A Sindelfingen, vicino a Stoccarda, fino al 21 giugno 2026

Mario Schifano: quando l'arte è propaganda

Mario Schifano, Futurismo rivisitato, 1966 - Private Collection, Courtesy Gió Marconi, Milan
 

Piero Muscarà

19/11/2025

Mondo - Dagospia promette che il 2026 sarà l'anno di Mario Schifano. Due righe appena, infilate nella popolare rubrica "pillole di gossip" a firma di Ivan Rota sul sito d'informazione più cliccato d'Italia, che hanno fatto alzare le antenne a molti. D'altra parte le anticipazioni del sito fondato dal geniale Roberto D'Agostino - un termometro che segnala i micro-movimenti tellurici della scena politica, economica e culturale del Belpaese da decenni - sono sempre una fonte da prendere sul serio.

Nel frattempo per chi volesse capirne di più vale la pena valicare le Alpi ed andare a Stoccarda. Qui il Museo Schauwerk di Sindelfingen, una cittadina non lontana da Stuttgart nello stato meridionale del Baden-Württemberg, dedica a Mario Schifano la prima grande retrospettiva museale tedesca e la prima importante mostra europea fuori dall’Italia da oltre trent’anni. L'esposizione intitolata “When I remember” e aperta fino al 21 giugno 2026, riunisce più di ottanta opere tra pittura, collage, disegni, fotografie e film, molte provenienti da collezioni private e presentate qui per la prima volta. È un percorso che consente di rileggere Schifano come una delle figure più acute dell’arte italiana del secondo Novecento, capace di anticipare la trasformazione dell’immagine contemporanea molto prima che la teoria dei media ne definisse i meccanismi.

La mostra si apre con un dipinto cardine della Schaufler Collection, “When I remember Giacomo Balla, New York City”, realizzato nel 1964 durante il soggiorno americano dell’artista ed esposto alla Biennale di Venezia di quello stesso anno. Nel titolo di quest’opera, che fornisce anche il sottotitolo alla retrospettiva, convivono già i temi centrali del percorso: la memoria del Futurismo, l’impatto visivo della metropoli americana e il ruolo dell’immagine come dispositivo dinamico, fluido e continuamente mutabile.

Il racconto espositivo ricostruisce poi le origini romane di Schifano, all’interno della Scuola di Piazza del Popolo, dove l’artista si forma nei primi anni Sessanta. In quei giorni, al Caffè Rosati, un gruppo di giovani pittori e fotografi sperimenta nuovi linguaggi mescolando Pop Art americana, cultura politica italiana, materiali industriali e l’energia discontinua della vita urbana. Schifano assorbe tutto ciò in modo naturale: i loghi, la pubblicità, la fotografia, la televisione, la cronaca del boom economico. I suoi primi lavori su carta da pacco, smalti industriali e plexiglass segnano un avvicinamento radicale dell’immagine all’oggetto quotidiano.

Il rapporto con Giacomo Balla, ripreso in modo diretto nell’opera “Alla Balla” (1963), oggi custodito al MADRE di Napoli, conferma quanto il Futurismo sia per Schifano un punto di partenza più che un riferimento storico. L’artista reinterpreta il celebre tema della “Bambina che corre sul balcone” isolando i piedi in movimento, ripetuti come fotogrammi. La velocità futurista non è più un’utopia del progresso: diventa un’indagine sulla natura tecnica dell’immagine, sulla sua disarticolazione, sulla possibilità di scomporre il gesto attraverso i meccanismi del cinema e della televisione. È la modernità che si riflette nell’immagine, non il contrario.

La Pop Art entra in questa riflessione come detonatore. Nel suo soggiorno a New York, Schifano frequenta Andy Warhol, Frank Kline, Frank O’Hara, partecipa alle mostre dei New Realists e respira l’atmosfera di una città che sta ridefinendo la geografia visiva del mondo. Ma il suo rapporto con la Pop Art non è mai subalterno: se Warhol congela l’immagine nella serialità, Schifano la mantiene vibrante, irregolare, attraversata da colature e imperfezioni. Le sue Coca-Cola non celebrano il logo: ne mostrano l’instabilità, il lato nascosto, la sua funzione di codice ideologico più che di prodotto.

Il rapporto tra arte e propaganda si manifesta qui con estrema chiarezza. Schifano comprende presto che la vera propaganda del dopoguerra non passa più attraverso i manifesti politici o le parole d’ordine. La propaganda è un ambiente: i brand, le insegne, la televisione, il linguaggio della pubblicità. L’opera “Tutta propaganda” (1963) dichiara esplicitamente questa svolta. Il titolo non è ironico, è letterale: tutto ciò che circonda l’artista è propaganda, perché tutto è immagine che suggerisce, orienta, seduce. I loghi di Coca-Cola o Esso, le scritte, le superfici sporche di smalto diventano tracce di un mondo in cui estetica e ideologia coincidono.

L’Autostrada del Sole, celebrata nelle opere dei primi anni Sessanta, rappresenta un’altra icona di questa trasformazione. Per Schifano non è soltanto una grande infrastruttura moderna: è il corridoio visivo dell’Italia in movimento, il luogo dove l’immagine pubblicitaria, il brand, il paesaggio del consumo diventano parte naturale dell’orizzonte. L’autostrada è una linea di propaganda: un paesaggio che trasporta merci e idee con la stessa rapidità.

Una sezione centrale della mostra è dedicata alla televisione, vero oggetto del desiderio e del conflitto visivo di Schifano. Nei “Paesaggi TV” (1969–70) l’artista fotografa direttamente lo schermo televisivo e trasferisce i fotogrammi su tela, catturando le distorsioni, gli errori e le interferenze del medium. È una riflessione sulla natura filtrata della realtà, sulla distanza tra evento e immagine. Le 520 fotografie dipinte per la Biennale del 1993, anch’esse presenti in mostra, sono un diario mediatico: un decennio raccontato attraverso lo schermo e reinterpretato con il pennello, la matita, il pennarello. Un mondo che arriva già come immagine e che come immagine viene ricordato.

Dagli anni Ottanta in avanti, Schifano amplia i formati e recupera una gestualità più aperta, spesso accostata alla Transavanguardia, senza abbandonare il tema della mediazione visiva. Le ninfee ispirate a Monet, i grandi paesaggi stratificati, gli orizzonti corrosi sono sempre attraversati dall’idea che l’immagine sia un campo di tensione tra storia dell’arte e cultura popolare, tra natura e televisione, tra pittura e riproduzione tecnica.

La retrospettiva, realizzata con la collaborazione della Fondazione Marconi e dell’Archivio Mario Schifano, restituisce un’immagine rigorosa e complessa dell’artista, al di là dei miti biografici che spesso ne hanno oscurato la lettura.

Per il 2026 due importanti mostre sono in preparazione a Milano e Roma. Ma questo atteso ritorno non riguarda solo il mondo museale: anche il mercato internazionale ha dimostrato negli ultimi anni un interesse crescente per l’opera di Schifano. Nel 2022 l’opera Milano (1962) è stata aggiudicata da Sotheby’s per 1.072.200 euro; sempre nel 2022, a Parigi e sempre da Sotheby's un’altra opera - Tempo Moderno (1962) - ha raggiunto i 2,3 milioni di euro, fissando un nuovo record mondiale per l’artista; e già nel 2013 la tela Incidente era stata venduta da Dorotheum per 446.800 euro, stabilendo il record dell’epoca. Segnali che mostrano come il lavoro di Schifano sia da tempo considerato, anche dal lato del collezionismo, un capitolo centrale dell’arte italiana del secondo Novecento.

In questo intreccio di Futurismo, Pop Art, televisione, brand e propaganda, la mostra di Sindelfingen si presenta come un prologo: un invito a leggere Schifano non come un artista che rappresenta il mondo, ma come un artista che ne interroga il modo stesso in cui lo vediamo. Attendiamo di vedere presto come l'artista "maledetto" più celebre degli anni '60 verrà raccontato di nuovo nel Belpaese.



Mario Schifano, Tutta propaganda, 1963 - Private Collection, Courtesy Gió Marconi, Milan