Ultima Cena

Leonardo da Vinci, Ultima Cena, 1494 -1497 circa, Intonaco, pittura a tempera grassa , 460 x 880 cm, Milano, Museo del Cenacolo Vinciano

 

INDIRIZZO: Milano, Cenacolo Vinciano, Piazza Santa Maria delle Grazie 2

DURATA VISITA: 90

DESCRIZIONE: Un'impresa titanica. Dovette pensare questo Leonardo quando, negli anni del suo soggiorno milanese, Ludovico il Moro gli chiese di affrescare una parete del refettorio di Santa Maria delle Grazie con un dipinto che avrebbe dovuto riprodurre l'ultima cena di Gesù tra gli apostoli, uno degli episodi più importanti del Nuovo Testamento.
Sebbene molti artisti avessero affrontato questo soggetto, il maestro volle tentare un approccio nuovo, rivoluzionario, realizzando la più celebre rappresentazione dell'Ultima Cena.

L'opera avrebbe dovuto immortalare il momento più intenso del dramma, ovvero quando Cristo annuncia il tradimento da parte di uno dei suoi discepoli. Per questo sarebbe stato necessario ritrarre le espressioni dei singoli attori, in particolare quelle di Giuda e di Cristo, fermandole nell'esatto istante. Per fare questo, Leonardo volle rintracciare i modelli più adatti tra la gente comune, per poi schizzarli sui suoi taccuini e proiettarli sulla parete da dipingere.

L'opera avrebbe comportato non pochi ritocchi, interventi successivi, ripensamenti, azioni impossibili da realizzare con la tecnica dell'affresco, dal momento che, una volta asciugatosi, l'intonaco non avrebbe consentito di apportare eventuali correzioni.

Il maestro inventò pertanto una nuova tecnica: dipingere direttamente con la tempera sul muro adeguatamente trattato.
L'artista, dopo aver steso un intonaco piuttosto ruvido, soprattutto nella parte centrale, e steso le linee principali della composizione con una specie di sinopia, avrebbe lavorato al dipinto ricorrendo a una tecnica tipica della pittura su tavola. La preparazione era composta da una mistura di carbonato di calcio e magnesio uniti da un legante proteico.
Prima di stendere i colori Leonardo interponeva un sottile strato di biacca (bianco di piombo), che avrebbe dovuto far risaltare gli effetti luminosi. Seguiva la stesura dei colori a secco, composti da una tempera grassa realizzata probabilmente emulsionando all'uovo oli fluidificanti.
L'opera era già terminata nel 1498, visto che Luca Pacioli il 4 febbraio di quello stesso anno la ricordò come compiuta.

Purtroppo, alcuni cedimenti verificatisi appena una ventina di anni dopo, mostrarono il fallimento della tecnica leonardiana, a contatto con l'umida parete retrostante. I danni erano talmente gravi che Giorgio Vasari, che vide il Cenacolo nel maggio del 1566, scrisse: "non si scorge più se non una macchia abbagliata".
Eppure il capolavoro ha resistito, salvandosi persino dal bombardamento dell'agosto del 1943. Si pensi inoltre che all'inizio del XIX secolo le truppe napoleoniche trasformarono il refettorio in bivacco e stalla. 
L'opera subì numerosi tentativi di restauro nel tempo, che cercarono di porre rimedio ai danni, stabilizzando le cadute e, spesso, provvedendo a vere e proprie ridipinture.
Quello del 1977 mobilitò scienziati, critici d'arte e restauratori di tutto il mondo. La superficie del Cenacolo era ormai ovunque scrostata e lesionata; in milioni di interstizi microscopici si era infilata la polvere, trattenendo l'umidità delle pareti, e creando così le condizioni per la graduale e inesorabile scomparsa del dipinto.
Nel lavoro di ripulitura si ebbe modo di constatare che il Cenacolo era stato parzialmente spalmato di cera per essere predisposto a un distacco che non fu mai eseguito.
Il miscuglio di colle, resine, polvere, solventi e vernici, sovrapposte nei secoli in maniera disomogenea, avevano peggiorato le condizioni della pellicola pittorica.
Solo una meticolosa opera di restauro, sostenuta da rilievi ed esami tecnologici approfonditi, ha permesso di restituire all'umanità uno dei capolavori più travagliati della storia dell'arte.

Durante il restauro fu scoperto anche il buco di un chiodo piantato nella testa del Cristo: qui Leonardo aveva appeso i fili per disegnare l'andamento di tutta la prospettiva (punto di fuga). E furono riscoperti anche i piedi degli apostoli sotto il tavolo, ma non quelli di Cristo: questa parte fu infatti distrutta nel XVII secolo in seguito all'apertura di una porta che serviva ai frati per collegare il refettorio con la cucina.
Altre parti apparvero purtroppo irrecuperabili, come la parte inferiore del viso di Giovanni.
Nel 1980 il capolavoro è stato dichiarato patrimonio dell'umanità dall'Unesco, assieme alla chiesa e al convento domenicano limitrofo.

Dentro la scatola prospettica della stanza, illuminata da tre finestre sul retro e con l'illuminazione frontale da sinistra che corrispondeva all'antica finestra reale del refettorio, Leonardo ambientò in primo piano la lunga tavola della cena. Al centro, la figura isolata di Cristo, con le braccia distese, il capo reclinato, gli occhi socchiusi e la bocca appena discostata, come se avesse appena finito di pronunciare la fatidica frase.
Gesù costituisce l'asse centrale della scena compositiva dove ogni particolare è curato con estrema precisione.

Alcuni elementari espedienti prospettici contribuiscono a rendere l'effetto di sfondamento della parete su cui si trova il dipinto, in un raffinato trompe l'oeil.
Attorno a Cristo gli apostoli, disposti in quattro gruppi di tre, generano come delle ondate che, simili a un’eco delle sue parole, si propagano a partire dalla sua figura, generando stati d'animo differenti: più forti ed espressivi negli apostoli vicini, più moderati e increduli in quelli alle estremità.
Ogni singola condizione psicologica è approfondita attraverso i moti dell'animo, sebbene la percezione complessiva dell'insieme rimanga unitaria.

Sopra l'Ultima Cena si trovano tre lunette, in larga parte autografe, contenenti stemmi degli Sforza, racchiusi in ghirlande di frutta, fiori e foglie, e iscrizioni su sfondo rosso.


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