Reportage dalla mostra allestita per l'Anno di Bruegel nelle Fiandre
Feast of Fools: la riscoperta di Bruegel al Castello di Gaasbeek
Jean Brusselmans (1884-1953), Carnaval, 1952, Mu.ZEE Oostende | Photo: Steven Decroos | Courtesy of VisitFlanders
Francesca Grego
12/04/2019
Oggi lo consideriamo l'incarnazione dell'arte fiamminga, ma per secoli Pieter Bruegel il Vecchio è stato completamente dimenticato, fino alla riscoperta ai primi del Novecento, dopo la quale la sua fama è cresciuta a passi da gigante.
In occasione dei 450 anni dalla morte dell'artista, tra i numerosi eventi in programma (maggiori informazioni sono disponibili sul sito www.visitflanders.com) segnaliamo al Castello di Gaasbeek il suo ritorno sul palcoscenico della grande arte: in mostra opere di artisti moderni e contemporanei, che evidenziano come l'ispirazione di Bruegel sia più viva che mai, in una kermesse capace di travalicare confini geografici e di stile.
Constant Permeke, Kermis, 1921
Il castello di Gaasbeek
Siamo andati a visitare il maniero medievale, che proprio nel Rinascimento visse la sua stagione d'oro, e la mostra Feast of Fools. Bruegel rediscovered, aperta fino al prossimo 28 luglio.
A meno di un'ora da Bruxelles, Gaasbeek è un paradiso che non ti aspetti. Un parco rigoglioso circonda il castello, che con l'Italia ha un legame speciale: agli inizi dell'Ottocento fu acquistato dagli Arconati Visconti di Milano e fu proprio la marchesa Marie Peyrat Arconati a donarla allo Stato belga nel 1921, completo di arredi e opere d'arte.
Affacciandosi dal parapetto che delimita il giardino, il paesaggio sembra uscito da un dipinto di Bruegel: la natura fiamminga si svela in tutta la sua dolcezza, dal largo fossato ai boschi, fino alle colline coltivate, dove il verde brillante della primavera è interrotto solo da piccole costruzioni rurali. Non c'è da meravigliarsi: le campagne intorno di Gaasbeek sono un patrimonio protetto dal 1936.
Il Castello di Gaasbeek | © www.vlaanderenvanuitdelucht.be
Le sorprese continuano entrando nel castello: mobili pregiati, decorazioni murali, arazzi ed enormi camini ci accolgono come 400 anni fa. Dalle pareti occhieggiano ritratti di aristocratici e sontuose scene di vita di corte, con lo stile variopinto e dettagliato che contraddistingue la pittura tradizionale fiamminga.
In cucina: Bruegel, il cibo e la globalizzazione
Nell'ampia cucina del maniero l'incanto del passato si interrompe: tra gli utensili di rame usati per preparare i banchetti dei nobili, siamo invitati a indossare visori per la realtà virtuale. È Feast of Food, un progetto dell'innovativa compagnia teatrale di Berlino Rimini Protokoll. Dai tempi di Bruegel, che nei suoi quadri ha ben descritto la preparazione di piatti per sagre e ricorrenze, siamo catapultati nella produzione industriale del XXI secolo, tra piantagioni intensive, immensi mattatoi, mercati internazionali e fabbriche high-tech. Da un'alimentazione che oggi chiameremmo “a chilometro zero” alla globalizzazione del cibo - Spagna, Germania, Francia sono solo alcune tappe di questo viaggio immersivo - il salto è spaesante.
A stabilire un link tra passato e presente è anche la quantità: a torto o a ragione, nelle Fiandre del XX secolo l'aggettivo “bruegeliano” è stato sinonimo di pasti abbondanti e tutt'altro che raffinati. Nulla a confronto dell'incalcolabile mole di patatine che vediamo uscire in pochi minuti da uno stabilimento olandese, pronte per essere distribuite in tutto il mondo.
Pieter Bruegel il Vecchio, Banchetto nuziale, 1558 circa, Olio su tavola, 164 x 114 cm, Kunsthistorisches Museum, Vienna
Tra avanguardia e nostalgia: Bruegel riscoperto
Ci addentriamo negli ambienti del castello, un labirinto di saloni, stanze da letto, scale e corridoi dal fascino decisamente caratteristico, per rivivere la riscoperta di Pieter Bruegel. Tutto ha inizio con quello che qui chiamano “il grande equivoco” dei romantici: in un clima di revival delle tradizioni locali, da pittore per pochi intenditori il maestro diventa icona di un popolo e del suo più autentico spirito rurale. Gli artisti di fine Ottocento e del primo Novecento - che per il Belgio è una stagione di fermenti identitari - ne reinterpretano la lezione attraverso paesaggi immersi in una coltre di neve, campi di grano dalle atmosfere ancestrali e scene di religiosità contadina.
Punto di svolta è la mostra I Primitivi Fiamminghi che si tenne a Bruges nel 1902, di cui vediamo il manifesto in grafica Art Nouveau campeggiare all'inizio del percorso. Qui Bruegel era accostato a Memling, Van Eyck e Van Der Weyden: pittori che lo precedettero di qualche generazione, ma che allora sembravano essergli più affini rispetto al linguaggio del Rinascimento.
Al castello l'arte del XX secolo sembra essere sorprendentemente a proprio agio: dipinti, disegni e incisioni firmate da James Ensor, Valerius De Saedeleer, Jules De Bruycker, Otto Dix, George Grosz portano aria nuova nelle sale, mentre la nostalgia del passato lascia il posto alle novità dell'avanguardia. Tra i temi più gettonati c'è sicuramente il Carnevale, che di volta in volta si carica di sfumature festose (Jean Brusselmans) o macabro-grottesche (James Ensor).
James Ensor, Squelette arrêtant masque, 1891
Contemporary Bruegel
Ma la parte del leone la fanno gli artisti contemporanei, che rielaborano l'ispirazione di Bruegel in dialogo con gli storici ambienti di Gaasbeek. Il cliché del pittore contadino è ormai lontano: una varietà di spunti e materiali - dallo spazio al colore, dal cinema alle installazioni ambientali - ci accoglie in un caleidoscopio di visioni multiformi. Accanto a veterani come Mario Merz, Franz West e il belga Panamarenko, già presenti nelle collezioni permanenti del castello, hanno voluto dire la loro anche i designer di Studio Job, che da Anversa collaborano con grandi marchi della scena internazionale ed espongono nei più grandi musei del mondo, dal MoMa al Victoria and Albert Museum. La loro scultura ricorda una ciotola di porridge, inconfondibile citazione dai dipinti del maestro.
Talenti affermati ed emergenti, provenienti dall'Europa come dal Giappone, rendono omaggio a Bruegel: dall'installazione frattalica di Anetta Mona Chişa e Lucia Tkačova al juke-box che suggerisce colonne sonore per la fruizione pittorica, fino ai video e alle bambole del camerunense che, prendendo spunto dal quadro Giochi di bambini, si interroga sulle influenze culturali che hanno cambiato l'immaginario del gioco anche nei più remoti villaggi africani.
Anetta Mona Chişa & Lucia Tkáčová, F -- F+F-F-FF+F+F-F, 2018-2019
Tra un Daniel Buren e un Jimmie Durham, scoviamo la videoartista italiana Grazia Toderi, presente con un'opera ispirata alla bruegeliana Torre di Babele. La storia biblica su cui il maestro fiammingo aveva proiettato sogni e incubi cinquecenteschi rivive ora in una città del XXI secolo: in Rosso Babele la vediamo da lontano, come se fossimo nello spazio, una costante dell'arte della Toderi. Un assemblaggio di visioni digitali compone l'immagine di una Babele contemporanea che non dorme mai, visibile anche nelle ore notturne grazie all'alone di luce al sodio che la circonda: una città indefinibile, senza un referente geografico certo. Proprio come i panorami di Bruegel, in cui elementi assortiti del paesaggio europeo si combinavano in spettacolari utopie per la gioia dei viaggiatori in poltrona del XVI secolo.
Anche la Caduta di Icaro, da ammirare in versione originale al Museo Reale di Belle Arti di Bruxelles, ha attratto l'attenzione degli artisti: la rivediamo nei disegni dell'artista francese Yola Minatchy, originaria di Reunion, o nei riflessi multicolori della giapponese Yurie Umamoto, o ancora nella scatola minimal del duo italiano Ornaghi e Prestinari, dove a raccontare il mito del volo umano basta il reperto eloquente di una piuma.
“Sono moltissime le ispirazioni che Bruegel è ancora in grado di offrire a chi, come me, indaga i confini della pittura”, ci ha spiegato la pittrice belga Emmanuelle Quertain: “Nel mio progetto per Gaasbeek ho scelto di partire dalla Caduta di Icaro per reinterpretare lo spazio riccamente decorato della Scockaert Room. Il primo legame è quello del colore, protagonista di un gioco di rimandi che dal dipinto di Bruegel si tuffa nel mio, per poi rimbalzare nell'arazzo antico che vediamo di fronte”.
Pascale Marthine Tayou, JEUX D’ENFANTS, 2019
In occasione dei 450 anni dalla morte dell'artista, tra i numerosi eventi in programma (maggiori informazioni sono disponibili sul sito www.visitflanders.com) segnaliamo al Castello di Gaasbeek il suo ritorno sul palcoscenico della grande arte: in mostra opere di artisti moderni e contemporanei, che evidenziano come l'ispirazione di Bruegel sia più viva che mai, in una kermesse capace di travalicare confini geografici e di stile.
Constant Permeke, Kermis, 1921
Il castello di Gaasbeek
Siamo andati a visitare il maniero medievale, che proprio nel Rinascimento visse la sua stagione d'oro, e la mostra Feast of Fools. Bruegel rediscovered, aperta fino al prossimo 28 luglio.
A meno di un'ora da Bruxelles, Gaasbeek è un paradiso che non ti aspetti. Un parco rigoglioso circonda il castello, che con l'Italia ha un legame speciale: agli inizi dell'Ottocento fu acquistato dagli Arconati Visconti di Milano e fu proprio la marchesa Marie Peyrat Arconati a donarla allo Stato belga nel 1921, completo di arredi e opere d'arte.
Affacciandosi dal parapetto che delimita il giardino, il paesaggio sembra uscito da un dipinto di Bruegel: la natura fiamminga si svela in tutta la sua dolcezza, dal largo fossato ai boschi, fino alle colline coltivate, dove il verde brillante della primavera è interrotto solo da piccole costruzioni rurali. Non c'è da meravigliarsi: le campagne intorno di Gaasbeek sono un patrimonio protetto dal 1936.
Il Castello di Gaasbeek | © www.vlaanderenvanuitdelucht.be
Le sorprese continuano entrando nel castello: mobili pregiati, decorazioni murali, arazzi ed enormi camini ci accolgono come 400 anni fa. Dalle pareti occhieggiano ritratti di aristocratici e sontuose scene di vita di corte, con lo stile variopinto e dettagliato che contraddistingue la pittura tradizionale fiamminga.
In cucina: Bruegel, il cibo e la globalizzazione
Nell'ampia cucina del maniero l'incanto del passato si interrompe: tra gli utensili di rame usati per preparare i banchetti dei nobili, siamo invitati a indossare visori per la realtà virtuale. È Feast of Food, un progetto dell'innovativa compagnia teatrale di Berlino Rimini Protokoll. Dai tempi di Bruegel, che nei suoi quadri ha ben descritto la preparazione di piatti per sagre e ricorrenze, siamo catapultati nella produzione industriale del XXI secolo, tra piantagioni intensive, immensi mattatoi, mercati internazionali e fabbriche high-tech. Da un'alimentazione che oggi chiameremmo “a chilometro zero” alla globalizzazione del cibo - Spagna, Germania, Francia sono solo alcune tappe di questo viaggio immersivo - il salto è spaesante.
A stabilire un link tra passato e presente è anche la quantità: a torto o a ragione, nelle Fiandre del XX secolo l'aggettivo “bruegeliano” è stato sinonimo di pasti abbondanti e tutt'altro che raffinati. Nulla a confronto dell'incalcolabile mole di patatine che vediamo uscire in pochi minuti da uno stabilimento olandese, pronte per essere distribuite in tutto il mondo.
Pieter Bruegel il Vecchio, Banchetto nuziale, 1558 circa, Olio su tavola, 164 x 114 cm, Kunsthistorisches Museum, Vienna
Tra avanguardia e nostalgia: Bruegel riscoperto
Ci addentriamo negli ambienti del castello, un labirinto di saloni, stanze da letto, scale e corridoi dal fascino decisamente caratteristico, per rivivere la riscoperta di Pieter Bruegel. Tutto ha inizio con quello che qui chiamano “il grande equivoco” dei romantici: in un clima di revival delle tradizioni locali, da pittore per pochi intenditori il maestro diventa icona di un popolo e del suo più autentico spirito rurale. Gli artisti di fine Ottocento e del primo Novecento - che per il Belgio è una stagione di fermenti identitari - ne reinterpretano la lezione attraverso paesaggi immersi in una coltre di neve, campi di grano dalle atmosfere ancestrali e scene di religiosità contadina.
Punto di svolta è la mostra I Primitivi Fiamminghi che si tenne a Bruges nel 1902, di cui vediamo il manifesto in grafica Art Nouveau campeggiare all'inizio del percorso. Qui Bruegel era accostato a Memling, Van Eyck e Van Der Weyden: pittori che lo precedettero di qualche generazione, ma che allora sembravano essergli più affini rispetto al linguaggio del Rinascimento.
Al castello l'arte del XX secolo sembra essere sorprendentemente a proprio agio: dipinti, disegni e incisioni firmate da James Ensor, Valerius De Saedeleer, Jules De Bruycker, Otto Dix, George Grosz portano aria nuova nelle sale, mentre la nostalgia del passato lascia il posto alle novità dell'avanguardia. Tra i temi più gettonati c'è sicuramente il Carnevale, che di volta in volta si carica di sfumature festose (Jean Brusselmans) o macabro-grottesche (James Ensor).
James Ensor, Squelette arrêtant masque, 1891
Contemporary Bruegel
Ma la parte del leone la fanno gli artisti contemporanei, che rielaborano l'ispirazione di Bruegel in dialogo con gli storici ambienti di Gaasbeek. Il cliché del pittore contadino è ormai lontano: una varietà di spunti e materiali - dallo spazio al colore, dal cinema alle installazioni ambientali - ci accoglie in un caleidoscopio di visioni multiformi. Accanto a veterani come Mario Merz, Franz West e il belga Panamarenko, già presenti nelle collezioni permanenti del castello, hanno voluto dire la loro anche i designer di Studio Job, che da Anversa collaborano con grandi marchi della scena internazionale ed espongono nei più grandi musei del mondo, dal MoMa al Victoria and Albert Museum. La loro scultura ricorda una ciotola di porridge, inconfondibile citazione dai dipinti del maestro.
Talenti affermati ed emergenti, provenienti dall'Europa come dal Giappone, rendono omaggio a Bruegel: dall'installazione frattalica di Anetta Mona Chişa e Lucia Tkačova al juke-box che suggerisce colonne sonore per la fruizione pittorica, fino ai video e alle bambole del camerunense che, prendendo spunto dal quadro Giochi di bambini, si interroga sulle influenze culturali che hanno cambiato l'immaginario del gioco anche nei più remoti villaggi africani.
Anetta Mona Chişa & Lucia Tkáčová, F -- F+F-F-FF+F+F-F, 2018-2019
Tra un Daniel Buren e un Jimmie Durham, scoviamo la videoartista italiana Grazia Toderi, presente con un'opera ispirata alla bruegeliana Torre di Babele. La storia biblica su cui il maestro fiammingo aveva proiettato sogni e incubi cinquecenteschi rivive ora in una città del XXI secolo: in Rosso Babele la vediamo da lontano, come se fossimo nello spazio, una costante dell'arte della Toderi. Un assemblaggio di visioni digitali compone l'immagine di una Babele contemporanea che non dorme mai, visibile anche nelle ore notturne grazie all'alone di luce al sodio che la circonda: una città indefinibile, senza un referente geografico certo. Proprio come i panorami di Bruegel, in cui elementi assortiti del paesaggio europeo si combinavano in spettacolari utopie per la gioia dei viaggiatori in poltrona del XVI secolo.
Anche la Caduta di Icaro, da ammirare in versione originale al Museo Reale di Belle Arti di Bruxelles, ha attratto l'attenzione degli artisti: la rivediamo nei disegni dell'artista francese Yola Minatchy, originaria di Reunion, o nei riflessi multicolori della giapponese Yurie Umamoto, o ancora nella scatola minimal del duo italiano Ornaghi e Prestinari, dove a raccontare il mito del volo umano basta il reperto eloquente di una piuma.
“Sono moltissime le ispirazioni che Bruegel è ancora in grado di offrire a chi, come me, indaga i confini della pittura”, ci ha spiegato la pittrice belga Emmanuelle Quertain: “Nel mio progetto per Gaasbeek ho scelto di partire dalla Caduta di Icaro per reinterpretare lo spazio riccamente decorato della Scockaert Room. Il primo legame è quello del colore, protagonista di un gioco di rimandi che dal dipinto di Bruegel si tuffa nel mio, per poi rimbalzare nell'arazzo antico che vediamo di fronte”.
Pascale Marthine Tayou, JEUX D’ENFANTS, 2019
Per sapere tutto sull'arte nelle Fiandre scopri il sito flemishmasters.com
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