Da Rembrandt a Frida Kahlo, a tu per tu con i grandi dell’arte

Artisti allo specchio. Cinque autoritratti per incontri ravvicinati

Gian Lorenzo Bernini (1598 - 1680), Autoritratto giovanile, 1623 circa, Olio su tela, 38 x 30 cm, Roma, Galleria Borghese
 

Francesca Grego

07/05/2020

Ogni quadro ci parla del suo autore. Ma mettersi davanti allo specchio con l’intento di raccontarsi è un’altra cosa. Ritrarre il proprio volto è una sfida, un messaggio, un esercizio di libertà, una dichiarazione d’amore - o di conflitto - verso se stessi. Se un tempo gli artisti si ritagliavano all’interno di un dipinto un angolo seminascosto, quasi lo spazio di una firma, dal Rinascimento in poi l’autoritratto si impone in piena autonomia, in parallelo con il prestigio che cresce intorno alla figura del pittore. Dürer, Raffaello, Tintoretto, Tiziano, Velázquez si presentano ufficialmente al mondo attraverso un’immagine. Celarsi in un dettaglio - come per van Eyck nel Ritratto dei coniugi Arnolfini, Mantegna nella Camera degli Sposi - o nel corpo di un’eroe, come Artemisia Gentileschi nella sua Giuditta e Caravaggio nella testa di Golia, insomma, sarà una scelta e non una necessità.

Ma anche in epoca moderna l’autoritratto resta una tentazione irresistibile: l’idea dell’artista come individuo eccezionale e un nuovo gusto per l’introspezione porteranno Courbet a ritrarsi con le mani tra i capelli e lo sguardo allucinato, Gauguin con il volto che somiglia ad una maschera arcaica, Picasso a trafiggere lo sguardo dello spettatore dal profondo del suo Periodo Blu, Francis Bacon e Lucian Freud ad indagare il proprio corpo come la carne dell’arte.

In tempi diversi, ci sono stati artisti che hanno fatto della propria immagine il filo rosso di una carriera. Scopriamoli in un viaggio tra capolavori dipinti allo specchio.


Rembrandt van Rijn (1606 - 1669), Autoritratto con due cerchi, 1665-1669, Olio su tela, 114.3 x 94 cm, Camden, Kenwood House

Rembrandt van Rijn, Autoritratto con tavolozza e pennelli
Nessun artista ci ha lasciato tanti autoritratti come Rembrandt. Il suo volto ci è noto in ogni fase della vita adulta grazie a più di 40 dipinti, almeno 30 incisioni e 12 disegni, che - fatto raro all’epoca - il Maestro realizzò unicamente per se stesso, sperimentando in piena libertà le potenzialità espressive del colore. Inizialmente si mostra in insoliti costumi, indossando di volta in volta la maschera del soldato, del borghese, del principe o del mendicante. Più tardi rivelerà una profonda vena introspettiva e una rara consapevolezza del proprio ruolo di pittore. Nell’Autoritratto con tavolozza e pennelli (Autoritratto con due cerchi) conservato a Kenwood House, Londra, l’artista ormai sessantreenne sembra essere tutt’uno con gli strumenti del mestiere: le attività fervono nell’atelier di Amsterdam. Lo sguardo penetrante lascia trapelare un’inquietudine malinconica, dovuta forse alle difficoltà che costellarono la seconda parte della sua vita, mentre i cerchi disegnati sulla parete alle spalle dell’artista hanno stimolato numerose ipotesi: simboli della Cabala, mappamondi stilizzati o allegorie dell’universalità della pittura? La domanda è ancora aperta.


Vincent van Gogh (1853 - 1890), Autoritratto con cappello di feltro grigio, Tra settembre e ottobre 1887, Olio su tela, 44 x 37.5 cm, Amsterdam, Van Gogh Museum

Vincent van Gogh, Autoritratto con cappello di feltro grigio
“Preferisco dipingere gli occhi degli uomini che le cattedrali”, scrisse una volta Vincent van Gogh. Ma il solitario pittore olandese faticava a trovare modelli disposti a posare per i suoi quadri e così fece di necessità virtù, regalandoci 43 autoritratti in soli dieci anni. Cercando “una somiglianza più profonda di quella ottenuta da un fotografo”, Van Gogh scruta negli abissi del proprio animo, mentre sperimenta con la rappresentazione delle immagini allo specchio, come notiamo dalla frequente inversione tra destra e sinistra. L’Autoritratto con cappello di feltro del Van Gogh Museum di Amsterdam è il primo quadro noto con se stesso come soggetto. Durante il suo breve soggiorno a Parigi, l’artista si dipinge vestito alla moda della capitale francese. L’incontro con Seurat e gli Impressionisti ha portato aria nuova nella sua pittura: la tavolozza si schiarisce, le pennellate veloci e dinamiche puntano sull’accostamento dei colori complementari nella resa di forme, spazi e luci.



Frida Kahlo, Autoritratto con collana di spine e colibrì, 1940, Olio su lamina metallica, 63.5 x 49.5 cm, Nickolas Muray Collection Austin, University of Texas, Harry Ransom Center | © Banco de México Diego Rivera & Frida Kahlo Museums Trust

Frida Kahlo, Autoritratto con collana di spine e colibrì
La prima opera della Kahlo fu un autoritratto, che donò al ragazzo di cui era innamorata mentre era costretta al letto dall’incidente che ne segnò il destino. Per permetterle di guardarsi, la madre installò uno specchio proprio sul baldacchino e per la giovane artista fu naturale fare di se stessa il soggetto d’elezione della propria pittura. Nella sua produzione gli autoritratti rappresentano di gran lunga il genere prevalente: humour e sofferenza, sogno e realtà, interno ed esterno del corpo convivono nelle piccole tele di sapore surrealista che dell’immagine di Frida hanno fatto un’icona. Nell’Autoritratto con collana di spine e colibrì conservato all’Harry Ransom Center di Austin, in Texas, l’artista mette in scena il proprio mondo interiore attraverso l’esuberante natura del Messico. Foglie verdi e carnose, farfalle e libellule, una scimmia ragno, un piccolo colibrì e un gatto nero compongono intorno al suo volto un microcosmo dal potente valore simbolico, mentre una collana di spine le cinge il collo. Frida si è da poco separata da Diego Rivera, l’amore di una vita: morte e resurrezione si intrecciano sulla tela attraverso riferimenti alla biografia della pittrice e al folklore messicano.


Egon Schiele, Autoritratto con alchechengi, 1912, Olio su tela, 39.8 x 32.2 cm, Vienna, Leopold Museum

Egon Schiele, Autoritratto con alchechengi
Siamo nei primi decenni del XX secolo e le nuove idee di Freud percorrono l’Europa: a Vienna Schiele è il primo a trasformarle in arte sulla propria pelle. Muse e modelle si alternano nei suoi dipinti, ma l’indagine sul sé resta una costante. Se il corpo è il soggetto favorito, quello dell’artista è il punto di partenza per esperimenti ed esplorazioni impietose. Dal sesso alla malattia o alla morte, retroscena e fragilità umane approdano sulle tele di un autore che ha il coraggio di parlare in prima persona. Nudi che fecero scandalo e audaci primi piani sono oggi le occasioni per un viaggio completo nello sguardo che Schiele riservò a se stesso. Al Leopold Museum di Vienna, tempio del pittore novecentesco, una delle opere più ammirate è l’Autoritratto con alchechengi. Segno grafico, uso raffinato dei colori e uno stile che ricorda l’Espressionismo si incontrano su questa tela quadrata concepita insieme al Ritratto di Wally Neuzil, storica musa e amante dell’artista. Davanti alle volute di una pianta esotica, il volto di Schiele è spigoloso, lo sguardo tormentato, la tensione emotiva arriva fino a noi.


Gian Lorenzo Bernini (1598 - 1680), Autoritratto in età matura, 1638-1640, Roma, Galleria Borghese | Courtesy Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - Galleria Borghese

Gian Lorenzo Bernini, Autoritratto in età matura
Oltre che nei capolavori della scultura barocca, la personalità “tutto fuoco” del Maestro seicentesco si rivela in una notevole serie di autoritratti dipinti. Può sembrare strano, ma l’autore del Ratto di Proserpina si sentiva “più pittore che scultore”. Fin da ragazzo iniziò a studiare allo specchio le espressioni del volto umano. Tele, affreschi, medaglioni, incisioni, disegni raccontano il suo talento nell’arte del ritratto e dell’autoritratto. Alla Galleria Borghese di Roma possiamo ripercorrerne gli sviluppi artistici in parallelo alle trasformazioni del volto. Nell’elegante Autoritratto giovanile del 1623 il suo viso accigliato somiglia a quello del David scolpito per Scipione Borghese. L’Autoritratto in età matura, invece, mostra tutta l’abilità pittorica del Bernini: tra gli echi di Guercino e Velásquez, innovazioni nel taglio e nella posa portano la tela allo stesso livello dei busti in marmo che l’artista andava realizzando nello stesso periodo. L’opera, che gli italiani conoscono da quando era stampata sulle banconote da 50 mila lire, rappresenta la metà sinistra di un doppio ritratto: dall’altra parte c’era la nobildonna Costanza Bonarelli, l’amante per cui l’artista impazzì di gelosia.