Raffaello 500 ai Musei Vaticani
La Trasfigurazione, il capolavoro finale di Raffaello
Raffaello Sanzio e Giulio Romano, Trasfigurazione, 1518-1520, Tempera grassa su tavola, 279 x 410 cm, Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano | © Governatorato SCV - Direzione dei Musei
Piero Muscarà
08/04/2020
Divina. Perfetta. Inarrivabile. In una parola La Trasfigurazione. E’ l’ultima opera a portare la firma di Raffaello Sanzio da noi conosciuta. Il capolavoro finale, l’ultimo atto che il Principe del Rinascimento portò (quasi) a termine tra il 1518 e il 1520 e che fu come ricorda Vasari esposta nella stanza dove il corpo dell’urbinate giaceva immoto quel 6 aprile di 500 anni fa, nel giorno della sua morte, facendo “scoppiare l'anima di dolore a ognuno che quivi guardava”.
Come ha ricordato Andrea Dusio in un suo post di qualche giorno fa, La Trasfigurazione è un “capolavoro di composizione, un’opera su cui si sono formati per quasi tre secoli tutti coloro che dovevano imparare a come organizzare la dislocazione nello spazio dei personaggi in una scena di storia, dove la pittura doveva esprimere movimento e interazione” tra i protagonisti di una narrazione.
Nata su incarico di quel Cardinal Giulio de’ Medici, futuro pontefice col nome di Clemente VII dal 1523 al 1534, La Trasfigurazione in origine sarebbe dovuta andare ad adornare la Cattedrale di Narbonne dove lo stesso era stato ordinato vescovo nel 1515. Ma l’ultimo capolavoro di Raffaello non giunse in Francia che trecento anni più tardi perché il cardinale, dopo averlo veduto, volle trattenerlo nella sua collezione privata per poi donarlo alla Chiesa di San Pietro in Montorio a Roma dove rimase collocato sopra l’altare maggiore sino al 1797.
Oggi La Trasfigurazione fa parte delle collezioni dei Musei Vaticani ed è esposta al pubblico nella Pinacoteca Vaticana, nella sala VIII dell’edificio progettato dall’architetto Luca Beltrami e inaugurato nel 1932.
La perfezione del colore.
Innanzitutto va detto che l’imponente opera di Raffaello, che misura oltre 4 metri in altezza per 2 di larghezza, è una tempera grassa. Usa cioè quella tecnica che come ben spiegò De Chirico nel suo scritto del 1920 Pro Tempera Orathio “rimane tanto più luminosa dell’olio” mantenendo intatta nel tempo la propria luce e intensità.
I colori della Trasfigurazione ancora oggi destano immenso stupore in chi abbia la buona sorte di vederli dal vivo. Come scrisse il grande storico del Rinascimento Jacob Burckhardt nella Trasfigurazione vi è una forza e una armonia “quasi veneziana” dei colori, un combinarsi di sfumature inedite, eteree, per il Sanzio, tra il manto rosato e quello verde-blu delle due figure che affiancano il Cristo, per riprendere una consistenza terrena nella parte inferiore del quadro dove a sinistra dominano i colori caldi circondati da tonalità fredde, mentre al lato opposto il gioco si inverte.
E infine il bianco. Il travolgente emergere del corpo trasfigurato del Salvatore che è al centro della composizione. Non un mero candore, ma una vera e propria luce che trascina con se la promessa della salvezza ultraterrena che attende l’umanità, espressa dal Sanzio nella figura di quel Gesù sospeso in cielo, che miglior descrizione non avrebbe potuto dare al verso evangelico di Matteo che recita “il suo volto risplendette come il sole, le sue vesti divennero bianche come la luce”.
Una composizione a regola d’arte.
Tradizionalmente si descrive La Trasfigurazione come un’opera divisa su due piani, la parte alta, ritenuta esser dipinta per mano di Raffaello, e la parte inferiore che invece si ritiene sia stata completata dall’allievo e amico del Sanzio, Giulio Romano. E questa descrizione aiuta, in parte, a vedere gli aspetti esteriori dell’opera.
Il dipinto è una scena dinamica, non solo nel movimento e nella espressività dei protagonisti che vengono messi nella rappresentazione, ma anche in un prima e in un dopo che vengono descritti nella composizione. Il quadro di Raffaello infatti mette insieme due diversi passi del Vangelo, quello della trasfigurazione di Cristo vera e propria e quello del giovane affetto dal morbus lunaticus da cui inutilmente gli apostoli provano a scacciare il demonio che lo possiede. Solo Gesù, sceso dal Monte Tabor, riuscirà poi a liberarlo.
Nella parte alta dunque la rivelazione di Cristo nel suo magico corpo nuovo appare tra le nuvole celesti, accompagnata dai due profeti Elia e Isaia che ne annunciano l’arrivo tra gli uomini ai tre apostoli che siedono ai piedi della rappresentazione sopra un masso, sono Giacomo, Pietro e Giovanni, i quali sono anche i rappresentanti della Fede, della Speranza e dell’Amore. A corollario la parte alta a sinistra si completa con la presenza dei due santi in preghiera Giusto e Pastore a cui la cittadinanza di Narbonne, dove l’opera era destinata, sono devoti. Sullo sfondo a destra un mirabile paesaggio completa la composizione.
Nella parte inferiore del dipinto si descrive la scena con i nove altri apostoli che si accalcano intorno alla figura del fanciullo ossesso, che volge lo sguardo sbieco verso l’alto, impaurito, circondato dai membri della sua famiglia. Una donna inginocchiata in primo piano, il corpo quasi sinuoso nei movimenti, avvolta anch’essa da un'angelica luminosità che si distingue, pare il tramite attraverso cui si congiungono i due lati del dipinto nella parte inferiore.
Anonimo, Sudio per la trasfigurazione di Raffaello, Vienna, Albertina
Geometrie e simmetrie della Trasfigurazione.
L’analisi dei disegni preparatori ha messo in evidenza come in verità le due scene siano speculari, composte entrambe da due perfetti cerchi che si incrociano geometricamente nel centro dell’opera e che se formalmente le due scene paiono così differenti tra il sopra e il sotto, tra la simmetrica e astrattamente divina parte superiore, e la convulsa ed irregolare zona inferiore, tutto si ricompone in una perfetta armonia che si regge intorno all’asse verticale che taglia la composizione, nella direzione della rivelazione salvifica del figlio di Dio all’umanità.
Dal Cardinal de’Medici a Napoleone fino ad oggi.
La tavola venne commissionata da Giulio de’ Medici e come detto avrebbe dovuto adornare la Chiesa di Narbonne in Francia assieme alla Resurrezione di Lazzaro (oggi alla National Gallery di Londra) ordinata a Sebastiano del Piombo. L’opera venne poi esposta invece a Roma allaChiesa di San Pietro in Vincoli per quasi tre secoli.
Nel 1797 in ragione del Trattato di Tolentino con cui Napoleone impose a papa Pio VI di svuotare lo Stato Pontificio delle più preziose tra le opere d’arte custodite nei Musei Vaticani e nelle chiese del regno per portarle oltralpe, dove avrebbero dato corpo al Musée du Louvre, anche La Trasfigurazione finì a Parigi.
Ci vollero 19 anni di attesa e l’intensa sensibilità artistica e diplomatica di Antonio Canova per riuscire a riportare una parte di quelle opere trafugate dagli eserciti napoleonici e con esse La Trasfigurazione, nel 1816 di nuovo in Italia dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo.
Raffaello e non solo.
Il dipinto è l'ultimo eseguito da Raffaello che morì prima di completarlo il 6 aprile del 1520. Secondo molti storici La Trasfigurazione è un vero e proprio testamento spirituale dell’artista e fu sin da subito considerata, usando le parole di Giorgio Vasari, "la più celebrata, la più bella e la più divina” tra le opere del Principe delle arti. La parte inferiore fu probabilmente completata dall’allievo e amico di Raffaello Giulio Romano che tuttavia fu pagato 220 scudi in quanto ‘erede del Sanzio’ come attesta una lettera inviata dal Castiglione al Cardinal Giulio de’ Medici per perorarne la causa.
Come ha ricordato Andrea Dusio in un suo post di qualche giorno fa, La Trasfigurazione è un “capolavoro di composizione, un’opera su cui si sono formati per quasi tre secoli tutti coloro che dovevano imparare a come organizzare la dislocazione nello spazio dei personaggi in una scena di storia, dove la pittura doveva esprimere movimento e interazione” tra i protagonisti di una narrazione.
Nata su incarico di quel Cardinal Giulio de’ Medici, futuro pontefice col nome di Clemente VII dal 1523 al 1534, La Trasfigurazione in origine sarebbe dovuta andare ad adornare la Cattedrale di Narbonne dove lo stesso era stato ordinato vescovo nel 1515. Ma l’ultimo capolavoro di Raffaello non giunse in Francia che trecento anni più tardi perché il cardinale, dopo averlo veduto, volle trattenerlo nella sua collezione privata per poi donarlo alla Chiesa di San Pietro in Montorio a Roma dove rimase collocato sopra l’altare maggiore sino al 1797.
Oggi La Trasfigurazione fa parte delle collezioni dei Musei Vaticani ed è esposta al pubblico nella Pinacoteca Vaticana, nella sala VIII dell’edificio progettato dall’architetto Luca Beltrami e inaugurato nel 1932.
La perfezione del colore.
Innanzitutto va detto che l’imponente opera di Raffaello, che misura oltre 4 metri in altezza per 2 di larghezza, è una tempera grassa. Usa cioè quella tecnica che come ben spiegò De Chirico nel suo scritto del 1920 Pro Tempera Orathio “rimane tanto più luminosa dell’olio” mantenendo intatta nel tempo la propria luce e intensità.
I colori della Trasfigurazione ancora oggi destano immenso stupore in chi abbia la buona sorte di vederli dal vivo. Come scrisse il grande storico del Rinascimento Jacob Burckhardt nella Trasfigurazione vi è una forza e una armonia “quasi veneziana” dei colori, un combinarsi di sfumature inedite, eteree, per il Sanzio, tra il manto rosato e quello verde-blu delle due figure che affiancano il Cristo, per riprendere una consistenza terrena nella parte inferiore del quadro dove a sinistra dominano i colori caldi circondati da tonalità fredde, mentre al lato opposto il gioco si inverte.
E infine il bianco. Il travolgente emergere del corpo trasfigurato del Salvatore che è al centro della composizione. Non un mero candore, ma una vera e propria luce che trascina con se la promessa della salvezza ultraterrena che attende l’umanità, espressa dal Sanzio nella figura di quel Gesù sospeso in cielo, che miglior descrizione non avrebbe potuto dare al verso evangelico di Matteo che recita “il suo volto risplendette come il sole, le sue vesti divennero bianche come la luce”.
Una composizione a regola d’arte.
Tradizionalmente si descrive La Trasfigurazione come un’opera divisa su due piani, la parte alta, ritenuta esser dipinta per mano di Raffaello, e la parte inferiore che invece si ritiene sia stata completata dall’allievo e amico del Sanzio, Giulio Romano. E questa descrizione aiuta, in parte, a vedere gli aspetti esteriori dell’opera.
Il dipinto è una scena dinamica, non solo nel movimento e nella espressività dei protagonisti che vengono messi nella rappresentazione, ma anche in un prima e in un dopo che vengono descritti nella composizione. Il quadro di Raffaello infatti mette insieme due diversi passi del Vangelo, quello della trasfigurazione di Cristo vera e propria e quello del giovane affetto dal morbus lunaticus da cui inutilmente gli apostoli provano a scacciare il demonio che lo possiede. Solo Gesù, sceso dal Monte Tabor, riuscirà poi a liberarlo.
Nella parte alta dunque la rivelazione di Cristo nel suo magico corpo nuovo appare tra le nuvole celesti, accompagnata dai due profeti Elia e Isaia che ne annunciano l’arrivo tra gli uomini ai tre apostoli che siedono ai piedi della rappresentazione sopra un masso, sono Giacomo, Pietro e Giovanni, i quali sono anche i rappresentanti della Fede, della Speranza e dell’Amore. A corollario la parte alta a sinistra si completa con la presenza dei due santi in preghiera Giusto e Pastore a cui la cittadinanza di Narbonne, dove l’opera era destinata, sono devoti. Sullo sfondo a destra un mirabile paesaggio completa la composizione.
Nella parte inferiore del dipinto si descrive la scena con i nove altri apostoli che si accalcano intorno alla figura del fanciullo ossesso, che volge lo sguardo sbieco verso l’alto, impaurito, circondato dai membri della sua famiglia. Una donna inginocchiata in primo piano, il corpo quasi sinuoso nei movimenti, avvolta anch’essa da un'angelica luminosità che si distingue, pare il tramite attraverso cui si congiungono i due lati del dipinto nella parte inferiore.
Anonimo, Sudio per la trasfigurazione di Raffaello, Vienna, Albertina
Geometrie e simmetrie della Trasfigurazione.
L’analisi dei disegni preparatori ha messo in evidenza come in verità le due scene siano speculari, composte entrambe da due perfetti cerchi che si incrociano geometricamente nel centro dell’opera e che se formalmente le due scene paiono così differenti tra il sopra e il sotto, tra la simmetrica e astrattamente divina parte superiore, e la convulsa ed irregolare zona inferiore, tutto si ricompone in una perfetta armonia che si regge intorno all’asse verticale che taglia la composizione, nella direzione della rivelazione salvifica del figlio di Dio all’umanità.
Dal Cardinal de’Medici a Napoleone fino ad oggi.
La tavola venne commissionata da Giulio de’ Medici e come detto avrebbe dovuto adornare la Chiesa di Narbonne in Francia assieme alla Resurrezione di Lazzaro (oggi alla National Gallery di Londra) ordinata a Sebastiano del Piombo. L’opera venne poi esposta invece a Roma allaChiesa di San Pietro in Vincoli per quasi tre secoli.
Nel 1797 in ragione del Trattato di Tolentino con cui Napoleone impose a papa Pio VI di svuotare lo Stato Pontificio delle più preziose tra le opere d’arte custodite nei Musei Vaticani e nelle chiese del regno per portarle oltralpe, dove avrebbero dato corpo al Musée du Louvre, anche La Trasfigurazione finì a Parigi.
Ci vollero 19 anni di attesa e l’intensa sensibilità artistica e diplomatica di Antonio Canova per riuscire a riportare una parte di quelle opere trafugate dagli eserciti napoleonici e con esse La Trasfigurazione, nel 1816 di nuovo in Italia dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo.
Raffaello e non solo.
Il dipinto è l'ultimo eseguito da Raffaello che morì prima di completarlo il 6 aprile del 1520. Secondo molti storici La Trasfigurazione è un vero e proprio testamento spirituale dell’artista e fu sin da subito considerata, usando le parole di Giorgio Vasari, "la più celebrata, la più bella e la più divina” tra le opere del Principe delle arti. La parte inferiore fu probabilmente completata dall’allievo e amico di Raffaello Giulio Romano che tuttavia fu pagato 220 scudi in quanto ‘erede del Sanzio’ come attesta una lettera inviata dal Castiglione al Cardinal Giulio de’ Medici per perorarne la causa.
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