Dal 25 febbraio in mostra a Rovigo
Renoir in Italia, una rivoluzione in nome del classico
Pierre-Auguste Renoir, Après le bain, 1876 | Courtesy Belvedere, Vienna
Francesca Grego
24/02/2023
Rovigo - “Il problema dell'Italia è che è troppo bella. Le strade italiane sono gremite di dei pagani e personaggi biblici. Ogni donna che allatta un bambino è una Madonna di Raffaello!”, scriveva Pierre-Auguste Renoir nel 1881, quando, raggiunta la piena maturità artistica, intraprese un viaggio nel Belpaese alle radici dell’arte occidentale. Se a Venezia vide per la prima volta Tiepolo e Carpaccio, a Napoli scoprì le meraviglie della pittura pompeiana e Capri lo conquistò con la bellezza dei suoi paesaggi. Ma nulla lo colpì come Roma, splendente di luce e di tesori del Rinascimento: in primis gli affreschi di Raffaello a Villa Farnesina, mirabili per “la semplicità e la grandezza”.
Da domani, sabato 25 febbraio, fino al 25 giugno, la mostra Pierre-Auguste Renoir. L’alba di un nuovo classicismo racconterà l’incontro folgorante tra l’Italia e il maestro dell’Impressionismo, la cui pittura uscì profondamente rinnovata da questa esperienza. I visitatori di Palazzo Roverella avranno occasione di ammirare 47 opere del pittore giunte a Rovigo da collezioni italiane e internazionali, a confronto con i giganti del passato che lo ispirarono - Carpaccio, Tiziano, Romanino, Rubens, Tiepolo, Ingres, tra gli altri - nonché contemporanei come Boldini, De Nittis, Zandomeneghi - i cosiddetti italiens de Paris - e artisti di generazioni successive (De Chirico, De Pisis, Carrà…), da scoprire in stuzzicanti paralleli.
Dulcis in fundo, una chicca cinematografica firmata da Jean Renoir, figlio del pittore e celebre regista: in un film del 1936, il raro Una gita in campagna, Jean rese omaggio al padre evocando in eleganti inquadrature le scene e le atmosfere dei suoi dipinti. Nell’ultima sala della mostra sarà possibile ammirare in versione restaurata alcuni brani significativi della versione originale del film, con sottotitoli in italiano.

Pierre-Auguste Renoir, Nu au fauteuil, 1900 | Courtesy Kunsthaus, Zurigo
A Palazzo Roverella scopriremo un Renoir diverso dal solito, lontano dalla stagione impressionista con la quale siamo abituati ad associarlo: un Renoir monumentale, sontuoso e pacato al tempo stesso, “modernamente classico” anche se in modo tutto suo. Come spesso accade, tutto ebbe inizio da una crisi. A quarant’anni suonati, il grande pittore decise che l’Impressionismo aveva fatto il suo tempo. Alla ricerca di nuove strade, pensò di guardare indietro, verso la grande arte italiana. E per la sua pittura fu una rivoluzione. Ripercorrendo le tappe del Grand Tour del maestro in parallelo con la sua evoluzione artistica, la mostra ne racconterà crisi e rinascita, indagandone le sorprendenti conseguenze.

Armando Spadini, La famiglia a Villa Borghese, 1912-1913, Collezione Banco BPM | © Archivio Fotografico Banco BPM
“Fondendo la lezione di Raffaello e quella di Jean-Auguste Dominique Ingres, Renoir recupera un disegno nitido e un’attenzione alle volumetrie e alla monumentalità delle figure”, spiega il curatore Bolpagni. Prendendo le distanze dall’Impressionismo con una scelta controcorrente, Renoir persegue - in netto anticipo sui tempi - quella “moderna classicità” che sarebbe stata l’obiettivo di pittori e scultori almeno trent’anni dopo.

Giuseppe De Nittis, L'amaca, 1884 | Courtesy Raccolta Frugone, Genova
“Dipingendo in un possente stile neo-rinascimentale - racconta ancora il curatore Bolpagni - dove i toni caldi e scintillanti mutuati dal tardo Tiziano e da Rubens, così come dai settecenteschi Fragonard e Watteau, si coniugavano con i riferimenti a un’iconografia mitica e classicheggiante, Renoir anticipava il ritorno all’ordine” degli anni Venti e Trenta del XX secolo: “Un aspetto della sua produzione che non è stato sufficientemente messo a fuoco: quella che superficialmente è apparsa come un’involuzione era in realtà una premonizione di molta della pittura che si sarebbe sviluppata tra le due guerre”.

Pierre-Auguste Renoir, La bagnieuse blonde, 1882 | Courtesy Pinacoteca Agnelli, Torino
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Dulcis in fundo, una chicca cinematografica firmata da Jean Renoir, figlio del pittore e celebre regista: in un film del 1936, il raro Una gita in campagna, Jean rese omaggio al padre evocando in eleganti inquadrature le scene e le atmosfere dei suoi dipinti. Nell’ultima sala della mostra sarà possibile ammirare in versione restaurata alcuni brani significativi della versione originale del film, con sottotitoli in italiano.

Pierre-Auguste Renoir, Nu au fauteuil, 1900 | Courtesy Kunsthaus, Zurigo
A Palazzo Roverella scopriremo un Renoir diverso dal solito, lontano dalla stagione impressionista con la quale siamo abituati ad associarlo: un Renoir monumentale, sontuoso e pacato al tempo stesso, “modernamente classico” anche se in modo tutto suo. Come spesso accade, tutto ebbe inizio da una crisi. A quarant’anni suonati, il grande pittore decise che l’Impressionismo aveva fatto il suo tempo. Alla ricerca di nuove strade, pensò di guardare indietro, verso la grande arte italiana. E per la sua pittura fu una rivoluzione. Ripercorrendo le tappe del Grand Tour del maestro in parallelo con la sua evoluzione artistica, la mostra ne racconterà crisi e rinascita, indagandone le sorprendenti conseguenze.

Armando Spadini, La famiglia a Villa Borghese, 1912-1913, Collezione Banco BPM | © Archivio Fotografico Banco BPM
“Fondendo la lezione di Raffaello e quella di Jean-Auguste Dominique Ingres, Renoir recupera un disegno nitido e un’attenzione alle volumetrie e alla monumentalità delle figure”, spiega il curatore Bolpagni. Prendendo le distanze dall’Impressionismo con una scelta controcorrente, Renoir persegue - in netto anticipo sui tempi - quella “moderna classicità” che sarebbe stata l’obiettivo di pittori e scultori almeno trent’anni dopo.

Giuseppe De Nittis, L'amaca, 1884 | Courtesy Raccolta Frugone, Genova
“Dipingendo in un possente stile neo-rinascimentale - racconta ancora il curatore Bolpagni - dove i toni caldi e scintillanti mutuati dal tardo Tiziano e da Rubens, così come dai settecenteschi Fragonard e Watteau, si coniugavano con i riferimenti a un’iconografia mitica e classicheggiante, Renoir anticipava il ritorno all’ordine” degli anni Venti e Trenta del XX secolo: “Un aspetto della sua produzione che non è stato sufficientemente messo a fuoco: quella che superficialmente è apparsa come un’involuzione era in realtà una premonizione di molta della pittura che si sarebbe sviluppata tra le due guerre”.

Pierre-Auguste Renoir, La bagnieuse blonde, 1882 | Courtesy Pinacoteca Agnelli, Torino

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