Berengo Gardin, come quelli sugli ospedali psichiatrici, pubblicati nel ’68 all’interno di un volume a cura di Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia:  immagini di denuncia straordinarie e terribili, che documentando per la prima volta le condizioni dei pazienti psichiatrici di tutta Italia hanno contribuito all’approvazione della legge 180 per la chiusura dei manicomi. E poi gli scatti dai luoghi del lavoro - Alfa Romeo, Fiat, Pirelli e soprattutto Olivetti, con cui il fotografo collaborerà per 15 anni - le grandi città e i borghi rurali, il terremoto dell’Aquila e i protagonisti della cultura, da Peggy Guggenheim a Luigi Nono, da Dino Buzzati a Mario Soldati, con un occhio a realtà dimenticate come quella dei Rom, alla cui cultura il fotografo si accosta con curiosità ed empatia per ritrarre momenti intimi o corali.


Gianni Berengo Gardin, Genova 1988. Operai presso il porto, © Gianni Berengo Gardin / Courtesy Fondazione Forma per la fotografia, Milano

In chiusura una parete evoca lo studio dell’artista a Milano, una camera delle meraviglie che lascia emergere il lato umano e privato, e una sezione dedicata ai libri con le 250 pubblicazioni realizzate con autori come Gabriele Basilico, Luciano D’Alessandro, Ferdinando Scianna, Renzo Piano, senza dimenticare la collaborazione con la rivista “Il Mondo” di Mario Pannunzio, l’intellettuale che, confessa Berengo Gardin, ha più influenzato la sua fotografia. 


Gianni Berengo Gardin, Treno Roma-Milano, 1991. Courtesy Fondazione Forma per la fotografia, Milano (© Gianni Berengo Gardin)

“Essere fotografi per Gianni Berengo Gardin significa, foto dopo foto, riuscire a trovare per sé un ruolo di ‘osservatore partecipante’, come si dice in antropologia culturale, fatto di ascolto e attesa”, osserva Alessandra Muro nel libro L’occhio come mestiere che accompagna la mostra (edizioni Contrasto): “Bisogna imparare a raccontare le cose come sono, senza errori né confusioni; e se la documentazione è onesta, veritiera, limpida e verace, diventa – come diceva Dorothea Lange – un atto estremamente nobile, più di tutto un racconto di finzioni. Anche Gianni impara a immergersi nella realtà, a documentare i cambiamenti sociali, del costume, della politica. Questo è il suo mestiere; lui lo ha scelto con convinzione e lo esercita con una costanza ammirabile e con un metodo infallibile, perché sedimentato nel tempo e affinato in tante prove e tanti lavori”. 


Gianni Berengo Gardin, Taranto, 2008 © Gianni Berengo Gardin I Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

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