Tre colossi del Rinascimento a confronto
Raffaello, Michelangelo, Leonardo: tre geni rivali
Michelangelo Buonarroti, Tondo Doni, Dettaglio, 1505-1506 circa, Tempera su tavola, 120 x 120 cm, Firenze, Galleria degli Uffizi | Courtesy © MIBACT 2017
Samantha De Martin
08/04/2020
Il genio introverso, il raffinato figlio d’arte che faceva strage di cuori e il brillante uomo di mondo.
Oltre a essere le tre punte di diamante del Rinascimento, Michelangelo, Raffaello, Leonardo furono anche perfetti rivali, tanto nella vita quanto nella carriera.
Che tra i tre giganti della pittura non corresse buon sangue è noto a tutti, come ricordano i tanti aneddoti che la tradizione tramanda, popolati di episodi e dettagli che descrivono la diversa indole dei tre Maestri. Indubbiamente non si trattò di una rivalità fine a se stessa, bensì di uno sprone che - in un’epoca culturalmente ricca di fermenti - funse da pungolo ai loro già acuti ingegni, spingendoli a porre in pittura e in scultura il meglio del loro estro.
Raffaello, che rispetto ai suoi colleghi era il più giovane, quando ne incontrò le opere le ammirò molto, traendo intuizioni e insegnamenti utili alla sua poetica gentile, riuscendo a reggere il confronto con i due mostri sacri dell’arte.
Michelangelo, David, Dettaglio, 1501-1504, Galleria dell'Accademia di Firenze | Foto: Jörg Bittner Unna via Wikimedia Creative Commons
Michelangelo e Leonardo: a Firenze a “singolar tenzone”
La scintilla fu il David e la sua inimitabile bellezza. Sarebbe stato “Il Gigante”, infatti, la mina che fece esplodere la rivalità tra Michelangelo e Leonardo. Nel luglio del 1501 Buonarroti era stato richiamato a Firenze. La sua fama aveva raggiunto l’Arno grazie alla Pietà vaticana. Adesso il poeta del marmo era pronto ad affrontare una delle sue più grandi sfide: trasformare un enorme blocco di marmo di Carrara - che nessun altro scultore aveva voluto utilizzare, giudicandolo “difettoso” - in una scultura monumentale.
A soli 26 anni, era già l’artista più celebre e retribuito dell’epoca. Accettò la sfida, lavorando al suo David da solo e senza sosta.
Nel 1504 la statua, alta oltre quattro metri, fu pronta e si mostrò in tutta la sua potenza ad una Firenze incantata. Una commissione di artisti, della quale faceva parte anche Leonardo da Vinci, fu invitata a pronunziarsi circa la collocazione del capolavoro. Ne seguì un dibattito asprissimo. Leonardo sosteneva con forza che l'opera dovesse esser posta su uno dei contrafforti della Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Altri proponevano invece una collocazione più degna. Fu così che, stando agli aneddoti, si verificò una scena tanto surreale quanto divertente.
In piena notte, “il Gigante”, scivolando su tronchi in legno sotto gli occhi dei fiorentini, attraversò le vie del centro per raggiungere Piazza della Signoria. Sarebbe stato dunque questo episodio a far scattare la scintilla. Leonardo aveva 23 anni in più di Michelangelo, oltre a rigorose teorie in campo artistico che mal si conciliavano con la spiritualità profonda del suo giovane collega che faceva della plasticità il fulcro della sua arte.
L’Anonimo Magliabechiano racconta che tra i due ne nacque addirittura uno scontro a Firenze, “nella pubblica via”. Si racconta che un gruppetto di uomini fosse intento a commentare un passo di Dante. Leonardo, di passaggio, fu chiamato a partecipare. Passava di lì anche Michelangelo. Il genio di Vinci avrebbe esclamato: “Michele Agnolo ve lo dichiarerà egli”. Credendo di essere sbeffeggiato, il Buonarroti rispose con ira. “Dichiarolo pur tu, che facesti un disegno di un cavallo per gittarlo di bronzo (la statua equestre non realizzata di Francesco Sforza) e non lo potesti gittare e per la vergogna lo lasciasti stare”.
Oltre a essere le tre punte di diamante del Rinascimento, Michelangelo, Raffaello, Leonardo furono anche perfetti rivali, tanto nella vita quanto nella carriera.
Che tra i tre giganti della pittura non corresse buon sangue è noto a tutti, come ricordano i tanti aneddoti che la tradizione tramanda, popolati di episodi e dettagli che descrivono la diversa indole dei tre Maestri. Indubbiamente non si trattò di una rivalità fine a se stessa, bensì di uno sprone che - in un’epoca culturalmente ricca di fermenti - funse da pungolo ai loro già acuti ingegni, spingendoli a porre in pittura e in scultura il meglio del loro estro.
Raffaello, che rispetto ai suoi colleghi era il più giovane, quando ne incontrò le opere le ammirò molto, traendo intuizioni e insegnamenti utili alla sua poetica gentile, riuscendo a reggere il confronto con i due mostri sacri dell’arte.
Michelangelo, David, Dettaglio, 1501-1504, Galleria dell'Accademia di Firenze | Foto: Jörg Bittner Unna via Wikimedia Creative Commons
Michelangelo e Leonardo: a Firenze a “singolar tenzone”
La scintilla fu il David e la sua inimitabile bellezza. Sarebbe stato “Il Gigante”, infatti, la mina che fece esplodere la rivalità tra Michelangelo e Leonardo. Nel luglio del 1501 Buonarroti era stato richiamato a Firenze. La sua fama aveva raggiunto l’Arno grazie alla Pietà vaticana. Adesso il poeta del marmo era pronto ad affrontare una delle sue più grandi sfide: trasformare un enorme blocco di marmo di Carrara - che nessun altro scultore aveva voluto utilizzare, giudicandolo “difettoso” - in una scultura monumentale.
A soli 26 anni, era già l’artista più celebre e retribuito dell’epoca. Accettò la sfida, lavorando al suo David da solo e senza sosta.
Nel 1504 la statua, alta oltre quattro metri, fu pronta e si mostrò in tutta la sua potenza ad una Firenze incantata. Una commissione di artisti, della quale faceva parte anche Leonardo da Vinci, fu invitata a pronunziarsi circa la collocazione del capolavoro. Ne seguì un dibattito asprissimo. Leonardo sosteneva con forza che l'opera dovesse esser posta su uno dei contrafforti della Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Altri proponevano invece una collocazione più degna. Fu così che, stando agli aneddoti, si verificò una scena tanto surreale quanto divertente.
In piena notte, “il Gigante”, scivolando su tronchi in legno sotto gli occhi dei fiorentini, attraversò le vie del centro per raggiungere Piazza della Signoria. Sarebbe stato dunque questo episodio a far scattare la scintilla. Leonardo aveva 23 anni in più di Michelangelo, oltre a rigorose teorie in campo artistico che mal si conciliavano con la spiritualità profonda del suo giovane collega che faceva della plasticità il fulcro della sua arte.
L’Anonimo Magliabechiano racconta che tra i due ne nacque addirittura uno scontro a Firenze, “nella pubblica via”. Si racconta che un gruppetto di uomini fosse intento a commentare un passo di Dante. Leonardo, di passaggio, fu chiamato a partecipare. Passava di lì anche Michelangelo. Il genio di Vinci avrebbe esclamato: “Michele Agnolo ve lo dichiarerà egli”. Credendo di essere sbeffeggiato, il Buonarroti rispose con ira. “Dichiarolo pur tu, che facesti un disegno di un cavallo per gittarlo di bronzo (la statua equestre non realizzata di Francesco Sforza) e non lo potesti gittare e per la vergogna lo lasciasti stare”.
Leonardo da Vinci, Sant'Anna con la Vergine, il Bambino e l'agnellino, 1499-1500 circa, Cartone preparatorio, Carbone accentuato con gesso bianco su carta, montato su tela, 141.5 x 104.6 cm, Londra, National Gallery
Eppure lo schivo Michelangelo non rimase indifferente dall'arte del collega. Nel 1501 il Maestro da Vinci espose nella Santissima Annunziata il cartone con la Sant'Anna con la Vergine, il Bambino e l'agnellino che "fece maravigliare tutti gl'artefici, ma finita ch'ella fu, nella stanza durarono due giorni d'andare a vederla gl'uomini e le donne, i giovani et i vecchi".
E lo stesso Michelangelo dovette restarne fortemente colpito.
Il primo “incontro” di Raffaello con Michelangelo e Leonardo
Come sappiamo, Raffaello e Leonardo non si sarebbero mai incontrati di persona. Ma ci fu un’occasione che segnò il primo “incontro” dell’Urbinate con lo stile dei due Maestri, e fu di fronte ai cartoni della Battaglia di Anghiari e a quella di Cascina. I due migliori artisti della città erano stati chiamati a “singolar tenzone” nella Sala del Gran Consiglio a Palazzo della Signoria.
I Maestri venivano invitati a ricordare due importanti vittorie per Firenze: quella che aveva opposto fiorentini e pisani a Cascina, nel 1364, e quella di Anghiari contro i milanesi, nel 1440.
Nel 1504 Michelangelo fu così incaricato di affrescare la Battaglia di Cascina, mentre, esattamente nella parete di fronte, il suo avversario, Leonardo, avrebbe realizzato un’opera con la Battaglia di Anghiari. Entrambi i lavori non videro mai la luce.
Si trattò di una sfida interessante, condotta gomito a gomito. I cartoni dei rispettivi affreschi furono esposti e giudicati superlativi dai contemporanei. E anche da Raffaello, che dovette rimanere incantato di fronte a quell’energia e concitazione di corpi partoriti dal genio di Michelangelo, e ammirare la dinamica composizione di Leonardo, l’attenta indagine psicologia dei contendenti, inclusa quella dei cavalli, uno dei quali morde ferocemente quello dell’avversario.
Raffaello Sanzio, Scuola di Atene, Dettaglio con Platone e Aristotele,1509-1511, Stanza della Segnatura, Musei Vaticani
Michelangelo e Raffaello: da Firenze a Roma, nell’“arena” di Giulio II
Fu probabilmente il Buonarroti a esercitare sul sensibile Raffaello una maggiore influenza, sebbene l’urbinate fosse molto diverso da Michelangelo. Tutto era cominciato con un'ammirazione, divenuta presto una rivalità accesa, fonte, in alcuni casi, di veri e propri scontri artistici.
Di otto anni più piccolo di Michelangelo, Raffaello aveva avuto modo di ammirare a Firenze i lavori del collega. Del monumentale David, allora in Piazza della Signoria, aveva estrapolato alcuni dettagliati disegni. Basta osservare alcune Madonne raffaellesche per cogliere le influenze esercitate sull’Urbinate dalle opere del Buonarroti, come il Tondo Pitti o il Tondo Taddei e anche la sublime Madonna di Bruges, uscita in fretta e furia dalla bottega dell'artista per essere spedita nelle Fiandre in gran segreto. Eppure questa ammirazione per Michelangelo si trasformò in scontro artistico al tempo del soggiorno a Roma. I due artisti si incontrarono nell’ “arena” di papa Giulio II. Il clima della corte papale era stato reso ancor più competitivo da Bramante che cercava di screditare il fiorentino a favore del suo conterraneo Raffaello. Alle prese con la difficile impresa della ricostruzione di San Pietro, Bramante fece passare addirittura in secondo piano il progetto della Tomba di Giulio II, considerando l'opera eccessivamente costosa.
“Tutte le discordie che nacquono tra papa Julio e me, fu l'invidia di Bramante et di Raffaello da Urbino ...et avevane bene cagione Raffaello, che ciò che aveva dell'arte, l'aveva da me”. Michelangelo ne era convinto.
Vuoi per l’intercessione di Bramante, vuoi per talento, l’urbinate ricevette dal Papa l’incarico di realizzare gli affreschi delle Stanze Vaticane. Gli affreschi della Cappella Sistina, realizzati a partire dal 1508 da Michelangelo su incarico di Giulio II, dovettero “impressionare” il giovane Raffaello. Pare addirittura che il talentuoso pittore sia riuscito a seguire in segreto, complice Bramante, la lavorazione sui ponteggi.
Gli influssi degli stilemi michelangioleschi si ritroveranno negli affreschi delle Stanze Vaticane, nelle Sibille, tra i Profeti. Eppure siamo molto distanti dalla sventurata umanità michelangiolesca in bilico tra colpa e speranza.
Nella Stanza della Segnatura gli uomini di Raffaello non sono oppressi dal peccato, ma giacciono immersi in una superiore calma senza tempo. Nella Scuola di Atene, in cui i grandi dell’antichità assumono i caratteri fisionomici dei maggiori artisti del Rinascimento, la maniera michelangiolesca si fa sentire. Dietro Platone, dalla lunga barba, si cela Leonardo, mentre Buonarroti, in disparte, con la sua solita espressione corrucciata, veste i panni di Eraclito. La necessità di identificare Michelangelo con uno dei filosofi della Scuola di Atene potrebbe rivelare l’ammirazione segreta, ma anche un gentile riconoscimento, di Raffaello per il suo acerrimo rivale. Nel ritrarre il Buonarroti in atteggiamento meditativo, così schivo, isolato dagli altri, come d’altronde era nella realtà, il divino pittore diede prova, ancora una volta, del suo talento immenso, oltre che della sua anima bella.
Non solo rese omaggio, con invidiabile fair play, al suo nemico di sempre, ma mostrò di aver percepito, al pari di quella delle sue Madonne, anche le vibrazioni di quella solitaria anima dannata, domando il suo tormento nella dolce quiete del suo misurato universo pittorico.
Leonardo da Vinci, La battaglia di Anghiari, Copia di un dettaglio dell'opera perduta, 1503-1505
Raffaello e Leonardo: un incontro mancato
Il pittore gentile e il genio brillante che adorava inventare barzellette e raccontarle per divertire le corti che frequentava, da Milano alla Francia, probabilmente non si incontrarono mai. Leonardo soggiornò a Roma tra il 1514 e il 1516, periodo in cui potrebbe essere entrato in contatto con l’Urbinate, il maggior pittore alla corte papale.
Le fonti tacciono, tuttavia i capolavori del divin pittore realizzati in quel periodo mostrano un interesse per l'arte di Leonardo. Nella Perla del Prado - dipinto da Giulio Romano su disegno di Raffaello - lo schema riprende quello della Vergine delle Rocce, mentre nella Trasfigurazione - l'ultimo capolavoro del pittore - alcune figure ricordano direttamente quelle di Leonardo nell'Adorazione dei Magi.
Leonardo era già trentenne quando Raffaello nacque, ma la sua fama era ben nota quando l’Urbinate decise di recarsi a Firenze, per ammirare, tra l'altro, la celebre Battaglia di Anghiari. L’abilità di Leonardo nel legare le figure in composizioni armoniche, inquadrate in schemi geometrici, accanto alla tecnica dello sfumato, ma anche lo sprone a una continua rielaborazione delle figure e del paesaggio, colto dal vero, furono lezioni ben accolte dal linguaggio raffaellesco, sebbene rielaborate con esiti molto diversi.
Lo stesso Vasari ricorda come al giovane Raffaello "piacendogli la maniera di Leonardo più che qualunque altra avesse veduta mai, si mise a studiarla".
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Come sappiamo, Raffaello e Leonardo non si sarebbero mai incontrati di persona. Ma ci fu un’occasione che segnò il primo “incontro” dell’Urbinate con lo stile dei due Maestri, e fu di fronte ai cartoni della Battaglia di Anghiari e a quella di Cascina. I due migliori artisti della città erano stati chiamati a “singolar tenzone” nella Sala del Gran Consiglio a Palazzo della Signoria.
I Maestri venivano invitati a ricordare due importanti vittorie per Firenze: quella che aveva opposto fiorentini e pisani a Cascina, nel 1364, e quella di Anghiari contro i milanesi, nel 1440.
Nel 1504 Michelangelo fu così incaricato di affrescare la Battaglia di Cascina, mentre, esattamente nella parete di fronte, il suo avversario, Leonardo, avrebbe realizzato un’opera con la Battaglia di Anghiari. Entrambi i lavori non videro mai la luce.
Si trattò di una sfida interessante, condotta gomito a gomito. I cartoni dei rispettivi affreschi furono esposti e giudicati superlativi dai contemporanei. E anche da Raffaello, che dovette rimanere incantato di fronte a quell’energia e concitazione di corpi partoriti dal genio di Michelangelo, e ammirare la dinamica composizione di Leonardo, l’attenta indagine psicologia dei contendenti, inclusa quella dei cavalli, uno dei quali morde ferocemente quello dell’avversario.
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“Tutte le discordie che nacquono tra papa Julio e me, fu l'invidia di Bramante et di Raffaello da Urbino ...et avevane bene cagione Raffaello, che ciò che aveva dell'arte, l'aveva da me”. Michelangelo ne era convinto.
Vuoi per l’intercessione di Bramante, vuoi per talento, l’urbinate ricevette dal Papa l’incarico di realizzare gli affreschi delle Stanze Vaticane. Gli affreschi della Cappella Sistina, realizzati a partire dal 1508 da Michelangelo su incarico di Giulio II, dovettero “impressionare” il giovane Raffaello. Pare addirittura che il talentuoso pittore sia riuscito a seguire in segreto, complice Bramante, la lavorazione sui ponteggi.
Gli influssi degli stilemi michelangioleschi si ritroveranno negli affreschi delle Stanze Vaticane, nelle Sibille, tra i Profeti. Eppure siamo molto distanti dalla sventurata umanità michelangiolesca in bilico tra colpa e speranza.
Nella Stanza della Segnatura gli uomini di Raffaello non sono oppressi dal peccato, ma giacciono immersi in una superiore calma senza tempo. Nella Scuola di Atene, in cui i grandi dell’antichità assumono i caratteri fisionomici dei maggiori artisti del Rinascimento, la maniera michelangiolesca si fa sentire. Dietro Platone, dalla lunga barba, si cela Leonardo, mentre Buonarroti, in disparte, con la sua solita espressione corrucciata, veste i panni di Eraclito. La necessità di identificare Michelangelo con uno dei filosofi della Scuola di Atene potrebbe rivelare l’ammirazione segreta, ma anche un gentile riconoscimento, di Raffaello per il suo acerrimo rivale. Nel ritrarre il Buonarroti in atteggiamento meditativo, così schivo, isolato dagli altri, come d’altronde era nella realtà, il divino pittore diede prova, ancora una volta, del suo talento immenso, oltre che della sua anima bella.
Non solo rese omaggio, con invidiabile fair play, al suo nemico di sempre, ma mostrò di aver percepito, al pari di quella delle sue Madonne, anche le vibrazioni di quella solitaria anima dannata, domando il suo tormento nella dolce quiete del suo misurato universo pittorico.
Leonardo da Vinci, La battaglia di Anghiari, Copia di un dettaglio dell'opera perduta, 1503-1505
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Le fonti tacciono, tuttavia i capolavori del divin pittore realizzati in quel periodo mostrano un interesse per l'arte di Leonardo. Nella Perla del Prado - dipinto da Giulio Romano su disegno di Raffaello - lo schema riprende quello della Vergine delle Rocce, mentre nella Trasfigurazione - l'ultimo capolavoro del pittore - alcune figure ricordano direttamente quelle di Leonardo nell'Adorazione dei Magi.
Leonardo era già trentenne quando Raffaello nacque, ma la sua fama era ben nota quando l’Urbinate decise di recarsi a Firenze, per ammirare, tra l'altro, la celebre Battaglia di Anghiari. L’abilità di Leonardo nel legare le figure in composizioni armoniche, inquadrate in schemi geometrici, accanto alla tecnica dello sfumato, ma anche lo sprone a una continua rielaborazione delle figure e del paesaggio, colto dal vero, furono lezioni ben accolte dal linguaggio raffaellesco, sebbene rielaborate con esiti molto diversi.
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