Nel 1505 a Urbino e il tema della lotta del bene contro il male
Quando Raffaello combatteva i Draghi
Raffaello Sanzio, San MIchele e il Drago, 1505, Olio su tavola, 30 x 26 cm, Parigi, Musée du Louvre
Piero Muscarà
26/03/2020
Per Raffaello, il poeta della bellezza rinascimentale, il pittore i cui trionfi sono legati ad impareggiabili ritratti, meravigliose Madonne e storie di Santi e di filosofi, il 1505 è un anno particolare. Il giovane Sanzio infatti in quel periodo si divideva tra l'Umbria e le Marche, tra Urbino, luogo natio, e Perugia dove aveva bottega il suo Maestro Perugino.
Ed è di quel periodo la produzione di tre piccoli dipinti a olio su tavola che furono commissionati al giovanissimo pittore. Si tratta di uno straordinario San Michele e il Drago e di due diverse rappresentazioni di San Giorgio e il Drago, una oggi a Parigi al Louvre l'altra negli Stati Uniti alla National Gallery di Washington.
Uno di essi - il San Giorgio che è a Washington - certamente fu richiesto a Raffaello da Guidobaldo da Montefeltro, terzo duca di Urbino, un valente condottiero, Capitano Generale e Gonfaloniere di Santa Romana Chiesa, alleato della Santa Sede contro il Regno di Napoli prima e il Re di Francia poi, che da soli due anni era rientrato in possesso del ducato, dopo un lungo esilio tra Ravenna e Mantova, grazie all'elezione a Papa di Giulio II, il papa "guerriero". E' un periodo storico di grandi cambiamenti, di complotti, trame e intrighi quello a cavallo tra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento.
E' forse dunque Guidalberto stesso, che fu l'ultimo dei Montefeltro a regnare su Urbino, a chiedere a Raffaello di realizzare anche gli altri due dipinti che hanno al centro della rappresentazione il medesimo tema? E' una tesi non suffragata ancora dalla ricerca degli storici dell'arte, ma che senz'altro affascina. Il tema è infatti per tutte e tre le opere quello della lotta del bene contro il male, metaforicamente simboleggiata dalla figura mitologica dei Draghi.
Le opere sono molto piccole, tutte intorno ai 30 centimetri di altezza per 27 di larghezza, quindi facilmente trasportabili, tutte realizzate ad olio su tavola e forse tutte e tre destinate ad essere doni che il Montefeltro intendeva fare ad altri dignitari europei, come segno di riconoscimento e ringraziamento per i favori ricevuti. La bellezza dunque come strumento della politica e della diplomazia. Arte come propaganda.
Raffaello Sanzio, San MIchele e il Drago, 1505, Olio su tavola, 30 x 26 cm, Parigi, Musée du Louvre
San Michele e il Drago
Delle tre opere quella a destare maggior stupore è senza dubbio San Michele e il Drago. La piccola tavola, oggi anch'essa nelle collezioni del museo parigino del Louvre, è una straordinaria meraviglia. La scena e l'ambientazione innanzitutto. La scelta dei colori, le figure rappresentate. L'innesto di storie all'interno del contesto del racconto religioso. Una summa di diversità che in poche altre opere di Raffaello abbiamo visto prima.
Al centro del dipinto il protagonista è l'Arcangelo Michele che dopo aver vinto gli Angeli ribelli, getta il mostro satanico a terra e si accinge, mentre lo schiaccia con il piede sinistro e con la spada sollevata, a decapitarlo. San Michele pare essere appena giunto volando dal cielo, le ali spiegate, la gamba destra sospesa, il drappo rigonfio del vento sotto la lucida corazza. Un'idea di movimento, di divenire dell'azione che squacia la scena e che aggiunge una forza al colpo mortale al dragone che l'Angelo di Dio sta per sferrare. La rappresentazione in questo senso descrive con precisione, quasi cinematograficamente, i passi del Libro dell'Apocalisse di San Giovanni.
Ma c'è anche Dante Alighieri
In San Michele e il Drago c'è di più. Nel Piccolo San Michele Raffaello aggiunge alla drammatica scena anche Dante Alighieri che aiuta il pittore urbinate a descrivere il mondo che lo circonda. E' una apocalisse, è un'inferno. E' l'Inferno di Dante e della Divina Commedia quello che si vede di sfondo in questa piccola tavola. In particolare Raffaello sceglie due Canti, il IX Canto dell'Inferno - i dannati della VI Bolgia, gli ipocriti, e quelli della VII Bolgia, i ladri - e il X Canto dell'Inferno, con gli eretici.
Un bel terzetto nel San Michele: eretici, ipocriti e ladri
A sinistra sullo sfondo di una città infuocata, che la Divina Commedia individua nella città di Dite, bruciano gli eretici. Lì una distesa di sepolcri arde eternamente, lì vi sono i dannati "che l'anima col corpo morta fanno" ,cioè coloro che in vita non credettero nell'immortalità dell'anima. E' anche probabilmente il peccato a cui sono condannati i ribelli, coloro che osarono sfidare il primato di Pietro, del Papa?
Più ravvicinata la scena che segue sempre sul lato sinistro del dipinto. Qui è un gruppo di uomini incappucciati che avanza lentamente. Per Dante sono gli ipocriti, coloro che sotto il manto d'oro (l'etimologia della parola deriva dal greco antico, da ypo che significa 'sotto' e da crisis che vuol dire 'oro') portano una pesante veste in piombo. Per questo camminano eternamente con dolore e lentezza. Gli ipocriti, specie in ambito politico, in vita si comportarono in modo diverso dalle loro reali intenzioni. Un altro messaggio dunque molto preciso.
Infine i ladri sulla destra del dipinto, qui rappresentati come in Dante, da dei bambini attaccati dai serpenti. I ladri per il sommo poeta corrono nudi in mezzo a serpenti di ogni tipo che legano loro le mani dietro la schiena, per poi subire delle mostruose trasformazioni. E così Raffaello li dipinge.
Il colore rosso, un predominio apocalittico
La dominanza del rosso e delle terre nei colori di questo dipinto è un altro elemento di grande originalità per Raffaello. Solo in parte lo si ritrova (nella veste della Vergine) nella Madonna di Pasadena. Ma in generale guardando la vasta produzione di opere del pittore urbinate è un paesaggio decisamente inconsueto quello descritto nella scena del San Michele. E' l'inferno, l'apocalisse. Non sono i consueti dolci paesaggi italiani cui il poeta del Rinascimento ci ha abituati. La scelta di questi colori è per molti versi davvero spiazzante.
Il Drago e i mostri: un omaggio a Hieronymus Bosch
Altrettanto stupefacente, se non unico è il chiaro rimando che in quest'opera Raffaello fa alla tradizione pittorica del Nord Europa. Certamente si ritrova Memling, ma ancor più evidente è il richiamo a Hieronymus Bosch che in quegli anni aveva soggiornato in Italia a Venezia.
Il drago e i mostri sul dipinto di Raffaello, ma la scena tutta del San Michele, se si eccettua la figura comunque pura e incantata dell'Angelo vendicatore, paiono proprio un'opera di Bosch. Le deformità, le contorsioni della bestia, la lingua che pende dalla bocca, e che dire poi degli altri misteriosi mostriciattoli che punteggiano il piccolo dipinto? Pare di trovarsi proiettati nel Polittico delle Visioni dell'Aldilà nella Sala di Bosch a Palazzo Gimani a Venezia.
San Giorgio e il Drago (Louvre)
Il primo dei due San Giorgio di Raffaello è quello del Louvre. Secondo diverse ipotesi avrebbe fatto parte di un dittico assieme al San MIchele. Altri sostengono invece che a comporre il doppio sarebbe una quarta, misteriosa opera, andata perduta.
In ogni caso, qui il tono e i colori sono decisamente più affini all'idea che comunemente si ha di Raffaello.
La scena si svolge sullo sfondo di un bel paesaggio collinare umbro, il cielo è azzurro, il panorama dolce. San Giorgio è a cavallo nell'attimo in cui sta per sferrare il colpo di spada per uccidere il Drago. La lancia a terra spezzata. Anche qui il movimento è un tema centrale nell'opera. Tutta la scena è impostata efficacemente lungo la diagonale, con un richiamo tra l'estremo tentativo di assalto della feroce bestia, il cavallo che si impenna, e il santo che si accinge a vincere sul drago con la sua lucente spada. Sullo sfondo una principessa fugge impaurita.
Più semplici sono i riferimenti di quest'opera. Certamente è evidente l'influenza di Leonardo da Vinci che Raffaello riprende soprattutto nella figura del cavallo imbizzarrito.
Raffaello Sanzio, San Giorgio e il Drago, 1505, Olio su tavola, 28.5 x 31.5 cm, National Gallery Washington
San Giorgio e il Drago (Washington)
Di nuovo il San Giorgio che è alla National Gallery si svolge sullo sfondo di un ameno panorama collinare dell'Umbria. Qui San Giorgio sta infilzando il Drago con una lunga lancia. L'opera in questo caso è invece costruita intorno a linee ortogonali, che formano perfetti angoli retti. In questa grande X, una linea è costituita dalla gamba del cavaliere e dalla sua picca, l'altra dal corpo disteso del mostro, cui fa di rimando il bianco puledro che cavalca il Santo. Sullo sfondo sempre una principessa liberata.
La storia di Guidobaldo da Montefeltro e il San Giorgio
Delle tre opere, dicevamo, questa è quella che certamente fu commissionata dal Duca di Urbino a Raffaello. Guidobaldo la chiese al pittore per farne dono al re d'Inghilterra, Enrico VII della dinastia dei Tudor quale ringraziamento per il conferimento dell'Ordine della Giarrettiera: una giarrettiera al polpaccio del cavaliere, recita l'iscrizione "Honi" che è la prima parola del motto dell'ordine ("Honi soit qui mal y pense", "Sia vituperato chi ne pensa male"). Il dipinto fu consegnato al re d'oltremanica per tramite del letterato e cortigiano Baldassarre Castiglione (anch'egli protagonista di un altro celebre ritratto di Raffaello) che glielo fece recapitare per tramite di un suo emissario, Gilbert Talbot.
Il destino delle tre opere coi Draghi di Raffaello
Le vicissitudini delle tre opere del Sanzio con soggetto i Draghi sono state differenti. Le due opere oggi al Louvre giungono a Parigi per tramite di Ascanio Sforza nella collezione privata del successore del cardinale Richelieu, quel cardinale Mazzarino che servì come Principale Ministro il regno di Luigi XIV per poi finire nella collezione del Re di Francia e dunque oggi al grande museo parigino.
Del San Giorgio di Washington si sa per certo che fece parte della collezione prima del duca di Pembroke, poi di Carlo I d'Inghilterra e infine dopo la decapitazione del monarca varcò la manica per arrivare nei possedimenti del marchese Charles d'Escoubleau e per varie vicissitudini nelle collezioni del 'borghese' Pierre Crozat. Di lì nel 1772 fu acquistato, con l'intermediazione di Denis Diderot, da Caterina II di Russia che lo mise al centro della propria collezione in quello che poi divenne il Museo dell'Ermitage. Dopo la Rivoluzione Russa, Stalin a cui evidentemente Raffaello non piaceva troppo, decise di mettere l'opera segretamente sul mercato dove fu acquisita dal magnate americano Andrew Mellon che l'acquistò per l'esorbitante cifra di 6 milioni e mezzo di dollari nel 1931. Da Museo Mellon entrò poi a far parte della National Gallery di Washington. Un film insomma.
Ed è di quel periodo la produzione di tre piccoli dipinti a olio su tavola che furono commissionati al giovanissimo pittore. Si tratta di uno straordinario San Michele e il Drago e di due diverse rappresentazioni di San Giorgio e il Drago, una oggi a Parigi al Louvre l'altra negli Stati Uniti alla National Gallery di Washington.
Uno di essi - il San Giorgio che è a Washington - certamente fu richiesto a Raffaello da Guidobaldo da Montefeltro, terzo duca di Urbino, un valente condottiero, Capitano Generale e Gonfaloniere di Santa Romana Chiesa, alleato della Santa Sede contro il Regno di Napoli prima e il Re di Francia poi, che da soli due anni era rientrato in possesso del ducato, dopo un lungo esilio tra Ravenna e Mantova, grazie all'elezione a Papa di Giulio II, il papa "guerriero". E' un periodo storico di grandi cambiamenti, di complotti, trame e intrighi quello a cavallo tra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento.
E' forse dunque Guidalberto stesso, che fu l'ultimo dei Montefeltro a regnare su Urbino, a chiedere a Raffaello di realizzare anche gli altri due dipinti che hanno al centro della rappresentazione il medesimo tema? E' una tesi non suffragata ancora dalla ricerca degli storici dell'arte, ma che senz'altro affascina. Il tema è infatti per tutte e tre le opere quello della lotta del bene contro il male, metaforicamente simboleggiata dalla figura mitologica dei Draghi.
Le opere sono molto piccole, tutte intorno ai 30 centimetri di altezza per 27 di larghezza, quindi facilmente trasportabili, tutte realizzate ad olio su tavola e forse tutte e tre destinate ad essere doni che il Montefeltro intendeva fare ad altri dignitari europei, come segno di riconoscimento e ringraziamento per i favori ricevuti. La bellezza dunque come strumento della politica e della diplomazia. Arte come propaganda.
Raffaello Sanzio, San MIchele e il Drago, 1505, Olio su tavola, 30 x 26 cm, Parigi, Musée du Louvre
San Michele e il Drago
Delle tre opere quella a destare maggior stupore è senza dubbio San Michele e il Drago. La piccola tavola, oggi anch'essa nelle collezioni del museo parigino del Louvre, è una straordinaria meraviglia. La scena e l'ambientazione innanzitutto. La scelta dei colori, le figure rappresentate. L'innesto di storie all'interno del contesto del racconto religioso. Una summa di diversità che in poche altre opere di Raffaello abbiamo visto prima.
Al centro del dipinto il protagonista è l'Arcangelo Michele che dopo aver vinto gli Angeli ribelli, getta il mostro satanico a terra e si accinge, mentre lo schiaccia con il piede sinistro e con la spada sollevata, a decapitarlo. San Michele pare essere appena giunto volando dal cielo, le ali spiegate, la gamba destra sospesa, il drappo rigonfio del vento sotto la lucida corazza. Un'idea di movimento, di divenire dell'azione che squacia la scena e che aggiunge una forza al colpo mortale al dragone che l'Angelo di Dio sta per sferrare. La rappresentazione in questo senso descrive con precisione, quasi cinematograficamente, i passi del Libro dell'Apocalisse di San Giovanni.
Ma c'è anche Dante Alighieri
In San Michele e il Drago c'è di più. Nel Piccolo San Michele Raffaello aggiunge alla drammatica scena anche Dante Alighieri che aiuta il pittore urbinate a descrivere il mondo che lo circonda. E' una apocalisse, è un'inferno. E' l'Inferno di Dante e della Divina Commedia quello che si vede di sfondo in questa piccola tavola. In particolare Raffaello sceglie due Canti, il IX Canto dell'Inferno - i dannati della VI Bolgia, gli ipocriti, e quelli della VII Bolgia, i ladri - e il X Canto dell'Inferno, con gli eretici.
Un bel terzetto nel San Michele: eretici, ipocriti e ladri
A sinistra sullo sfondo di una città infuocata, che la Divina Commedia individua nella città di Dite, bruciano gli eretici. Lì una distesa di sepolcri arde eternamente, lì vi sono i dannati "che l'anima col corpo morta fanno" ,cioè coloro che in vita non credettero nell'immortalità dell'anima. E' anche probabilmente il peccato a cui sono condannati i ribelli, coloro che osarono sfidare il primato di Pietro, del Papa?
Più ravvicinata la scena che segue sempre sul lato sinistro del dipinto. Qui è un gruppo di uomini incappucciati che avanza lentamente. Per Dante sono gli ipocriti, coloro che sotto il manto d'oro (l'etimologia della parola deriva dal greco antico, da ypo che significa 'sotto' e da crisis che vuol dire 'oro') portano una pesante veste in piombo. Per questo camminano eternamente con dolore e lentezza. Gli ipocriti, specie in ambito politico, in vita si comportarono in modo diverso dalle loro reali intenzioni. Un altro messaggio dunque molto preciso.
Infine i ladri sulla destra del dipinto, qui rappresentati come in Dante, da dei bambini attaccati dai serpenti. I ladri per il sommo poeta corrono nudi in mezzo a serpenti di ogni tipo che legano loro le mani dietro la schiena, per poi subire delle mostruose trasformazioni. E così Raffaello li dipinge.
Il colore rosso, un predominio apocalittico
La dominanza del rosso e delle terre nei colori di questo dipinto è un altro elemento di grande originalità per Raffaello. Solo in parte lo si ritrova (nella veste della Vergine) nella Madonna di Pasadena. Ma in generale guardando la vasta produzione di opere del pittore urbinate è un paesaggio decisamente inconsueto quello descritto nella scena del San Michele. E' l'inferno, l'apocalisse. Non sono i consueti dolci paesaggi italiani cui il poeta del Rinascimento ci ha abituati. La scelta di questi colori è per molti versi davvero spiazzante.
Il Drago e i mostri: un omaggio a Hieronymus Bosch
Altrettanto stupefacente, se non unico è il chiaro rimando che in quest'opera Raffaello fa alla tradizione pittorica del Nord Europa. Certamente si ritrova Memling, ma ancor più evidente è il richiamo a Hieronymus Bosch che in quegli anni aveva soggiornato in Italia a Venezia.
Il drago e i mostri sul dipinto di Raffaello, ma la scena tutta del San Michele, se si eccettua la figura comunque pura e incantata dell'Angelo vendicatore, paiono proprio un'opera di Bosch. Le deformità, le contorsioni della bestia, la lingua che pende dalla bocca, e che dire poi degli altri misteriosi mostriciattoli che punteggiano il piccolo dipinto? Pare di trovarsi proiettati nel Polittico delle Visioni dell'Aldilà nella Sala di Bosch a Palazzo Gimani a Venezia.
Raffaello Sanzio, San Giorgio e il Drago, 1505, Olio su tavola, Parigi, Musée du Louvre
San Giorgio e il Drago (Louvre)
Il primo dei due San Giorgio di Raffaello è quello del Louvre. Secondo diverse ipotesi avrebbe fatto parte di un dittico assieme al San MIchele. Altri sostengono invece che a comporre il doppio sarebbe una quarta, misteriosa opera, andata perduta.
In ogni caso, qui il tono e i colori sono decisamente più affini all'idea che comunemente si ha di Raffaello.
La scena si svolge sullo sfondo di un bel paesaggio collinare umbro, il cielo è azzurro, il panorama dolce. San Giorgio è a cavallo nell'attimo in cui sta per sferrare il colpo di spada per uccidere il Drago. La lancia a terra spezzata. Anche qui il movimento è un tema centrale nell'opera. Tutta la scena è impostata efficacemente lungo la diagonale, con un richiamo tra l'estremo tentativo di assalto della feroce bestia, il cavallo che si impenna, e il santo che si accinge a vincere sul drago con la sua lucente spada. Sullo sfondo una principessa fugge impaurita.
Più semplici sono i riferimenti di quest'opera. Certamente è evidente l'influenza di Leonardo da Vinci che Raffaello riprende soprattutto nella figura del cavallo imbizzarrito.
Raffaello Sanzio, San Giorgio e il Drago, 1505, Olio su tavola, 28.5 x 31.5 cm, National Gallery Washington
San Giorgio e il Drago (Washington)
Di nuovo il San Giorgio che è alla National Gallery si svolge sullo sfondo di un ameno panorama collinare dell'Umbria. Qui San Giorgio sta infilzando il Drago con una lunga lancia. L'opera in questo caso è invece costruita intorno a linee ortogonali, che formano perfetti angoli retti. In questa grande X, una linea è costituita dalla gamba del cavaliere e dalla sua picca, l'altra dal corpo disteso del mostro, cui fa di rimando il bianco puledro che cavalca il Santo. Sullo sfondo sempre una principessa liberata.
La storia di Guidobaldo da Montefeltro e il San Giorgio
Delle tre opere, dicevamo, questa è quella che certamente fu commissionata dal Duca di Urbino a Raffaello. Guidobaldo la chiese al pittore per farne dono al re d'Inghilterra, Enrico VII della dinastia dei Tudor quale ringraziamento per il conferimento dell'Ordine della Giarrettiera: una giarrettiera al polpaccio del cavaliere, recita l'iscrizione "Honi" che è la prima parola del motto dell'ordine ("Honi soit qui mal y pense", "Sia vituperato chi ne pensa male"). Il dipinto fu consegnato al re d'oltremanica per tramite del letterato e cortigiano Baldassarre Castiglione (anch'egli protagonista di un altro celebre ritratto di Raffaello) che glielo fece recapitare per tramite di un suo emissario, Gilbert Talbot.
Il destino delle tre opere coi Draghi di Raffaello
Le vicissitudini delle tre opere del Sanzio con soggetto i Draghi sono state differenti. Le due opere oggi al Louvre giungono a Parigi per tramite di Ascanio Sforza nella collezione privata del successore del cardinale Richelieu, quel cardinale Mazzarino che servì come Principale Ministro il regno di Luigi XIV per poi finire nella collezione del Re di Francia e dunque oggi al grande museo parigino.
Del San Giorgio di Washington si sa per certo che fece parte della collezione prima del duca di Pembroke, poi di Carlo I d'Inghilterra e infine dopo la decapitazione del monarca varcò la manica per arrivare nei possedimenti del marchese Charles d'Escoubleau e per varie vicissitudini nelle collezioni del 'borghese' Pierre Crozat. Di lì nel 1772 fu acquistato, con l'intermediazione di Denis Diderot, da Caterina II di Russia che lo mise al centro della propria collezione in quello che poi divenne il Museo dell'Ermitage. Dopo la Rivoluzione Russa, Stalin a cui evidentemente Raffaello non piaceva troppo, decise di mettere l'opera segretamente sul mercato dove fu acquisita dal magnate americano Andrew Mellon che l'acquistò per l'esorbitante cifra di 6 milioni e mezzo di dollari nel 1931. Da Museo Mellon entrò poi a far parte della National Gallery di Washington. Un film insomma.
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