Un viaggio da Creta a Toledo, passando per Venezia e Roma

Visionario e cosmopolita, El Greco fu artista proto-moderno: il pittore dello spirito

El Greco, Jerónimo de Cevallos, 1613, Olio su tela, 64 × 54 cm, Museo Nacional del Prado | © Photographic Archive, Museo Nacional del Prado, Madrid
 

Eleonora Zamparutti

24/08/2023

Milano - Visto attraverso la lente di ingrandimento dell’oggi, ci appare come un artista proto-moderno, ma El Greco fu innanzitutto pittore della visione e dello spirito.
La sua potente intuizione fu quella di ricondurre sulla tela ad una perfetta sintesi i diversi linguaggi dell’arte ai quali sentiva di appartenere: l’Oriente bizantino da cui era partito, l’Italia del Rinascimento dove si era formato e dove aveva faticato a trovare fortuna, la Spagna di Filippo II e della Controriforma dove aveva raggiunto il successo.

La mostra EL GRECO che inaugura a Palazzo Reale di Milano (11 ottobre 2023 - 25 febbraio 2024) ben racconta l’avventura umana e artistica del maestro cosmopolita che viaggiò lungo le sponde del Mediterraneo e che riuscì a creare un mito intorno alla sua figura. L’esposizione, curata da Juan Antonio García Castro, Palma Martínez - Burgos García e Thomas Clement Salomon e realizzata in collaborazione con l’Ambasciata di Spagna in Italia, è l'occasione per presentare l'opera dell’artista cretese alla luce delle ultime ricerche sul suo lavoro.

El Greco era partito dal piatto mondo simbolico delle icone bizantine per giungere ad abbracciare la visione umanistica e globale della pittura rinascimentale, esprimendo alla fine un’arte quasi concettuale.
Secondo Keith Christiansen, curatore del dipartimento Pittura Europea del Metropolitan Museum di New York, nessun altro artista occidentale prima di lui era mai riuscito a raggiungere tali vette di originalità. Questa è la ragione per cui El Greco gode oggi di una fama diffusa ed occupa un posto di primo piano nel Pantheon dei grandi dell'arte.

Ma sarebbe un errore considerare El Greco un genio a parte: era perfettamente integrato nello spirito del suo tempo, la sua arte interpretava lo stile che andava per la maggiore, il Manierismo. L’arte di El Greco è elitaria, poco gli importa di riprodurre fedelmente la natura e la realtà del mondo che lo circonda. Nelle sue opere ciò che conta è la sua capacità di immaginazione.


El Greco, Annunciazione, Olio su tela, 117 x 98 cm, Museo Thyssen Bornemisza, Madrid | © Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Madrid

L’intuizione di El Greco fu quella di riuscire a trovare il traît d’union tra Oriente e Occidente. La sua formula magica, cioè che l’arte sia espressione del regno dello spirito, era un’idea che gettava un ponte tra i maestri bizantini e i campioni della cultura umanistica del Rinascimento.
Furono gli artisti del Novecento, insieme ad un manipolo di critici e collezionisti, a salvare El Greco dall’oblio. La stessa sorte era toccata anche ad altri maestri dell’arte del passato come ad esempio Vermeer, Piero della Francesca e Botticelli.

Per Picasso, El Greco era la quintessenza dello spirito spagnolo. Franz Marc e i membri della scuola del Cavaliere Azzurro consideravano El Greco un pittore che percepiva la mistica costruzione interiore della vita e rifiutava la cultura materialista della vita moderna.
Eppure le date non ingannano. Quando El Greco morì nel 1614, il Barocco, che aveva avuto come interpreti Caravaggio e Annibale Carracci, mancati qualche anno prima, era lo stile che andava per la maggiore. Niente a che vedere con l’arte di El Greco. Questo basti a mettere a fuoco la figura dell’artista: El Greco apparteneva al passato, non al futuro.

Persona colta, incarnava la figura del vero umanista del Rinascimento. Possedeva una biblioteca che comprendeva opere dei maggiori autori greci in greco, numerosi libri in latino, e altri in italiano e in spagnolo: le Vite di Plutarco, la poesia di Petrarca, l'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, la Bibbia in greco, gli Atti del Concilio di Trento e i Trattati di architettura di Marco Vitruvio Pollio, Leon Battista Alberti, Andrea Palladio e Sebastiano Serlio.
Lui stesso aveva preparato un'edizione di Vitruvio, accompagnata da disegni, ma il manoscritto non è giunto fino a noi, purtroppo.


El Greco, Adorazione dei pastori, Dettaglio, Olio su tela, 141 × 111 cm, Museo Colegio del Patriarca, Real Colegio Seminario de Corpus Christi / Mateo Gamón

El Greco era nato a Candia, nell’Isola di Creta, nel 1541. Lì si era formato come pittore di icone. Sopravvivono solo un paio esempi certi realizzati di suo pugno e che risalgono a quel tempo.
Per il resto della sua vita, l’artista non rinnegò mai la sua provenienza e continuò a firmare i suoi dipinti in lettere greche con il suo nome completo, Doménikos Theotokópoulos. Tuttavia è generalmente conosciuto come El Greco (“il Greco”), nome che acquisì quando giunse in Italia.
Era naturale che un’isola come Creta andasse stretta per un giovane promettente come Doménikos Theotokópoulos. Creta era un possedimento veneziano e a tutti gli effetti El Greco era cittadino veneziano, perciò decise di andare a studiare a Venezia nel 1567 circa all’età di 26 anni.

Entrò nello studio di Tiziano, che era il più grande pittore dell'epoca. Durante il soggiorno nella Serenissima ebbe modo di conoscere da vicino l’arte di Tintoretto e dei Bassano. Proprio a Venezia cominciò a padroneggiare gli elementi della pittura rinascimentale, tra cui la prospettiva, la costruzione figurale e la capacità di mettere in scena narrazioni elaborate. Per tutta la sua vita la tecnica rimase quella veneziana nella stesura del colore e nell'uso generoso dei lumeggiamenti bianchi.

Da Venezia, El Greco si trasferì poi a Roma, dove lavorò dal 1570 al 1576. Arrivò con una lettera di raccomandazione del miniatore croato Giulio Clovio, che gli assicurò alloggio nel palazzo del cardinale Alessandro Farnese, forse il mecenate più influente e ricco in tutta Roma. Nel 1572 entrò nell'accademia dei pittori e aprì bottega, assumendo un assistente, o forse due. La sua intenzione doveva essere quella di intraprendere la carriera a Roma, ma dopo sei anni non aveva ricevuto una sola commissione per una pala d’altare. Fatto alquanto preoccupante per un pittore che anelava al successo. Si era fatto un certo nome per i ritratti e i dipinti devozionali di piccole dimensioni, ma non era abbastanza.

Pare che durante il soggiorno El Greco avesse criticato pesantemente Michelangelo come pittore, cosa che gli aveva procurato forti inimicizie nell’ambiente artistico romano. Fatto sta che dopo 6 anni decise di lasciare Roma per andare a Madrid. Gli era giunta notizia del grande progetto di Filippo II per la costruzione del Monastero di San Lorenzo a El Escorial, a circa 26 miglia (42 km) a Nord-Ovest di Madrid.

Ma il legame di El Greco con la corte di Filippo II fu breve e infruttuoso. Il Martirio di San Maurizio (1580-1582) non incontrò il gradimento del re. Forse gli abiti delle figure centrali risultavano troppo brillanti nei gialli in contrasto con il blu oltremare: fatto sta che il sovrano ordinò prontamente un'altra opera dello stesso soggetto per sostituirla. Finì così il legame del grande artista con la corte spagnola.

Solo quando si stabilì a Toledo El Greco ottenne il successo che un artista del suo calibro si sarebbe aspettato. Aveva già superato i quarant’anni quando vi giunse per la prima volta. In questa antica città, che El Greco immortalò in uno dei paesaggi più celebri dell'arte occidentale, la Veduta di Toledo, strinse amicizia con una stretta cerchia di intellettuali e mecenati e intraprese una carriera redditizia. Pare che fosse un artista che si faceva pagare lautamente.


El Greco, La sepoltura del conte Orgaz, 1586, olio su tela, Chiesa di Santo Tomé, Toledo

Il dipinto più celebre di El Greco, La sepoltura del conte Orgaz, fu commissionato dal parroco di Santo Tomé a Toledo nel 1586. È dedicato ad un benefattore morto da tempo, al cui funerale apparvero i santi Stefano e Agostino per assistere alla sepoltura. L’immagine raffigura il miracolo e la salita dell’anima del conte in Paradiso. Come appare allo sguardo del visitatore nella chiesa, il dipinto rappresenta una visione. In primo piano sulla sinistra della composizione, il figlio di El Greco, Jorge, si inginocchia sul bordo, guardando fuori e indicando la scena che El Greco ha evocato. È una figura che fa da intermediario tra il mondo reale dello spettatore e il mondo immaginario del dipinto, che acquista ulteriore risonanza attraverso l’inclusione di una serie di ritratti di contemporanei di El Greco.

Toledo finalmente diede a El Greco il successo che l’artista meritava. Eppure dopo la sua morte nessun seguace di qualche rilievo rimase nella città spagnola. Solo suo figlio e alcuni pittori sconosciuti produssero copie dell'opera del maestro. La sua arte era così personale e non convenzionale che non riuscì a sopravvivere alla sua scomparsa, avvenuta nel 1614.

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