Le Fiandre celebrano il maestro fiammingo
Nell'universo visionario di Bruegel, il pittore umorista che consegnò proverbi e contadini all'arte
Pieter Bruegel il Vecchio, Il censimento a Betlemme, 1566, Olio su tavola, 164.5 x 115.5, Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique
Samantha De Martin
18/03/2019
“Si diceva che avesse ingoiato tutti i monti e le rocce, quando era nelle Alpi, per risputarli in forma di tavola dipinta”.
Scriveva così Karel van Mander, il primo biografo di Pieter Brugel il Vecchio, il grande pittore fiammingo che meglio di chiunque altro ha saputo dare voce alle tradizioni e ai passatempi della cultura popolare, ai cacciatori infreddoliti nella neve, alla bellezza degli scorci naturali, consegnandoci la cronaca di un’umanità dipinta con i colori della terra, talvolta ritratta nei suoi istinti più bassi, con precisione lenticolare e priva di qualsiasi idealizzazione.
“La natura era meravigliosamente felice nella sua scelta quando, in un oscuro villaggio nel Brabante, ha scelto il talentuoso e spiritoso Pieter Breughel per dipingere lei e i suoi contadini, e per contribuire alla fama eterna della pittura nei Paesi Bassi" scriveva ancora van Mander. Eppure data e luogo di nascita dell’artista restano avvolti dal mistero. Nel 1551 “Peeter Brueghels” viene citato per iscritto per la prima volta nei registri della gilda di San Luca di Anversa dove era entrato a far parte con la qualifica di maestro. E dal momento che l’età minima per l’iscrizione alla gilda era di 25 anni, il pittore potrebbe esser nato tra il 1525 e il 1530 nei pressi di Breda, in un villaggio chiamato Breughel, un nome che ha preso per se stesso e per i suoi discendenti adottando solo dal 1559 la grafia senza “h”. Anche se c’è chi considera “Brueghels” un patronimico e non il luogo di origine del pittore.
“Uomo tranquillo, Bruegel non amava molto la compagnia, sebbene fosse gioviale in presenza degli altri e amasse spaventare la gente, talvolta i suoi stessi allievi, con vari suoni spettrali o scherzi” ci dice ancora van Mander. Ed è sempre il Vasari fiammingo a raccontarci come l’artista, assieme ad Hans Franckert, commerciante e ricco committente di Norimberga, amasse intrufolarsi nelle allegre comitive contadine per partecipare a feste e a nozze rustiche, portando doni come gli altri ospiti e facendosi all’occorrenza passare per parente degli sposi. Si divertiva Bruegel a osservare i modi del contadini, il loro modo di bere, mangiare, ballare, saltare, atteggiamenti che sapeva trasferire tra i colori della tela con spirito anticonvenzionale e umoristico.
Pieter Bruegel il Vecchio, Danza Nuziale, 1556 circa, Olio su pannello, 157.5 x 119.4 cm, Detroit Institute of Arts (DIA)
Il contatto con l'incisore ed editore di stampe Hieronymus Cock di Anversa - nel cui atelier si ritrovavano artisti, letterati, studiosi e amatori legati all'Umanesimo e all’Alchimia - e che ebbe il merito di avvicinarlo alle opere di Hieronymus Bosch, fu fondamentale nella vita del pittore. Per questo editore, il maggiore stampatore di Anversa, furono realizzati molti lavori. Come l'incisione I pesci grandi mangiano i pesci piccoli (1556), pubblicata da Cock con la firma di Bosch per giocare su una continuità che poteva garantire una facile presa commerciale. Il messaggio era semplice: gli imperatori e i re vivono alle spalle dei sudditi tanto quanto i commercianti più potenti di Anversa vivono a spese dei più deboli. In una frase, i grandi mangiano i piccoli. Rimandi a Bosch si intravedono nella celebre acquaforte con Le tentazioni di Sant’Antonio, o nella serie dei Sette vizi del 1557, popolata da creature magiche e paesaggi innaturali.
Figure demoniache si affollano in dipinti come Dulle Griet o Margherita la Pazza, figura con la testa che funge da ingresso all’inferno, la bocca aperta, priva di denti, le vesti logore, la corazza che pende sul ventre, appartenente alla tradizione fiamminga, e che per Bruegel incarna l’avidità bellicosa.
Pieter Bruegel il Vecchio, Margherita la Pazza (Dulle Griet o Mad Meg), 1563, Museum Mayer van den Bergh, Anversa
Eppure, sebbene attinga al repertorio del suo illustre collega, Bruegel aspira a risultati diversi. Pur riprendendo dal suo ideale maestro la capacità di penetrazione all'interno del magma delle passioni umane, l’impeto fantastico, il riferimento al gioco, palese allegoria della vanità delle cose, se ne distacca rinnovando il linguaggio artistico, rendendo più credibili le sue allucinazioni e inserendosi nel filone figurativo dei grandi paesaggisti.
Alle atmosfere allucinate attinte dall’immaginario di Bosch subentra un simbolismo meno spettacolare dal quale emerge una riflessione profonda sull’umana meschinità.
In base a quanto riferito da Karel van Mander, il giovane Bruegel si sarebbe formato nella bottega di Pieter Coecke van Aelst, pittore di corte di Carlo V, architetto, disegnatore di arazzi, persona colta che aveva viaggiato in Italia e in Turchia e del quale sposò la figlia, Mayeken Verhulst Bessemers. Sarebbe stato Coecke a invitarlo, intorno al 1552, a partire alla volta dell'Italia, i cui luoghi il pittore immortalerà in una serie di disegni.
L’attraversamento delle Alpi resta scolpito nel Paesaggio alpino del 1551 circa. Ma Bruegel visita anche il Lago Maggiore e prosegue alla volta di Roma, dove si ferma a lungo, come ricordano anche un disegno della Ripa Grande a Roma e un'incisione con veduta di Tivoli sulle propaggini dei Monti Tiburtini.
Il viaggio in Italia del pittore fiammingo prosegue alla volta di Napoli - come attesta il dipinto Il Porto di Napoli, oggi alla Galleria Pamphilj - e di Reggio Calabria, rappresentata, in un disegno, avvolta dalle fiamme a seguito di un’incursione turca. Nel 1555 circa Pieter deve rimettersi in viaggio per tornare ad Anversa, dove risiederà fino al 1562, per poi lasciare la città alla volta di Bruxelles.
Scriveva così Karel van Mander, il primo biografo di Pieter Brugel il Vecchio, il grande pittore fiammingo che meglio di chiunque altro ha saputo dare voce alle tradizioni e ai passatempi della cultura popolare, ai cacciatori infreddoliti nella neve, alla bellezza degli scorci naturali, consegnandoci la cronaca di un’umanità dipinta con i colori della terra, talvolta ritratta nei suoi istinti più bassi, con precisione lenticolare e priva di qualsiasi idealizzazione.
“La natura era meravigliosamente felice nella sua scelta quando, in un oscuro villaggio nel Brabante, ha scelto il talentuoso e spiritoso Pieter Breughel per dipingere lei e i suoi contadini, e per contribuire alla fama eterna della pittura nei Paesi Bassi" scriveva ancora van Mander. Eppure data e luogo di nascita dell’artista restano avvolti dal mistero. Nel 1551 “Peeter Brueghels” viene citato per iscritto per la prima volta nei registri della gilda di San Luca di Anversa dove era entrato a far parte con la qualifica di maestro. E dal momento che l’età minima per l’iscrizione alla gilda era di 25 anni, il pittore potrebbe esser nato tra il 1525 e il 1530 nei pressi di Breda, in un villaggio chiamato Breughel, un nome che ha preso per se stesso e per i suoi discendenti adottando solo dal 1559 la grafia senza “h”. Anche se c’è chi considera “Brueghels” un patronimico e non il luogo di origine del pittore.
“Uomo tranquillo, Bruegel non amava molto la compagnia, sebbene fosse gioviale in presenza degli altri e amasse spaventare la gente, talvolta i suoi stessi allievi, con vari suoni spettrali o scherzi” ci dice ancora van Mander. Ed è sempre il Vasari fiammingo a raccontarci come l’artista, assieme ad Hans Franckert, commerciante e ricco committente di Norimberga, amasse intrufolarsi nelle allegre comitive contadine per partecipare a feste e a nozze rustiche, portando doni come gli altri ospiti e facendosi all’occorrenza passare per parente degli sposi. Si divertiva Bruegel a osservare i modi del contadini, il loro modo di bere, mangiare, ballare, saltare, atteggiamenti che sapeva trasferire tra i colori della tela con spirito anticonvenzionale e umoristico.
Pieter Bruegel il Vecchio, Danza Nuziale, 1556 circa, Olio su pannello, 157.5 x 119.4 cm, Detroit Institute of Arts (DIA)
Il contatto con l'incisore ed editore di stampe Hieronymus Cock di Anversa - nel cui atelier si ritrovavano artisti, letterati, studiosi e amatori legati all'Umanesimo e all’Alchimia - e che ebbe il merito di avvicinarlo alle opere di Hieronymus Bosch, fu fondamentale nella vita del pittore. Per questo editore, il maggiore stampatore di Anversa, furono realizzati molti lavori. Come l'incisione I pesci grandi mangiano i pesci piccoli (1556), pubblicata da Cock con la firma di Bosch per giocare su una continuità che poteva garantire una facile presa commerciale. Il messaggio era semplice: gli imperatori e i re vivono alle spalle dei sudditi tanto quanto i commercianti più potenti di Anversa vivono a spese dei più deboli. In una frase, i grandi mangiano i piccoli. Rimandi a Bosch si intravedono nella celebre acquaforte con Le tentazioni di Sant’Antonio, o nella serie dei Sette vizi del 1557, popolata da creature magiche e paesaggi innaturali.
Figure demoniache si affollano in dipinti come Dulle Griet o Margherita la Pazza, figura con la testa che funge da ingresso all’inferno, la bocca aperta, priva di denti, le vesti logore, la corazza che pende sul ventre, appartenente alla tradizione fiamminga, e che per Bruegel incarna l’avidità bellicosa.
Pieter Bruegel il Vecchio, Margherita la Pazza (Dulle Griet o Mad Meg), 1563, Museum Mayer van den Bergh, Anversa
Eppure, sebbene attinga al repertorio del suo illustre collega, Bruegel aspira a risultati diversi. Pur riprendendo dal suo ideale maestro la capacità di penetrazione all'interno del magma delle passioni umane, l’impeto fantastico, il riferimento al gioco, palese allegoria della vanità delle cose, se ne distacca rinnovando il linguaggio artistico, rendendo più credibili le sue allucinazioni e inserendosi nel filone figurativo dei grandi paesaggisti.
Alle atmosfere allucinate attinte dall’immaginario di Bosch subentra un simbolismo meno spettacolare dal quale emerge una riflessione profonda sull’umana meschinità.
In base a quanto riferito da Karel van Mander, il giovane Bruegel si sarebbe formato nella bottega di Pieter Coecke van Aelst, pittore di corte di Carlo V, architetto, disegnatore di arazzi, persona colta che aveva viaggiato in Italia e in Turchia e del quale sposò la figlia, Mayeken Verhulst Bessemers. Sarebbe stato Coecke a invitarlo, intorno al 1552, a partire alla volta dell'Italia, i cui luoghi il pittore immortalerà in una serie di disegni.
L’attraversamento delle Alpi resta scolpito nel Paesaggio alpino del 1551 circa. Ma Bruegel visita anche il Lago Maggiore e prosegue alla volta di Roma, dove si ferma a lungo, come ricordano anche un disegno della Ripa Grande a Roma e un'incisione con veduta di Tivoli sulle propaggini dei Monti Tiburtini.
Il viaggio in Italia del pittore fiammingo prosegue alla volta di Napoli - come attesta il dipinto Il Porto di Napoli, oggi alla Galleria Pamphilj - e di Reggio Calabria, rappresentata, in un disegno, avvolta dalle fiamme a seguito di un’incursione turca. Nel 1555 circa Pieter deve rimettersi in viaggio per tornare ad Anversa, dove risiederà fino al 1562, per poi lasciare la città alla volta di Bruxelles.
Il 1563 è per il pittore una data importante. Non solo vede la luce la Torre di Babele, una delle sue opere più celebri, ma si celebra il matrimonio con la figlia di Pieter Coecke, un evento di rilievo anche nel percorso professionale del maestro. L’aver infatti sposato la figlia del suo mentore, significava compiere un notevole passo avanti nella scala sociale. Dopo il matrimonio si trasferisce a Bruxelles dove mette da parte l’attività incisoria per dedicarsi con costanza a quella propriamente pittorica, segno evidente di una raggiunta agiatezza economica come dimostrano la nascita dei due figli Pieter, anche lui destinato a diventare pittore, e Jan, venuto alla luce nel 1568. La grande Torre di Babele, dipinta nell’anno del matrimonio per ben tre volte e della quale restano due versioni, ben incarna l’interesse del pittore per l’architettura italiana - come dimostra il richiamo della torre al Colosseo - mentre l’episodio biblico era considerato anche dalla cultura fiamminga una sorta di parabola della superbia e della follia umana che avevano osato sfidare la grandezza di Dio.
Pieter Bruegel il Vecchio, La Torre di Babele, 1563, Olio su pannello, Kunsthistorisches Museum, Vienna
Anche nella grande Torre di Babele, come in quasi tutte le opere di Bruegel, si intravede una sorta di sentenza dai profondi risvolti moraleggianti, una riflessione sulla vita e sulla storia come lo erano state le prime due grandi opere importanti realizzate dal pittore di Breda, I Proverbi fiamminghi e il Combattimento fra Carnevale e Quaresima.
Come un abile antropologo, o esegeta della cultura popolare, Bruegel inserisce nelle sue opere continui ammiccamenti alla saggezza contadina, sviluppando una visualizzazione del modo di pensare caratteristico di un’epoca e divenuto parte integrante della sua poetica pittorica.
Nel Paese della cuccagna del 1567, sullo sfondo della scena che vede stravaccati al suolo i tre protagonisti, spunta il detto “le focacce nascono sul tetto”, un adagio popolare nordico che puntualmente il pittore rappresenta nel paese dell’abbondanza dove i maiali si aggirano con il coltello infilato nel grasso, pronti a farsi uccidere. Quello rappresentato da Bruegel è un paese che tutti vorrebbero visitare prer soddisfare il proprio egoismo personale.
Nelle sue opere la vita trascorre sempre uguale, di anno in anno, con la natura che muore e rinasce assieme all’animo degli uomini, talmente presi dalle loro attività da non riuscire a curare altro se non il proprio personale tornaconto.
Quelli che partecipano alla Danza nunziale (1566) sono ometti piccoli, le cui storie si intrecciano al suono della cornamusa, mentre nascono e si disfano amori. Sono tuttavia passioni brevi, amori grevi, maturati dentro baci scambiati con la bocca ancora unta di arrosto, irrorati dal vino e dalla crapula.
Gli sguardi vuoti, inebetiti, sono gli stessi dei personaggi al centro de la Danza dei contadini (1568), dove viene addirittura raffigurata una coppia di amanti occasionali in procinto di entrare in una locanda. La vanità di un’umanità degradata è racchiusa nella piuma di pavone sul cappello dell’uomo con la brocca e da un giullare sullo sfondo.
La tradizione dei calendari prende forma in quasi tutti i suoi lavori. Se la potatura degli alberi e la corona di carta indossata dai ragazzi, riferimento al Carnevale, rinnovano le consuetudini del mese di febbraio in Giornata buia, nella Mietitura, inondata da una natura dorata, i protagonisti sono il caldo e la fatica. Avvicinadosi alla tela allo spettatore sembra quasi di sentire il frinire delle cicale o il ronzare delle mosche, mentre la natura fa il suo corso e gli uomini si danno da fare, come ogni anno, per superare gli ostacoli di sempre.
Ma Bruegel è anche il pittore dei bambini: gli oltre 250, ritratti nei suoi dipinti, rinunciano ai balocchi per utilizzare vesciche di maiale, berretti, botti e cerchi di barili, un catalogo di giochi che non trova pari nella storia della pittura.
Segno inequivocabile della poetica pittorica del fiammingo sono i proverbi collocati al posto di una successione di immagini. I modi di dire adoperati da Bruegel sono oltre 120 e alludono, per lo più, a comportamenti insensati o bizzarri.
Pieter Bruegel il Vecchio, Giochi di bambini, 1560, Olio su tavola, 118 x 161 cm, Vienna, Kunsthistorisches Museum
Quello in cui vive l'artista è il tempo di Carlo V e Filippo II, che anticipa l’imperversare nelle Fiandre della furia iconoclasta e della larga striscia di sangue distesa dal duca di Alba sulla libertà religiosa. Accanto alle allusioni ai drammatici avvenimenti della storia contemporanea, con le sanguinose lotte per l'indipendenza politica e religiosa delle future Province Unite, trasfigurati in una riflessione più generale sulla drammaticità del destino umano, sul dolore, la perdita e l'affanno, non mancano i riferimenti a una chiave di lettura alchemica, la pseudo-scienza dell'epoca con cui si cercava di arricchirsi producendo oro, di curare le malattie e prolungare la vita. Oggetti sparsi nelle sue opere nascondono simboli precisi, riconoscibili solo dalle élite, calati e camuffati però nell'umanità scanzonata e sgangherata del popolino. I temi esoterici e alchimistici diventano parabole figurate che insegnano ad allontanarsi dall’egoismo personale per raggiungere l’ “aurea mediocritas” dei saggi. Quando, nel 1567, il duca d’Alba fece il suo ingresso a Bruxelles, Bruegel visse da vicino gli eventi politici e nell’anno della distruzione delle icone sacre dipinse La predica del Battista, il cui paesaggio e le figure rimandano al presente fiammingo dell’artista.
Van Mander riferisce che Bruegel sul letto di morte abbia chiesto alla moglie di bruciare determinati disegni, considerando le storie a margine “eccessivamente mordaci e derisorie". Forse il pittore si pentiva di averli realizzati o forse temeva che da questi avrebbero potuto scaturire situazioni spiacevoli per la moglie.
Morirà il 5 settembre 1569, nell’anno in cui l’opposizione dei Paesi Bassi si trasforma in rivolta. Viene sepolto a Bruxelles, nella Chiesa di Notre-Dame de la Chapelle. Il consiglio comunale, nel gennaio dello stesso anno lo esonerava dall’obbligo di ospitare soldati spagnoli.
“Nel testamento lascia alla moglie un dipinto raffigurante una gazza sulla forca. La gazza simboleggia le comari che il pittore consacra alla forca” scrive van Mander. Forse l’artista pensava ai delatori.
Pieter Bruegel il vecchio, Gazza sulla forca, 1568, Olio su tavola, 50.8 x 45.9 cm, Darmstadt, Hessiches Landesmuseum
Il pittore che ha trasformato contadini imbacuccati, ladri di nidi, storpi, misantropi, bambini che si leccano le dita, gente goffa e grossolana che beve da ciotole e brocche, ciechi ed amanti nella straordinaria epopea dell’umanità, è stato anche soprannominato “Pieter l’umorista”. “Sono pochi i dipinti che l’osservatore possa guardare seriamente senza ridere” scriveva van Mander, mentre l’amico geografo Abraham Ortelius testimonia come Bruegel abbia “dipinto gran parte di ciò che non poteva essere assolutamente trasferito sulla tela. Tutte le sue opere sono sempre più pensiero che pittura” forse in riferimento alle teorie degli stoici facilmente rintracciabili nell’opera dell’artista, come l’idea di un universo in cui ognuno deve adattarsi al ruolo che gli è stato predestinato.
Quello che maggiormente colpisce della sua arte è l’aver ritratto episodi biblici camuffandoli in scene di vita rurale. Come ne Il censimento a Betlemme, dove Maria sull’asino e Giuseppe che la precede si confondono con gli abitanti del villaggio, in un pomeriggio d’inverno. Definito ora contadino, ora borghese, talvolta relegato all'ambito secondario della pittura popolaresca e grottesca, Bruegel non decorò chiese o luoghi pubblici, sebbene la sua arte fosse apprezzata da una ristretta cerchia di amici e collezionisti.
È solo all’indomani del rinnovamento verificatosi nella pittura, a partire dal XIX secolo, che ha invalidato le consuetudini dell’arte visiva imposte dalla tradizione, che le sue tele inizieranno a essere apprezzate. La critica romantica ne riscoprì la forza espressiva e la vena malinconica, nonché i temi di riflessione esistenziale. E oggi le sale del Kunsthistorisches Museum di Vienna e del Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique di Bruxelles costituiscono il tempio per quanti desiderino ammirare la sua perduta umanità a colori.
Anche nella grande Torre di Babele, come in quasi tutte le opere di Bruegel, si intravede una sorta di sentenza dai profondi risvolti moraleggianti, una riflessione sulla vita e sulla storia come lo erano state le prime due grandi opere importanti realizzate dal pittore di Breda, I Proverbi fiamminghi e il Combattimento fra Carnevale e Quaresima.
Come un abile antropologo, o esegeta della cultura popolare, Bruegel inserisce nelle sue opere continui ammiccamenti alla saggezza contadina, sviluppando una visualizzazione del modo di pensare caratteristico di un’epoca e divenuto parte integrante della sua poetica pittorica.
Nel Paese della cuccagna del 1567, sullo sfondo della scena che vede stravaccati al suolo i tre protagonisti, spunta il detto “le focacce nascono sul tetto”, un adagio popolare nordico che puntualmente il pittore rappresenta nel paese dell’abbondanza dove i maiali si aggirano con il coltello infilato nel grasso, pronti a farsi uccidere. Quello rappresentato da Bruegel è un paese che tutti vorrebbero visitare prer soddisfare il proprio egoismo personale.
Nelle sue opere la vita trascorre sempre uguale, di anno in anno, con la natura che muore e rinasce assieme all’animo degli uomini, talmente presi dalle loro attività da non riuscire a curare altro se non il proprio personale tornaconto.
Quelli che partecipano alla Danza nunziale (1566) sono ometti piccoli, le cui storie si intrecciano al suono della cornamusa, mentre nascono e si disfano amori. Sono tuttavia passioni brevi, amori grevi, maturati dentro baci scambiati con la bocca ancora unta di arrosto, irrorati dal vino e dalla crapula.
Gli sguardi vuoti, inebetiti, sono gli stessi dei personaggi al centro de la Danza dei contadini (1568), dove viene addirittura raffigurata una coppia di amanti occasionali in procinto di entrare in una locanda. La vanità di un’umanità degradata è racchiusa nella piuma di pavone sul cappello dell’uomo con la brocca e da un giullare sullo sfondo.
La tradizione dei calendari prende forma in quasi tutti i suoi lavori. Se la potatura degli alberi e la corona di carta indossata dai ragazzi, riferimento al Carnevale, rinnovano le consuetudini del mese di febbraio in Giornata buia, nella Mietitura, inondata da una natura dorata, i protagonisti sono il caldo e la fatica. Avvicinadosi alla tela allo spettatore sembra quasi di sentire il frinire delle cicale o il ronzare delle mosche, mentre la natura fa il suo corso e gli uomini si danno da fare, come ogni anno, per superare gli ostacoli di sempre.
Ma Bruegel è anche il pittore dei bambini: gli oltre 250, ritratti nei suoi dipinti, rinunciano ai balocchi per utilizzare vesciche di maiale, berretti, botti e cerchi di barili, un catalogo di giochi che non trova pari nella storia della pittura.
Segno inequivocabile della poetica pittorica del fiammingo sono i proverbi collocati al posto di una successione di immagini. I modi di dire adoperati da Bruegel sono oltre 120 e alludono, per lo più, a comportamenti insensati o bizzarri.
Pieter Bruegel il Vecchio, Giochi di bambini, 1560, Olio su tavola, 118 x 161 cm, Vienna, Kunsthistorisches Museum
Quello in cui vive l'artista è il tempo di Carlo V e Filippo II, che anticipa l’imperversare nelle Fiandre della furia iconoclasta e della larga striscia di sangue distesa dal duca di Alba sulla libertà religiosa. Accanto alle allusioni ai drammatici avvenimenti della storia contemporanea, con le sanguinose lotte per l'indipendenza politica e religiosa delle future Province Unite, trasfigurati in una riflessione più generale sulla drammaticità del destino umano, sul dolore, la perdita e l'affanno, non mancano i riferimenti a una chiave di lettura alchemica, la pseudo-scienza dell'epoca con cui si cercava di arricchirsi producendo oro, di curare le malattie e prolungare la vita. Oggetti sparsi nelle sue opere nascondono simboli precisi, riconoscibili solo dalle élite, calati e camuffati però nell'umanità scanzonata e sgangherata del popolino. I temi esoterici e alchimistici diventano parabole figurate che insegnano ad allontanarsi dall’egoismo personale per raggiungere l’ “aurea mediocritas” dei saggi. Quando, nel 1567, il duca d’Alba fece il suo ingresso a Bruxelles, Bruegel visse da vicino gli eventi politici e nell’anno della distruzione delle icone sacre dipinse La predica del Battista, il cui paesaggio e le figure rimandano al presente fiammingo dell’artista.
Van Mander riferisce che Bruegel sul letto di morte abbia chiesto alla moglie di bruciare determinati disegni, considerando le storie a margine “eccessivamente mordaci e derisorie". Forse il pittore si pentiva di averli realizzati o forse temeva che da questi avrebbero potuto scaturire situazioni spiacevoli per la moglie.
Morirà il 5 settembre 1569, nell’anno in cui l’opposizione dei Paesi Bassi si trasforma in rivolta. Viene sepolto a Bruxelles, nella Chiesa di Notre-Dame de la Chapelle. Il consiglio comunale, nel gennaio dello stesso anno lo esonerava dall’obbligo di ospitare soldati spagnoli.
“Nel testamento lascia alla moglie un dipinto raffigurante una gazza sulla forca. La gazza simboleggia le comari che il pittore consacra alla forca” scrive van Mander. Forse l’artista pensava ai delatori.
Pieter Bruegel il vecchio, Gazza sulla forca, 1568, Olio su tavola, 50.8 x 45.9 cm, Darmstadt, Hessiches Landesmuseum
Il pittore che ha trasformato contadini imbacuccati, ladri di nidi, storpi, misantropi, bambini che si leccano le dita, gente goffa e grossolana che beve da ciotole e brocche, ciechi ed amanti nella straordinaria epopea dell’umanità, è stato anche soprannominato “Pieter l’umorista”. “Sono pochi i dipinti che l’osservatore possa guardare seriamente senza ridere” scriveva van Mander, mentre l’amico geografo Abraham Ortelius testimonia come Bruegel abbia “dipinto gran parte di ciò che non poteva essere assolutamente trasferito sulla tela. Tutte le sue opere sono sempre più pensiero che pittura” forse in riferimento alle teorie degli stoici facilmente rintracciabili nell’opera dell’artista, come l’idea di un universo in cui ognuno deve adattarsi al ruolo che gli è stato predestinato.
Quello che maggiormente colpisce della sua arte è l’aver ritratto episodi biblici camuffandoli in scene di vita rurale. Come ne Il censimento a Betlemme, dove Maria sull’asino e Giuseppe che la precede si confondono con gli abitanti del villaggio, in un pomeriggio d’inverno. Definito ora contadino, ora borghese, talvolta relegato all'ambito secondario della pittura popolaresca e grottesca, Bruegel non decorò chiese o luoghi pubblici, sebbene la sua arte fosse apprezzata da una ristretta cerchia di amici e collezionisti.
È solo all’indomani del rinnovamento verificatosi nella pittura, a partire dal XIX secolo, che ha invalidato le consuetudini dell’arte visiva imposte dalla tradizione, che le sue tele inizieranno a essere apprezzate. La critica romantica ne riscoprì la forza espressiva e la vena malinconica, nonché i temi di riflessione esistenziale. E oggi le sale del Kunsthistorisches Museum di Vienna e del Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique di Bruxelles costituiscono il tempio per quanti desiderino ammirare la sua perduta umanità a colori.
Ostenda, 1860 - Ostenda, 1949